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Cappato

“Stop global warming” spiegata da Marco Cappato

Marco Cappato racconta in questa conversazione la campagna “Stop global warming” di raccolta firme per chiedere all’Europa di fermare il climate change spostando le tasse dal lavoro alla CO2, idea supportata da 27 premi Nobel e oltre 5.000 scienziati.

 

Negli ultimi due anni si è parlato molto del cambiamento climatico e di come contrastarlo. Sono decenni che si discute del problema, ma i governi non riescono a trovare politiche condivise davvero efficaci.

Marco Cappato racconta in questa conversazione la campagna “Stop global warming”, iniziativa istituzionale di raccolta firme per chiedere all’Europa di fermare il climate change spostando le tasse dal lavoro alla CO2, idea supportata da 27 premi Nobel e oltre 5.000 scienziati. L’obiettivo è un milione di firme entro il 20 luglio in almeno 7 paesi dell’Unione Europea.

Secondo lei perché del tema del riscaldamento globale si parla da anni, ma poi alla fine si fa poco?

La democrazia ha grandi difficoltà ad affrontare il tema dei cambiamenti climatici proprio come quello della pandemia in corso. Il motivo è sempre lo stesso, la dimensione nazionale della politica, sempre orientata al breve termine e incapace di ascoltare la scienza.

Cosa risponderebbe a chi dice che in piena crisi Covid 19 bisognerebbe occuparsi di altro?

Chi pensasse che sia il momento sbagliato per affrontare il tema dei cambiamenti climatici, perché ora la priorità è il coronavirus, sbaglierebbe. Infatti, è proprio adesso, con la crisi del covid 19, che si deciderà come saranno spesi migliaia di miliardi di euro di soldi pubblici, in una fase in cui il prezzo del petrolio è caduto al minimo. È proprio in questo momento che si deve evitare di fare errori e che si può davvero cambiare. Se non si tiene presente anche l’obiettivo di ridurre le emissioni, rischiamo di fare un grosso passo indietro e distruggere ancora di più l’ecosistema. Mentre possiamo sperare che la crisi del coronavirus finisca tra non troppo tempo, gli effetti di un riscaldamento globale senza controllo sarebbero devastanti e permanenti.

Come è nata l’idea di una petizione contro il global warming?

Negli scorsi mesi, prima della crisi del covid 19, stava accadendo qualcosa di splendido e al tempo stesso disastroso. Finalmente l’opinione pubblica mondiale aveva imposto in cima all’agenda politica il tema dei cambiamenti climatici, grazie a decine di milioni di persone scese in piazza. Al tempo stesso, però, nessuna seria decisione politica vincolante a livello globale o europeo era stata presa. Anche la mobilitazione sfociava in così tante proposte da non essere efficace su alcuna di esse. Così abbiamo deciso di proporre a livello europeo un principio semplice, sostenuto da 27 premi Nobel, far pagare per le emissioni di C02.

Come funzionano le petizioni europee?

Se un milione di cittadini, in almeno sette stati membri dell’Unione europea, sottoscrivono la proposta, la Commissione Europea è obbligata a esprimersi, per rigettarla o per attivare il processo legislativo.

Cosa proponete e perché è innovativo?

Chiediamo che si stabilisca in tutta Europa un prezzo minimo per le emissioni di CO2 di almeno 50 euro per tonnellata, da alzare poi gradualmente a 100 euro, per incentivare il risparmio energetico e le fonti rinnovabili, al tempo stesso diminuendo la tassazione sul lavoro.

La proposta consente di uscire dalla disastrosa scelta tra chi vuole abbattere il capitalismo e chi pensa che vada tutto bene così com’è. Per noi, la strada da seguire è porre delle regole al mercato in modo da attribuire il giusto valore alle risorse naturali del pianeta, in modo da fermarne il saccheggio.

Mi racconta un paio di settori economici che crescerebbero grazie a questa proposta?

Più che un settore economico specifico, sarebbero favoriti i processi produttivi a ridotto impatto sulle emissioni. Dunque, anche all’interno di uno stesso settore sarebbero avvantaggiati coloro che investono su impianti a basso livello di emissioni e penalizzati coloro che non innovano. Ci sarebbe poi un incentivo a comportamenti virtuosi anche da parte dei consumatori.

Il vantaggio del meccanismo del prezzo è proprio quello di spalmarsi su tutte le attività economiche senza bisogno di decisioni dirigiste relativamente ai settori sui quali puntare o al tipo di produzioni e consumi da privilegiare. Si lascia così a tutti la massima libertà, all’interno però di un sistema che premia chi fa attenzione alle conseguenze sull’ambiente.

Perché è importante investire sull’innovazione e la scienza per inquinare meno?

La sfida per arginare i cambiamenti climatici non è solo una sfida culturale, ma è anche una sfida scientifica e tecnologica. Sulla carta, esistono già tecnologie che permetterebbero di abbattere le emissioni, solo che di solito costano troppo relativamente a tecnologie più “sporche”. Ecco perché la scienza è fondamentale, ma da sola non basta, ci vuole anche l’economia.

La lotta all’inquinamento può essere una spinta a essere sempre più competitivi e innovativi sui mercati internazionali?

Se il mondo va nella direzione della riduzione delle emissioni, chi si prepara prima gode di un vantaggio competitivo. Attenzione però, se il cambiamento è troppo lento e la politica non dà una spinta, gli innovatori rischiano molto, perché la trasformazione dei processi produttivi non si fa mai a costo zero. Ecco perché è così importante correggere i prezzi di mercato attraverso il “carbon pricing” in modo tale che gli innovatori siano garantiti sul vantaggio competitivo del quale beneficeranno nel tempo. Altrimenti si rischia che tutti, nell’incertezza, restino fermi.

Amate definirla una proposta liberale, perché?

Il “carbon pricing” non agisce contro il mercato, ma ne corregge alcune distorsioni. Tecnicamente si chiamano “esternalità negative” e le emissioni di CO2 sono un esempio perfetto perché produrle non costa quasi nulla, ma il danno economico che deriva dalla loro produzione è molto alto. Ciò significa che i prezzi lasciati “liberi” non sono efficienti nel produrre il migliore effetto per le persone individualmente e per la società nel suo complesso. Si può dunque agire in due modi, attraverso proibizioni e divieti, che in taluni casi sono necessari, pensiamo all’amianto o allo sversamento di rifiuti tossici, oppure disincentivare un comportamento alzando “artificialmente” i prezzi, ma lasciando agli operatori economici la libertà di decidere.

Cosa rispondete a chi critica l’idea della carbon tax?

La critica più importante è quella di chi ha paura che il provvedimento si riduca a un innalzamento delle tasse e in uno svantaggio per i più poveri, per esempio i lavoratori di zone poco servite dai mezzi pubblici o occupati in settori ad alto tasso di emissioni. Sono critiche fondate, alle quali va risposto con misure di riequilibrio sociale che garantiscano un utilizzo di risorse ottenute dal “carbon pricing” proprio a beneficio delle fasce economicamente più deboli della popolazione.

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