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Transatomic Power: il sogno infranto

Il post di Luca Longo

Oggi la nostra storia comincia con una coppia veramente brillante: Leslie Dewan e Mark Massie, una dottorata e un master in ingegneria nucleare al MIT.

Due giovani con un cassetto pieno di sogni ma anche zeppo di un sacco di premi e riconoscimenti: “Giovani innovatori” di MIT Technology Review, “30 Under 30” di TIMES, “Esploratori Emergenti” del National Geographics, “Top professionals” di Linkedin, “i Businessman più creativi” di Fast, ma anche Forbes, Esquire e tanti altri si sono affrettati a premiarli. Fra tutti spicca il primo premio al concorso “per l’energia del futuro” bandito dal Dipartimento dell’Energia USA.

Stanno realizzando il loro sogno, che poi è il sogno di tutta l’umanità. Si tratta di una tecnologia in grado di creare energia per tutti a basso costo e di eliminare il problema dell’inquinamento. Semplice, no?

Come? Con una rivoluzionaria classe di reattori nucleari a fissione in grado di generare 75 volte più elettricità per tonnellata di uranio estratto dalle miniere rispetto ai reattori ad acqua leggera: i più comuni reattori tradizionali.

Ma quando si sogna, bisogna sognare fino in fondo: la nuova tecnologia ideata dai due geniali ricercatori permette di trasformare in combustibile nucleare le scorie altamente radioattive prodotte dai reattori convenzionali estraendone la radioattività residua. In pratica, si tratta di eliminare il peggior rifiuto che l’umanità abbia mai generato: le scorie delle centrali nucleari, che rimangono fortemente radioattive per migliaia di anni e che costa moltissimo tenere confinate e sotto controllo per un tempo praticamente infinito.

Per questo nel 2011 Leslie e Mark passano dal sogno alla pratica e lanciano Transatomic Power, una spin out del MIT con l’obiettivo di costruire i primi reattori nucleari basati sulla nuova tecnologia.

Dal 2011 al 2018 raccolgono oltre 5 milioni di dollari di investimenti, e grazie a un eccezionale lavoro di marketing possono annoverare fra i loro finanziatori Founders Fund di Peter Thiel, ma anche Arcadia Woods Partners, Armada Investment AG e Venrock. Raccolgono due milioni di dollari solo da TerraPower di Bill Gates.

Sul sito di Transatomic Power, si alternano grandi promesse: “energia abbondante e a basso costo”, “reattori intrinsecamente sicuri”, “creiamo nuovi posti di lavoro”, “l’architrave della crescita economica americana”, “facciamo in modo che regni l’ottimismo”. Un incoraggiante diagramma di sviluppo del progetto ci informa che è terminata l’esplorazione iniziale, il disegno preparatorio, la validazione e la raffinazione della teoria. Ora i nostri stanno affrontando la fase sperimentale vera e propria; scienziati ed ingegneri di tutto il mondo, inviateci il curriculum! Ma i numeri pubblicati restano pochini e la teoria che sta alla base della tecnologia rivoluzionaria viene mantenuta segreta.

Il modello di reattore commerciale avrà una efficienza di 1,25 GW termici, corrispondenti a 450 MW elettrici, e costerà – una volta ammortati i costi di ricerca e sviluppo – solo 2 milioni di $. Un affarone.

Il MIT ha un contratto di ricerca triennale con Transatomic Power, e una reputazione da difendere. Per questo, nell’ateneo iniziano a crescere i sospetti che le promesse siano forse un tantinello esagerate.

Finalmente nel 2015 Kord Smith, professore di scienza e ingegneria nucleare del MIT ed esperto nella fisica dei reattori, comincia a scavare nel libro bianco pubblicato da Transatomic Power e trova qualche cosa che non gli torna. Avvisa il suo capodipartimento e viene quindi incaricato dal rettorato di condurre una analisi approfondita insieme a due colleghi.

“Nozioni di fisica di base sono sufficienti per capire che lo sviluppo teorico” – di Dewan e Massie – “è evidentemente scorretto” sospetta Smith. Per eliminare ogni dubbio, chiede a Transatomic Power di fornire i dati delle prime prove sperimentali, scoprendo che “le loro dichiarazioni risultano completamente false”.

“In fondo” – conclude il rapporto del professor Smith – “sostenere che l’efficienza del reattore Transatomic Power possa essere 75 volte maggiore dei reattori attuali, è un po’ come dichiarare di avere scoperto un motore da automobile che fa 1000 km con un litro…”.

I due giovani ingegneri resistono ancora un paio d’anni, diminuendo progressivamente le promesse sulla base delle quali avevano raccolto i fondi. Viene abbandonata l’idea di bruciare le scorie delle centrali come combustibile nucleare e l’efficienza dichiarata scende da 75 volte di più giù giù fino ad un – comunque economicamente interessante – solo 2 volte di più.

Sono necessarie altre pressioni perché il 25 settembre 2018, Transatomic Power decida finalmente di gettare la spugna: i due giovani ingegneri nucleari sono costretti ad abbandonare l’impresa e pubblicano l’intero progetto con l’augurio che “altri possano prendere in mano il lavoro compiuto finora e portarlo a termine”. Il loro sito rimane online come un esempio telematico di archeologia industriale.

Questa avventura ai confini della scienza (e anche della realtà) ci permette di trarne alcuni insegnamenti.

Prima di tutto, la scienza si evolve. A differenza delle pseudoscienze – cristallizzate ed inalterabili nei secoli – nel mondo scientifico quello che oggi è considerato vero domani potrebbe essere smentito da nuovi esperimenti che permetteranno di creare nuove teorie, nuove invenzioni e poi nuove tecnologie basate su queste.

Inoltre, l’episodio ci ricorda che la prima regola per uno scienziato – come per un giornalista – è quella di controllare le fonti.

I ricercatori si confrontano continuamente con altri specialisti chiedendo a questi ultimi di tentare di confutare la propria teoria o di trovare errori nel loro procedimento sperimentale. Così sopravvivono solo le teorie – o gli esperimenti – che hanno superato tutti i tentativi di falsificarli da parte di altri esperti. Anche le pubblicazioni sulle riviste specializzate subiscono la “peer review”, cioè il controllo incrociato ed anonimo di altri specialisti, prima di essere pubblicate e diventare comunemente accettate. Sempre fino a prova contraria. Insomma, i ricercatori non cercano di “farsi le scarpe” fra di loro, ma si aiutano a identificare ed eliminare gli errori a vantaggio di tutta la comunità scientifica.

I due ragazzi, come ha dichiarato lo stesso Smith “non lo hanno fatto apposta”; ma “la loro scarsa esperienza e, forse, la loro eccessiva confidenza nelle loro stesse abilità li hanno indotti a mantenere nel mistero i loro sviluppi teorici” e “a non ascoltare attentamente chi muoveva dubbi sulle loro conclusioni”.

La comunità scientifica, che ha un robusto sistema immunitario, ha smascherato questa “fake news” e continuerà la strada intrapresa verso lo sviluppo di nuove fonti di energia per un futuro ambientale e climatico sostenibile.

Articolo pubblicato su eniday.com

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