skip to Main Content

Come sarà la democrazia con la Blockchain?

Pubblichiamo un estratto del libro "Ludocrazia - Quando il gioco accorcia le distanze tra governi e cittadini" scritto da Gianluca Sgueo, edizione Egea (2018)

Il rispetto dell’etica è un tema centrale quando si discute dell’innovazione delle attività di governo. Gran parte di quello che ci siamo detti sulla gamification ha implicazioni etiche, che spetta ai regolatori pubblici salvaguardare. Proprio in virtù della complessità della questione, non esiste una soluzione univoca ai problemi morali posti dall’automazione e ludicizzazione delle politiche pubbliche. Lo sforzo di chi fa ricerca sul campo è comprendere in che misura è possibile mitigare le conseguenze inaspettate e negative di natura etica. La non profit Center for Democracy and Technology ha sviluppato un tool interattivo che traduce in domande le principali questioni di natura etica che incontrano i regolatori pubblici. Ad esempio: come trattare i dati personali in modo equo? Quali dati dovremmo considerare “trattabili” e quali, invece, no? È possibile testare l’affidabilità di un algoritmo? – il nome del progetto è affascinante: digital decision tool. Come ho detto, non si offrono soluzioni, non è questo l’obiettivo.

L’idea è far riflettere i decisori pubblici, generare dibattito, fare in modo che qualsiasi innovazione apportata alla governance, inclusa naturalmente la ludicizzazione, venga attentamente ponderata in tutte le sue conseguenze, al fine di minimizzare possibili impatti negativi sulla sfera individuale dei destinatari. L’importanza della privacy Ammettiamolo. Di tutti i problemi visti finora, quello che ha ricevuto le risposte meno interessanti, addirittura timide, è il tema della riservatezza. È come se ci fossimo rassegnati all’idea di dover barattare i nostri spazi personali in cambio di servizi pubblici. Non è così. È possibile difendere la privacy innovando attraverso la ludicizzazione.

Oggi il fronte più promettente è quello delle tecnologie blockchain. Grazie a queste ultime è possibile tutelare lo scambio di informazioni tra soggetti, vincolandone la circolazione alla certificazione da parte di chi le invia e riceve. In una rete blockchain nessuno è detentore esclusivo di un’informazione e della possibilità di scambiarla. Nel gennaio del 2018 Koinearth, una startup indiana, ha annunciato di aver integrato il sistema di voto tradizionale con la tecnologia blockchain. Già qualche mese prima la non profit californiana Democracy Earth aveva proposto qualcosa di simile con il progetto Sovereign.

L’idea è di appoggiarsi a piattaforme blockchain già esistenti, ma anziché generare criptovalute, queste producono unità di voto. Gli utenti possessori di queste unità possono allocarle a favore di organizzazioni rappresentative di interessi – un partito politico, ad esempio. C’è però il vantaggio di poter discutere con gli altri utenti in merito all’allocazione delle unità, e quella di assegnare un numero più alto di unità allo stesso tema. Come garantire l’anonimato? Notoriamente, infatti, le transazioni su blockchain sono trasparenti e visibili a tutti. Per risolvere questo problema i progettisti di Sovereing propongono di creare partnership con soggetti erogatori di servizi che tutelino l’anonimato – uno tra questi è ZCash. Sono comunque possibili altre soluzioni. Per esempio il Center for Strategic and International Studies suggerisce di tutelare gli utenti attribuendo loro un ID unico. In tal modo, con l’ausilio di processi di verifica, si renderebbe più difficile l’identificazione degli utenti.3 I primi test hanno dato risultati positivi.

Sovereign è stato testato in Colombia nel corso di un referendum non ufficiale per avvallare il patto tra i ribelli della FARC e il governo. Anziché votare solo per il si o per il no, ciascun votante poteva distribuire cento unità di voto tra le sette parti di cui si componeva l’accordo. Grazie a questo sistema, è stato possibile rendersi conto che i votanti erano in difficoltà solamente con uno dei sette punti dell’accordo. Come sappiamo, nel referendum ufficiale ha vinto il voto negativo, vanificando gli sforzi del governo. C’è già un caso di gamification che sta provando ad applicare la tecnologia blockchain. È il caso di Active Citizen. Il comune di Mosca sta infatti sviluppando un sistema attraverso cui le transazioni degli utenti verranno registrate attraverso una piattaforma che utilizza questa tecnologia.

Ma se alla fine di tutti questi sforzi la gamification non producesse i risultati attesi, come dovremmo comportarci? Chiudo con questo spunto, che del resto ci ha accompagnato dall’inizio del libro. È importante che i regolatori pubblici sposino un approccio positivo in merito al fallimento. Quei governi che hanno creato laboratori di policy per assisterli nella loro attività di regolazione sono sulla strada giusta. È compito di questi laboratori sviluppare nei decisori pubblici la consapevolezza del fallimento, e delle opportunità che possono derivare da questo. Ci sono vari approcci al problema. A Boston, ad esempio, il New Urban Mechanics non rende note al pubblico le istituzioni pubbliche che coinvolge nelle proprie simulazioni. In tal modo prova a incoraggiare i partecipanti a sperimentare apertamente, senza timore di rendere noti i tentativi non riusciti. Un’altra strategia è quella di inculcare nei regolatori pubblici l’idea che il fallimento sia un’esperienza formativa, da cui poter trarre un beneficio. C’è ad esempio il Center for Public Impact, un ente non profit statunitense, che ha identificato le principali tipologie di fallimento nel settore pubblico e, per ciascuna, ha trovato una strategia risolutiva.

Secondo il Center ci sono due principali tipologie di fallimento: quelle produttive e quelle non produttive. Le prime derivano da forme genuine di sperimentazione, in contesti complessi, dove è impossibile prevedere in anticipo gli esiti delle decisioni. Le seconde sono conseguenza di errori di giudizio che, con maggiore attenzione, avrebbero potuto essere evitati. Come spostare il baricentro della sperimentazione nel policymaking verso le forme di fallimento produttivo? Il Center for Public Impact suggerisce anzitutto di prevederle sin dall’inizio, formando il personale all’ipotesi che la sperimentazione possa mancare gli obiettivi. È poi necessaria la massima flessibilità da parte dei regolatori pubblici. La flessibilità si coltiva legando tra loro modelli di policy. Il politologo Michael Saward le chiama “innovazioni sequenziali” – seguono al riadattamento costante degli obiettivi, e sono inspirate le une dalle altre.

Alcuni governi seguono già questa filosofia. L’agenzia pubblica danese per l’innovazione del settore pubblico stima che il 73 per cento delle innovazioni apportate al settore pubblico negli ultimi anni è stata ispirata, o copiata direttamente, da soluzioni simili. La gamification non fa eccezione. Guardate Decidim. C’è una sezione sul sito che ospita Metadecidim, che raccoglie i suggerimenti sui miglioramenti alla piattaforma. In tal modo Decidim tenta di rigenerarsi autonomamente, beneficiando del supporto della comunità. Anche la condivisione di software con licenza aperta è un buon esempio di cultura del riadattamento. Il Center for Public Impact conclude suggerendo di testare le innovazioni su scala ridotta, in modo da minimizzare anche gli eventuali fallimenti. Secondo il think-tank anglosassone Nesta questo è l’“approccio beta” alla regolazione pubblica.

Back To Top