Nelle ore in cui Ursula Von der Leyen annuncia la volontà di imporre il tetto al prezzo del gas russo, subito seguita dal comunicato con cui Gazprom azzera il flusso di gas attraverso il gasdotto Nord Stream 1, ci sono milioni di famiglie ed imprese del nostro Paese che ormai da almeno sei mesi ne sentono parlare ed attendono iniziative concrete in sede europea per mitigare gli effetti dei repentini aumenti degli ultimi mesi.
Le fatture continuano ad arrivare con importi moltiplicati da 5 a 10 volte rispetto al 2021, ma da Bruxelles nessuna buona nuova. L’ultimo segno di vita risale al Consiglio Europeo del 23-24 giugno scorso, nelle cui conclusioni si leggeva che “di fronte all’uso del gas come arma da parte della Russia, il Consiglio europeo invita la Commissione a proseguire con urgenza gli sforzi volti ad assicurare l’approvvigionamento energetico a prezzi accessibili”. Se c’era urgenza allora – quando il gas quotava al mercato olandese Ttf intorno a 140 €/Mwh – figuriamoci in questi giorni, con la quotazione più che raddoppiata. Prima delle parole della Von der Leyen, l’unico evento degno di nota è stata la convocazione di un Consiglio “Energia” straordinario per il prossimo 9 settembre, che ha richiesto non poche trattative preliminari e che discuterà di un tetto al prezzo del gas tutto da definirsi nei suoi dettagli tecnici.
Ma la Ue è paralizzata per motivi molto chiari. Basta guardare i dati della bilancia commerciale per comprendere come l’Olanda stia realizzando incassi di entità straordinaria grazie ad un mercato fuori controllo e stia facendo di tutto affinché la tavola resti imbandita il più a lungo possibile. È olandese uno dei giacimenti di gas più grandi d’Europa, ancorché in esaurimento e, soprattutto, anche grazie al fatto che il mercato Ttf – di cui viene contestata la scarsa liquidità ed i pochi contratti che concorrono a determinare le quotazioni – è gestito proprio dagli olandesi, dall’Olanda transitano significativi volumi in import/export. Allora si comprende appieno la strenua opposizione di Amsterdam ad ogni intervento calmieratore del mercato. All’interno della UE, le vendite di uno Stato sono gli acquisti di un altro Stato e, in questi mesi, decine di miliardi in più stanno fluendo copiosi verso l’Olanda.
La bilancia commerciale dell’Olanda verso gli altri Stati membri nel primo semestre 2022 mostra un aumento dell’avanzo da 104 a 151 miliardi, rispetto al primo semestre 2021. I combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) spiegano esattamente la metà di quella crescita di 47 miliardi. La Russia, nello stesso periodo, quasi quadruplica l’avanzo commerciale (66 miliardi in più, da 24,6 a 90,6 miliardi) e 42 di quei 66 miliardi sono tutti attribuibili a gas ed affini. Come si vede, numeri che corrono in parallelo, seppure su una scala dimensionale diversa. Aver mostrato a Putin il fianco scoperto dell’assenza nel breve termine di alternative stabili di approvigionamento di gas, gli ha consentito di manovrare i volumi venduti ed innescare così i massicci rialzi degli ultimi mesi.
È doveroso puntualizzare che qui non stiamo accusando nessuno di manovre speculative, riti esoterici ed altri scenari da fantafinanza. Stiamo semplicemente cercando di spiegare che l’azione riformatrice di un mercato che si ritiene stia generando prezzi fuori controllo è bloccata per i legittimi interessi di un suo partecipante, che qui illustriamo nei dettagli. Mutuando la famosa frase di Bill Clinton: “È il mercato, stupido!”.
“Olanda e Norvegia devono metterci i soldi”, auspicava qualche giorno fa il direttore de La Verità, Maurizio Belpietro. Si tratta di molti soldi di fronte ai quali, ancora una volta, la Ue si rivela mera proiezione dei rapporti di forza intergovernativi, anziché luogo di composizione dei rispettivi interessi in nome di una mitologica solidarietà intraeuropea. Vince chi tiene il banco e, in questo gioco, il banco è ad Amsterdam, con l’aggravante che, oltre a dare le carte, è pure un giocatore. È ipotizzabile che la posizione olandese sia stata finora spalleggiata dalla Germania, spaventata dal fatto che un eventuale intervento sul mercato (tetto e simili) provochi la definitiva interruzione dei flussi dalla Russia – esattamente il botta e risposta avvenuto ieri – oltre a tensioni con gli altri fornitori. Ci si preoccupa tanto della reazione della Russia ad un eventuale tetto del gas, ma noi abbiamo una piccola Russia in casa come testimonia l’impressionante andamento speculare degli avanzi commerciali verso la Ue di entrambi gli Stati. La conseguenza è che tutto è fermo da sei mesi ed i prezzi corrono.
Il miglioramento del saldo della bilancia commerciale olandese dei prodotti energetici verso il resto della UE è quasi tutto attribuibile all’aumento dell’export di quei prodotti che – nei primi 5 mesi del 2022, rispetto al corrispondente periodo del 2021 – è stato pari al 128%, da 20 a 45 miliardi. Nei mesi in cui tutti gli altri 26 Paesi vedevano peggiorare la loro bilancia commerciale intra UE, l’Olanda faceva il botto verso i partner dell’Unione. Una performance che assume ancora maggiore rilevanza se si considera che, nel primo semestre 2022, i volumi complessivi esportati sono diminuiti del 20%. Poco male, di fronte a prezzi all’incirca decuplicati.
Ora è anche possibile leggere sotto una luce diversa l’incredibile ritardo del governo dell’Aja nella presentazione del Recovery Plan nazionale, avvenuta solo l’8 luglio scorso ed ora in valutazione da parte della Commissione. Pur nel comprensibile ritardo dovuto alla prolungata assenza di un governo nei pieni poteri, cosa sono 4,7 miliardi di sussidi di fronte a decine di miliardi di maggiori vendite con i connessi introiti fiscali? “Segui il denaro” (follow the money) era il metodo di Giovanni Falcone. In questo caso le tracce appaiono evidenti e conducono al legittimo interesse degli olandesi di difendere il loro mercato che, da sei mesi, nessuno riesce a riformare.
(Versione ampliata e aggiornata di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)