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ChipsIT, così l’Italia prova a tuffarsi nei semiconduttori

Qualcosa si muove anche in Italia sul fronte dei semiconduttori: il governo avrebbe in mente ChipsIT, un centro di R&D dedicato al design di questa tecnologia oggi fondamentale.

 

Il nome in codice, rivelato dal Corriere, sembra quello di una marca di patatine fritte, ma in realtà è uno dei progetti innovativi sviluppati in fretta e furia dal governo per non restare esclusi dall’ennesimo settore tecnologico strategico: quello dei semiconduttori che ha portato alle ben note prove muscolari di Usa e Cina su Taiwan. ChipsIT, scrivono dalle parti di via Solferino, dovrebbe nascere a Pavia, con ramificazioni in quel di Bologna e poi più in giù fino a Catania. Per la stessa ammissione del quotidiano, inutile googlare: di ChipsIT non si parla ancora in alcun documento ufficiale reso pubblico.

Bisogna, semmai, spulciare l’ultima finanziaria approvata a fine anno che, tra le pieghe all’art.74-bis, prevede l’istituzione di una fondazione denominata “Centro italiano per il design dei circuiti integrati a semiconduttore”. La fondazione nasce “al fine di promuovere la progettazione e lo sviluppo di circuiti integrati, rafforzare il sistema della formazione professionale nel campo della microelettronica e assicurare la costituzione di una rete di università, centri di ricerca e imprese che favorisca l’innovazione e il trasferimento tecnologico nel settore”.

I FONDI A DISPOSIZIONE DI CHIPSIT

Nel testo si legge che “per la costituzione della Fondazione e il suo funzionamento è autorizzata la spesa in conto di capitale di 10 milioni di euro per l’anno 2023 e 25 milioni per ciascuno degli anni dal 2024 al 2030. Gli apporti al fondo di dotazione e al fondo di gestione della Fondazione a carico del bilancio dello Stato sono accreditati su un conto infruttifero aperto presso la Tesoreria dello Stato, intestato alla Fondazione”. Il Corriere parla di 225 milioni di euro distribuiti da qui al 2030.

STRUTTURA E MINISTERI

Del progetto si occupano il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’università e della ricerca. La vigilanza sulla fondazione è attribuita al Ministero delle imprese e del made in Italy. “La Fondazione, mediante convenzione, può avvalersi di personale, anche di livello dirigenziale, a tale scopo messo a disposizione su richiesta della stessa, secondo le norme previste dai rispettivi ordinamenti, da enti e da altri soggetti individuati ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. La fondazione può avvalersi, inoltre, della collaborazione di esperti e di società di consulenza nazionali ed estere, ovvero di università e di istituti di ricerca”.

E INTEL?

In realtà, le speranze perché il substrato imprenditoriale italiano si dimostri florido per i semiconduttori più che a ChipsIt sono legate a Intel, che aveva posto l’Italia tra i candidati in cui costruire uno dei suoi venturi impianti. Questo perché, nonostante la buona volontà del governo, i fondi sono limitati per fare qualcosa di grosso, specie rispetto a quanto già fatto in altri Paesi Ue dai rispettivi esecutivi, che peraltro si sono mossi anche con maggiore anticipo.

Il rischio che la montagna (di burocrazia, nomine e quant’altro, con ramificazioni magari scelte più in base ai sindaci anziché delle università e dei poli tecnologici) produca l’ennesimo topolino è alto e poi c’è la scommessa di attrarre i privati, tutta da vincere. Per fare un esempio sulle poste in gioco altrove – secondo Bloomberg, che ha citato fonti riservate -, Intel avrebbe chiesto altri 5 miliardi di euro di sussidi al governo tedesco per costruire la sua fabbrica di chip a Magdeburgo, capitale del Land Sassonia-Anhalt. Per lo stabilimento era già stato siglato un accordo che prevedeva 6,8 miliardi di euro di sussidi governativi, sui quale dovrà comunque esprimersi la Commissione europea. Rispetto a somme simili, si intuisce perché, senza un progetto convincente che porti i privati a investire, tutto rischi di restare a livello embrionale.

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