Nel 2021, Google aveva annunciato con grande enfasi l’obiettivo zero emissioni entro il 2030. Un traguardo ambizioso, presentato come parte integrante dell’impegno del colosso tecnologico verso un futuro più sostenibile. Ma a distanza di pochi anni, i dati raccontano una storia molto diversa.
EMISSIONI IN AUMENTO NONOSTANTE GLI IMPEGNI
Secondo l’ultimo rapporto di sostenibilità pubblicato da Google, le emissioni di carbonio dell’azienda sono aumentate del 51% tra il 2019 e il 2024. Una crescita preoccupante, soprattutto se si considera che il periodo coincide con la fase in cui l’azienda avrebbe dovuto ridurre drasticamente il proprio impatto ambientale. E a rendere ancora più allarmante il quadro è un’analisi indipendente condotta dal gruppo no-profit Kairos Fellowship e riportata dal Guardian, che stima un aumento reale del 65% nello stesso arco di tempo.
UN’ESPANSIONE ENERGETICA SENZA PRECEDENTI
Il principale motore di questo incremento è lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, che richiede infrastrutture sempre più complesse e data center ad alto consumo energetico. Secondo Kairos, l’energia utilizzata da Google per alimentare i suoi data center è cresciuta dell’820% dal 2010 a oggi. Solo tra il 2019 e il 2024, le emissioni legate all’elettricità per queste strutture sono aumentate del 121%.
“In termini assoluti – ha spiegato Nicole Sugerman, campaign manager di Kairos – questo equivale a un aumento di 6,8 terawattora, pari al consumo energetico annuo dell’intero Stato dell’Alaska aggiunto ai consumi preesistenti di Google”.
UNA QUESTIONE DI METODOLOGIA
Una parte della discrepanza tra i dati ufficiali di Google e quelli calcolati da Kairos si deve all’uso di metodologie diverse. Google adotta il criterio delle “emissioni basate sul mercato”, che tiene conto dell’energia acquistata per compensare le emissioni, anche se questa non è realmente utilizzata nei luoghi in cui l’azienda opera. Kairos invece utilizza le “emissioni basate sulla località”, che riflettono le reali fonti energetiche dei territori in cui si trovano le infrastrutture dell’azienda.
“Le emissioni basate sulla località rappresentano l’effettivo impatto di un’azienda sulla rete elettrica – ha detto Franz Ressel, ricercatore capo e co-autore del rapporto – mentre quelle basate sul mercato sono un indicatore più favorevole alle aziende, ma meno trasparente dal punto di vista ambientale”.
SOLO LO 0,31% DELLE EMISSIONI RIDOTTE
Il rapporto evidenzia anche un’altra criticità: Google ha ridotto in modo significativo solo le emissioni di tipo Scope 1, ovvero quelle dirette provenienti dai propri edifici e veicoli. Ma queste rappresentano appena lo 0,31% delle emissioni totali dell’azienda. Le emissioni Scope 2, legate all’acquisto di energia elettrica, e le Scope 3, che includono fornitori, dispositivi utilizzati dai clienti e viaggi di lavoro dei dipendenti, sono in netto aumento.
IL PROBLEMA DELL’ACQUA E L’IMPATTO SUI TERRITORI
Oltre all’energia, preoccupa anche il crescente consumo idrico di Google. Tra il 2023 e il 2024, il prelievo d’acqua è aumentato del 27%, raggiungendo 50 miliardi di litri. Secondo il report di Kairos, questa quantità basterebbe a coprire il fabbisogno di acqua potabile di 2,5 milioni di persone per quasi due mesi, pari alla popolazione di Boston e dintorni.
CRITICHE ALLA NARRATIVA “GREEN” DI GOOGLE
Kairos accusa Google di utilizzare narrazioni ambientali ottimistiche per distogliere l’attenzione dall’aumento delle emissioni in termini assoluti. Ad esempio, l’azienda ha sottolineato di aver migliorato del 50% l’efficienza energetica dei propri data center negli ultimi 13 anni. Ma secondo il rapporto, questo dato è fuorviante poiché nello stesso periodo, il consumo complessivo di energia è aumentato del 1.282%.
IL FUTURO È NUCLEARE? I DUBBI DEGLI ESPERTI
Nel tentativo di rispettare gli impegni presi per il 2030, Google sta puntando anche su fonti energetiche non convenzionali, come il nucleare. Tuttavia, per gli esperti di Kairos, questa strategia si basa su tecnologie speculative la cui implementazione su larga scala è ancora lontana. “Affidarsi al nucleare come soluzione a breve termine è irrealistico – si legge nel rapporto – e rischia di spostare l’attenzione dalle misure più urgenti e concrete”.
LA PRESSIONE CRESCENTE SULLE BIG TECH E LE PROMESSE TRADITE
La questione dell’impatto ambientale dei data center non riguarda solo Google. Anche Amazon, Microsoft e altre big tech sono sotto pressione da parte di azionisti, dipendenti e organizzazioni ambientaliste. Una recente lettera aperta pubblicata su importanti quotidiani statunitensi ha chiesto ai Ceo delle tre aziende di impegnarsi a non costruire nuovi impianti alimentati a gas né a ritardare la chiusura delle centrali a carbone.
“Il problema – ha concluso Sugerman – non è solo quanto consuma Google, ma il fatto che il nostro pianeta non può sostenere questo ritmo di espansione digitale. Non esiste abbastanza energia pulita per coprire la domanda attuale, figuriamoci quella futura”.
Con l’intelligenza artificiale destinata a crescere esponenzialmente nei prossimi anni, la sfida della sostenibilità tecnologica appare più urgente che mai. E Google, con i suoi dati sempre più distanti dagli impegni presi, rischia di diventare il simbolo di una promessa verde non mantenuta.