skip to Main Content

Cina Russia

Come e perché Russia e Cina si alleano sul carbone

La Cina dipende dal carbone e di recente la Russia ha riattivato le sue miniere. L'analisi di Maurizio Sgroi per The Walking Debt

 

Sappiamo già quanto la Cina dipenda dal carbone, e soprattutto quanto ancora dovrà dipenderne, pure se il paese si sta lentamente conquistando un posto al sole nell’economia delle energie alternative. Diventa perciò interessante osservare quanto questa dipendenza venga alimentata dalla Russia, che a sua volta ne soffre, ma dal lato dell’offerta.

Mosca infatti, dopo il notevole declino della produzione negli anni ’90, con il nuovo secolo ha fatto ripartire le miniere fino ad arrivare alle 360 milioni di tonnellate estratte nel 2015, un livello superiore a quello del 1991, quando la produzione raggiunse un picco.

Fra il 2018 e il 2019 la produzione ha superato i 430 milioni di tonnellate, per poi declinare a causa della pandemia. E anche se il carbone non ha lo stesso peso del petrolio e del gas per il bilancio pubblico russo, rimane pur sempre una voce rilevante nella contabilità del paese. Al punto che il governo ha previsto un piano di sviluppo da qui al prossimo decennio.

Il perché non è difficile da capire. Buona parte di questa produzione infatti va all’estero e segnatamente in Cina. Già dal 2009, infatti, Pechino non è più in grado con la sua produzione di soddisfare il fabbisogno di carbone, ancora molto utilizzato in diverse produzioni. Così siamo arrivati al 2019, quando le esportazioni dirette in Asia, a in particolare in Cina, Corea del Sud e Giappone, sono arrivate al 50% del totale, superando quelle europee, ferme al 40%.

La peculiarità di questo mercato, tuttavia, risiede nel fatto che necessita di notevoli investimenti pubblici, specialmente in ferrovie, per poter essere sostenuto. Non a caso nel marzo scorso il governo russo ha approvato un investimento da 700 miliardi di rubli per collegare la Jakuzia alla Cina tramite una ferrovia lunga mille chilometri. Già oggi le spedizioni di carbone tramite ferrovia rappresentano una quota importante delle spedizioni ferroviarie russe. Si stima che occupino, per tonnellaggio, circa un quarto del totale.

Questo attivismo sul versante del carbone spiega perché il governo abbia pianificato di aumentare la sua quota mondiale di esportazione di carbone dall’attuale 14% al 23-25% entro il 2035. Ciò non vuol dire che riuscirà, ovviamente. Anche perché i piani prevedono una aumento della produzione fino a 485-668 milioni di tonnellate, che significa anche incrementare significativamente pure il trasporto ferroviario dedicato.

Questo quadretto, carbone+ferrovia, che fa tanto Novecento, poco si attaglia alla nouvelle vague ambientalista che sogna l’energia pulita ignorando i costi intrinseci che porta con sé: si pensi solo al notevole aumento del consumo di minerali incorporato nelle energie rinnovabili.

Ma intanto Russia e Cina, e con loro le altre due grandi economie che concorrono con i russi alla produzione massiccia di carbone, ossia Australia e Indonesia, fanno quello che possono per sfruttare l’onda lunga della domanda cinese finché dura. Quando leggiamo di patto strategico fra Russia e Cina, è il caso di ricordare che il carbone fa parte del piano. Pure se è brutto, sporco e cattivo.

Back To Top