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Nokia Ericsson 6g

5G e 6G, l’appello sovranista-europeo del liberista Verhofstadt

“Lanciamo una gara per Nokia e Ericsson o lasciamo che uniscano le forze per lanciare 5G in tutta Europa. Ciò ci darà un enorme vantaggio competitivo per il 6G”. Parola del liberale Guy Verhofstadt

 

Il 5G non è ancora partito, a parte qualche sporadica iniziativa, e la Cina ha già fatto un passo avanti e sta guardando addirittura alla tecnologia 6G. Secondo quanto riferito dal portale Hindustan Times, il ministero cinese della Scienza e della tecnologia ha avviato i lavori preparatori per lo “sviluppo della rete futura”.

COSA FA IL 6G

I report dicono che le basi per il 6G sono già state gettate e, secondo alcuni esperti, le velocità della nuova rete potrebbero raggiungere 1 terabyte al secondo, ovvero 8000 volte la velocità del 5G.

DUE GRUPPI DI LAVORO IN CINA GIA’ COSTITUITI

Per lavorare sulla rete 6G, la Cina ha istituito due gruppi di lavoro che hanno il compito di supervisionare la ricerca, uno dei quali è composto da dirigenti dei ministeri del settore. Questo gruppo è responsabile del supporto al secondo gruppo composto da 37 esperti di università, istituti di ricerca e società tecnologiche.

QUANTO VA VELOCE

In teoria, almeno, le reti 6G potrebbero offrire velocità di 1 TB al secondo o 1.000 gigabyte o 8.000 gigabit al secondo. Velocità come queste faciliterebbero nuovi tipi di usi e rivoluzionerebbero la tecnologia. Secondo un professore dell’Università di Sydney, Mahyar Shirvanimoghaddam, l’era del 6G potrebbe, ad esempio, “offrire nuove prospettive in termini di interfacce cervello-computer” e consentire di “utilizzare i dispositivi attraverso il nostro cervello”.
Per capire meglio con un esempio concreto, basti pensare che una trasmissione di Netflix alla massima definizione richiede 56 gigabit di dati l’ora. Con il 6G si potrebbero scaricare oltre 142 ore di contenuti di alta qualità al secondo.

LE DIFFICOLTA’ TECNOLOGICHE

Malgrado le alte performance la meta è ancora lontana: i ricercatori devono ancora affrontare e rimuovere ostacoli significativi per raggiungere l’obiettivo del 6G. Secondo Shirvanimoghaddam, una tale velocità avrebbe bisogno di miglioramenti significativi in vari settore come “i materiali, l’architettura dei computer, la progettazione dei chip e il consumo di energia (…) Dobbiamo pensare a modi sostenibili per fornire tutti questi dispositivi senza il rischio di bruciare risorse”.

IL 5G STENTA A DECOLLARE IN EUROPA. ITALIA PRIMA DELLA CLASSE

Eppure, malgrado si parli di 6G, l’Europa è addirittura in ritardo sulle reti 5G. Al momento solo cinque stati su 28 hanno chiuso le gare per le frequenze da 700 megahertz (Mhz), mentre dodici hanno assegnato almeno un blocco dei tre a disposizione (oltre ai 700 Mhz, 3.4-3.8 gigahertz e 24-27.5 Ghz). L’Italia è l’unico paese in Europa ad aver collocato tutti gli spettri di banda per il 5G con le aste dell’autunno del 2018, che hanno fatto incassare allo stato 6,55 miliardi di euro.

IL LIBERALE VERHOFSTADT SI TRAVESTE DA SOVRANISTA: L’EUROPA DEVE TORNARE A CREDERE IN SE STESSA

A richiamare l’attenzione su questo ritardo ci ha pensato – con una sorta di appello – Guy Verhofstadt, liberale belga dell’Alde al Parlamento Ue, che ha anche ricoperto l’incarico di premier nel suo paese. In una dichiarazione su Facebook ha ricordato che in questo momento “ci sono solo 3 aziende al mondo in grado di realizzare il 5G: Nokia, Ericsson e Huawei”. E ha esortato l’Europa, che ha in casa dunque le necessarie tecnologie, a rendersi “consapevole” di ciò e ad abbandonare “le preoccupazioni in materia di sicurezza poste dalla Cina”. “Che diavolo stiamo aspettando? Lanciamo una gara per Nokia e Ericsson o lasciamo che uniscano le forze per lanciare 5 G in tutta Europa. Ciò ci darà un enorme vantaggio competitivo, proprio come ai tempi in cui l’Europa fissò lo standard GSM per i telefoni cellulari in tutto il mondo. Abbiamo una grande opportunità. Per vincere anche la gara di domani per il 6G (attesa intorno alle 2030 e migliaia di volte più veloce). L’Europa dovrebbe ricominciare a credere nelle proprie imprese. Al potere del nostro libero mercato invece che ai programmi finanziati dallo Stato in Cina che si nutrono di diritti di proprietà intellettuale rubati”.

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