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Come stanno davvero Amazon, Apple, Facebook, Google e Ibm?

L’analisi a cura di Roberto Rossignoli, Portfolio Manager, e del Centro Studi di Moneyfarm ● Le performance dell’azionario sono state positive nell’ultimo mese. A supportarle sono stati gli utili: il profitto delle aziende quotate è cresciuto nel complesso del 23,5%, un risultato vicino alla crescita già elevatissima raggiunta nel primo trimestre. ● Per quanto riguarda l’andamento…

● Le performance dell’azionario sono state positive nell’ultimo mese. A supportarle sono stati gli utili: il profitto delle aziende quotate è cresciuto nel complesso del 23,5%, un risultato vicino alla crescita già elevatissima raggiunta nel primo trimestre.

● Per quanto riguarda l’andamento del prezzo azionario dell’S&P 500 (+5.7%), determinato da inizio anno dall’aumento degli utili, si tratta della prima volta dal 2012 in cui a guidare il rendimento delle azioni americane siano stati gli utili a fronte di un trend negativo dei multipli.

● Tuttavia, i mercati non sembrano aver premiato con consistenza i settori che hanno riportato risultati migliori delle aspettative, e le aziende che non hanno saputo tenere testa alle aspettative hanno pagato molto. Questo ci ricorda che ci troviamo in un quadro che rimane fortemente incerto, soprattutto a causa della paura di un’escalation del confronto commerciale tra Cina ed Europa.

● Nel settore tech, le 5 più grandi aziende (Alphabet, Amazon, Apple, Facebook, Microsoft) hanno ormai raggiunto una capitalizzazione di 4.000 miliardi di dollari, circa il 18% dell’intero valore dell’S&P 500. Apple è diventata la prima azienda a superare il marchio dei 1.000miliardi di dollari di capitalizzazione e Facebook ha polverizzato in una sola seduta circa il 20% del proprio valore – il singolo calo in una sola seduta più significativo della storia della Borsa americana.

E alla fine la realtà sembra aver prevalso sulle parole, almeno per il momento. Nonostante i venti di guerra commerciale che soffiano tra le due sponde del Pacifico (con la relativa volatilità che essi hanno portato sui mercati in un agosto tutt’altro che sonnolento), le performance dell’azionario sono state tutto sommato positive nell’ultimo mese. A supportarle sono stati principalmente gli annunci dei risultati economici trimestrali delle società che per il secondo trimestre consecutivo hanno continuato a sorprendere. Se consideriamo i risultati pubblicati fino a venerdì 3 agosto, il profitto delle aziende quotate è cresciuto nel complesso del 23,5%, si tratta di un risultato vicino alla crescita già elevatissima raggiunta nel primo trimestre.

Tuttavia, se si considera nel complesso il risultato, la reazione di prezzo è stata abbastanza timida. Questo vale anche per le società che hanno riportato i risultati migliori (un po’ come era già successo nel primo trimestre).

Gli investitori hanno reagito alle trimestrali in modo relativamente indipendente rispetto al livello di sorpresa riportato in esse. I mercati non sembrano aver premiato con consistenza i settori che hanno presentato risultati migliori delle aspettative, e se guardiamo anche ad altre geografie e ad altri indicatori, come la sorpresa a livello di ricavi o alla crescita, notiamo lo stesso tipo di relazione.

A nostro avviso questo non significa che i mercati stiano ignorando i buoni risultati economici. Anzi. Allargando la visione a orizzonti un po’ più lunghi, si osserva che da inizio anno, a sostenere i corsi azionari sono stati proprio gli utili e le conseguenti earnings revision costantemente riviste al rialzo. Le valutazioni espresse come rapporto del prezzo sugli utili sono calate (il Price/Earning), riflettendo una sensibilità dei mercati rispetto ai numerosi orizzonti di criticità. Non è un caso che nelle aree geografiche dove la revisione al rialzo degli utili non si è verificata, come Europa e Paesi Emergenti, i corsi azionari abbiano sofferto.

I grafici mostrano l’andamento del prezzo azionario dell’S&P 500 da inizio anno (+5.7%). La rincorsa si è verificata nonostante un calo delle valutazioni espresse come rapporto tra prezzo e utili (linea rosa, -4%): questo vuol dire che l’aumento dei prezzi azionari è stato principalmente determinato dall’aumento degli utili (linea blu, +10%). Si tratta della prima volta dal 2012 in cui a guidare il rendimento delle azioni americane siano stati gli utili a fronte di un trend negativo dei multipli.

A nostro avviso gli utili continuano a quindi contare, eccome; certo la dinamica della sorpresa positiva ha perso un po’ la capacità di muovere le azioni nel breve periodo, tuttavia impatta positivamente sulle stime, che impattano positivamente sui prezzi nel medio periodo.

