Staccare la spina da Internet, distogliendo gli occhi dallo schermo e la testa dalla Rete, sembra sempre più un’utopia: secondo l’ultimo rapporto Digital 2022 curato da WeAreSocial e HootSuite, il tempo trascorso online continua a crescere, e la media globale di utilizzo quotidiano di Internet si aggira ormai intorno alle 7 ore – 6 ore e 58 minuti, per la precisione -, in crescita dell’1% rispetto alla rilevazione dello scorso anno. Il problema più pressante, tuttavia, non è legato alla quantità, ma alla qualità del tempo. I dispositivi connessi, e in particolare gli smartphone, ci costringono infatti a una dinamica di continua distrazione: e per quanto questo tema non sembri forse politicamente – ed economicamente – rilevante come quello della privacy e della gestione dei nostri dati da parte delle piattaforme digitali, non per questo è meno grave, o meno carico di conseguenze per il nostro benessere.
I produttori di dispositivi connessi e di sistemi operativi, ma anche quelli di applicazioni, lo sanno bene, tanto da essersi preoccupati nel tempo di sviluppare soluzioni per limitare o eliminare del tutto le notifiche, e aumentare così la nostra concentrazione. Hanno nomi come “Freedom”, o “StayFocusd”, o “Serene”, che promettono di restituirci la tranquillità perduta: nessuno, tuttavia, è ancora riuscito a indovinare la formula giusta per conciliare questa tranquillità con l’esigenza di aggiornamento e di informazione, che resta la prima ragione per la quale utilizziamo gli strumenti digitali. Che si tratti di applicazioni a sé o di sistemi embedded, infatti, falliscono regolarmente nel compito di gestire con intelligenza (artificiale) il sovraccarico informativo, selezionando efficacemente gli alert senza bloccare quelli davvero necessari, tanto che in molti casi finiscono per bloccare anche messaggi di emergenza.
Da ultima, non ci è riuscita neppure Apple, per la quale la modalità Focus – destinata a “permetterti di rimanere nel momento in cui hai bisogno di concentrarti” – rappresentava una novità dell’aggiornamento di sistema dello scorso autunno. L’attivazione della modalità comporta l’esclusione automatica da parte del sistema di tutte le notifiche, tranne quelle dalle applicazioni che sono state esplicitamente indicate come necessarie, in una logica di opt-in: come hanno fatto notare ReCode e The Verge, insomma, per utilizzarla in maniera davvero efficace occorre una quantità di personalizzazioni e impostazioni da parte dell’utente che gli richiedono molto più tempo e molta più attenzione di quanti gli servirebbero per silenziare semplicemente le notifiche indesiderate.
È l’ennesimo caso di sistema digitale che finisce per generare più problemi di quanti non ne risolva – a meno che non si accetti che ciò fa parte essenziale del suo essere, appunto, un sistema digitale. Detto altrimenti, per quanto potente sia il quantitativo di intelligenza artificiale profuso nella sua costruzione, e per quanto abile possa essere nell’imparare autonomamente dalle nostre abitudini, scelte e decisioni pregresse, non potrà mai assumersi la responsabilità di quelle future. Il suo utilizzo richiederà sempre un decisivo contributo di intelligenza umana: e questo perché il fatto stesso di saper valutare, di volta in volta, cosa sia importante per noi sapere e cosa non lo sia resta una nostra prerogativa, impossibile da delegare.