Tornando alla stagione attuale, provando a non rimanere abbagliati dal luccichio del numero sensazionale, all’interno del cesto si pesca qualche frutto acerbo, vittima degli ormai arcinoti rischi di stagione. Ha fatto discutere il caso di Us Steel, il primo produttore americano di acciaio, che ha visto il proprio titolo crollare nonostante utili e ricavi sopra le aspettative (a pesare probabilmente un outlook tiepido per la seconda metà dell’anno). Così Facebook che ha visto scendere il valore della propria azione di quasi il 20% nonostante una crescita dei ricavi anno su anno superiore al 30% (causa alcuni commenti del management e un numero di utenti attivi in calo). In generale, le aziende che non hanno saputo tenere testa alle aspettative hanno pagato molto. Questi casi ci ricordano che ci troviamo in un contesto di allerta, con molti operatori nel dubbio, con il dito appoggiato sul pulsante delle vendite, o che comunque provano in modo selettivo a prendere profitto dove possibile.

Di certo tutti sanno che questa situazione non è destinata a durare per sempre e i più pessimisti vedono nel momento estremamente positivo per le aziende a stelle e strisce l’ultimo banchetto prima della inevitabile correzione che potrebbe arrivare già in autunno, magari scatenata da un escalation del confronto commerciale tra Cina ed Europa, magari da un acuirsi delle tensioni nell’Eurozona. Del resto, proprio a luglio l’amministrazione di Trump ha implementato le prime tariffe su 34 miliardi di dollari di merci importate dalla Cina, la quale ha prontamente risposto con misure analoghe nei confronti degli Stati Uniti. Dopo mesi di annunci, siamo quindi passati dalle parole ai fatti. Ma le borse non hanno accusato eccessivamente il colpo. Da rilevare resta l’attenzione degli operatori nei confronti dell’argomento. Secondo il BofA Merrill Lynch Fund Global Fund Manager Survey gli operatori globali sono concordi nell’indicare la questione commerciale come il singolo fattore di rischio principale. Un consenso del genere non si vedeva dalla crisi dell’Eurozona nel 2012.

Fermo restando, quindi, un quadro che rimane fortemente incerto, bisogna notare che il ciclo macro e il ciclo delle policy sembrano ancora offrire un sostegno alla performance dell’azionario che resta in linea con le prospettive di inizio anno. Lo scenario non sembra avallare visioni eccessivamente catastrofiste. La riforma fiscale di Trump ha messo le ali alla crescita Usa, ravvivando la dinamica dei salari. L’aumentare degli scambi a livello globale, a cui abbiamo assistito negli ultimi 24 mesi, sembra allontanare nel futuro gli eventuali effetti economici negativi (peraltro affatto certi) delle tensioni commerciali. La dinamica inflazionistica, pur decisamente in accelerazione, garantisce ancora respiro, addolcendo soprattutto in Europa le tempistiche del rialzo dei tassi, il vero pendolo che incombe sul destino dell’azionario americano.

Tuttavia non mancano i fronti di rischio: nonostante il rallentamento della dinamica dei salari (comunque positiva) abbia scongiurato il rischio di un’impennata improvvisa dei prezzi almeno nel brevissimo periodo, gli effetti delle politiche ultra-espansive messe in campo dall’amministrazione Trump potrebbero finire per condizionare la visione della Fed costringendo la banca centrale a un rialzo dei tassi più repentino. Inoltre gli attori politici, soprattutto in Europa, stanno facendo di tutto per aggiungere incertezza a incertezza. Ci troviamo in un momento di transizione economica e molti dei nodi più critici non sembrano essere ancora venuti al pettine. In attesa che torni settembre, però, le notizie che arrivano dagli Usa hanno, almeno nel breve periodo, l’effetto di una ventata fresca per tutti gli investitori e aiutano a guardare l’orizzonte, che rimane comunque pieno di incognite, con più fiducia.

BIG TECH, CINQUE RIFLESSIONI

I titoli dei giornali sono stati ancora conquistati dalle vicende dal settore tech. L’interesse non stupisce visto che le 5 più grandi aziende del settore (Alphabet, Amazon, Apple, Facebook, Microsoft) hanno ormai raggiunto una capitalizzazione di 4.000 miliardi di dollari, circa il 18% dell’intero valore dell’S&P 500 (che raggruppa le prime 500 aziende pubbliche Usa). In seguito alla pubblicazione degli ultimi risultati, Apple è diventata la prima azienda nella storia a superare il marchio dei 1.000miliardi di dollari di capitalizzazione. Al contrario, il titolo di Facebook ha polverizzato in una sola seduta circa il 20% del proprio valore in seguito alla revisione al ribasso delle previsioni di crescita da parte del management. Il valore di un’azione del popolare social network è sceso dai 217 ai 170 dollari, ovvero 120 miliardi di dollari, il singolo calo in una sola seduta più significativo della storia della Borsa americana.

La divergenza della fortuna di queste due società, che viene al culmine di un periodo dove il modello di business dei cinque colossi (per diversi motivi) è finito sotto la lente di ingrandimento, ha portato molti a chiedersi quale sarà il futuro di queste cinque aziende. Vista anche la grande influenza del settore tecnologico sull’andamento dell’azionario americano, vale dunque la pena fare alcune considerazioni, senza la pretesa di essere esaustivi.

● Sembra ovvio, ma è difficile continuare a crescere velocemente per sempre – prima o poi anche i campioni della crescita devono arrendersi alla legge dei grandi numeri. Tutte queste compagnie, in un modo o nell’altro (e a diversi livelli), sono avviate su un sentiero di progressiva diminuzione dei livelli di crescita. Questa tendenza si spiega con il fatto che la rivoluzione digitale su cui queste aziende hanno costruito il proprio incredibile successo stia esaurendo la propria propulsione. Questo non vuol dire, però, che il rallentamento sarà repentino. Prendiamo il caso di Facebook: nonostante il crollo in borsa, stiamo parlando di un’azienda che ha aumentato i propri utili del 30% anno su anno fatturando 13 miliardi di dollari a trimestre.

● Il primo punto è strettamente legato al secondo: le aspettative contano. Se cresci del 30% quando il mercato si aspetta il 40% il risultato può essere piuttosto negativo per gli investitori. Questo è ancora più vero quando le valutazioni sono elevate, almeno secondo gli indicatori tradizionali. Per semplificare, si potrebbe argomentare che il valore di un titolo dipende dalla capacità di un business di fare profitti e dalla velocità con cui questi profitti possono crescere, ma di solito la crescita si inverte più velocemente della profittabilità: un buon business può continuare a generare utili più a lungo di quanto sia in grado di continuare a crescere velocemente. In definitiva può essere molto doloroso quando le aspettative su un business cambiano, specialmente quando ci sono segni di minore crescita.

● Minor crescita non vuol dire la fine di un’azione o di un business. Apple ha vissuto una situazione simile a quella di Facebook (seppur meno drammatica) con le vendite dell’iPhone, passando dai numeri stellari nei primi anni ai numeri più normali di oggi. Durante questo trimestre, la crescita delle spedizioni del popolare smartphone si è attestata all’1% in questo trimestre anno su anno. Gli investimenti massicci effettuati negli ultimi due anni per ampliare il proprio giro d’affari nel campo dei servizi digitali hanno però cominciato a dare i propri frutti: insieme Apple Music, Apple Pay e Apple Store hanno garantito fatturati per 9.5 miliardi di dollari nel corso dell’ultimo trimestre. Si tratta del 17% del fatturato totale realizzato dall’azienda.

● Il management di un’azienda è in grado di condizionare le aspettative: nonostante gli utili pubblicati da Facebook abbiano deluso, la reazione del prezzo dell’azione sembra più riflettere i commenti da parte del quartier generale del social network (che ha parlato di crescita più lenta e di maggiori spese) piuttosto che dai risultati in sé. Si parla molto di “visibilità” nella determinazione della performance di un business, ma in molti casi il concetto stesso di visibilità è sovrastimato. Il management dell’azienda costruisce le proprie stime su un numero maggiore di informazioni interne rispetto al mercato, soprattutto riguardo le caratteristiche qualitative della societá e delle persone che la compongono. Sui fattori esogeni invece non é detto che il management sia in grado di aggregare le informazioni come il mercato. Certo sarebbe azzardato arrivare a dire che Facebook ha volutamente pianificato un calo così netto nel valore del proprio titolo, ma l’atteggiamento conservativo non stupisce alla vigilia di una fase nella quale i costi del business continueranno a crescere. Così non stupirebbe nei prossimi mesi la notizia che Facebook abbia fatto meglio rispetto alle aspettative che sono state stabilite con quest’ultima trimestrale.

● Infine vale la pena spendere una parola sulle valutazioni. Quelle del settore Tech dipingono un quadro molto interessante. La tabella qui sotto mostra i rapporti Forward Price/Earnings e Forward Price/Cashflow. Non si tratta di un indicatore del tutto esaustivo, ma si possono notare delle particolarità (ad alcune delle quali abbiamo già accennato). Primo, il mercato non pensa che Apple abbia tantissime prospettive di crescita (solo IBM ha un P/E più basso), se assumiamo, semplificando, che maggiori P/E implicano maggiori aspettative di crescita. Amazon ha chiaramente delle aspettative di crescita molto forti implicite nel suo prezzo, il che è abbastanza impressionante per un’azienda valutata oltre 870 miliardi. Anche Microsoft vanta un piccolo premio di valutazione rispetto Apple e uno più piccolo rispetto a Facebook. E infine c’è Facebook, il cui valore sembra essere un po’ economico per un business che cresce il 30% anno su anno. nonostante questo non stiamo di certo parlando dei numeri di un’azienda arrivata alla fine della propria corsa.

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