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Cambiamenti Climatici

Riciclare C02 per contrastare il climate change. Ecco come

L'articolo di Luca Longo sulla caccia alla CO2 pubblicato da Eniday

È in corso una battaglia per contrastare il cambiamento climatico e salvare la Terra.

Sappiamo che il surriscaldamento del nostro pianeta è provocato dall’aumento dei gas serra in atmosfera. Fra questi, il principale responsabile è l’anidride carbonica (CO2).

Abbiamo già presentato i principali processi per la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS) e anche quelli che prevedono il suo riutilizzo (CCU).

I processi del secondo tipo sono parte di un ciclo virtuoso caratteristico dell’economia circolare: riciclano il carbonio dalla sua forma a minima energia (la CO2) e lo convertono chimicamente per generare prodotti e/o combustibili utilizzando energia da fonti rinnovabili. Quando questi ultimi vengono consumati, l’anidride carbonica che viene liberata deve essere nuovamente catturata e riconvertita.

Anche la Direzione Ricerca e Innovazione Tecnologica di Eni sta facendo la propria parte in questa battaglia, in collaborazione con tutte le altre unità del cane a sei zampe.

BIOCARBURANTI AVANZATI CON IL SOLE E LE MICROALGHE

Un grande progetto – ora in fase pilota a Ragusa – è quello della biofissazione della CO2 grazie a fotobioreattori di nuova concezione: speciali vasche chiuse dove, grazie alla luce del sole opportunamente convogliata, crescono alghe di dimensioni microscopiche alimentate dalla CO2 catturata dalle emissioni di processi industriali Le microalghe saranno poi scomposte nei loro componenti, valorizzandoli negli utilizzi più opportuni, così da non perdere un grammo della biomassa prodotta. Ad esempio, i grassi contenuti nelle microalghe andranno ad alimentare i processi di produzione di biocarburanti nelle nuove green refineries Eni di Venezia (già operativa) e di Gela (che sarà presto in produzione).

Perché la ricerca Eni punta sulla biofissazione della CO2 nelle microalghe? Per due motivi: il primo è che il bio-olio da esse prodotto potrà sostituire altri olii di origine vegetale (principalmente olio di palma ma anche di arachide, soia o mais) la cui produzione è in competizione con la coltivazione agricola a fini alimentari. In questo modo, la crescita di domanda di olii vegetali può provocare danni anche superiori a quelli che si vogliono evitare con l’utilizzo di biocarburanti: parliamo degli effetti dovuti alla deforestazione e allo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, quali terreni coltivabili e acqua. Non trascurabile è anche un secondo aspetto: la resa in lipidi per ettaro coltivato in fotobioreattori di microalghe, è da 10 a 30 volte maggiore anche rispetto alla resa per ettaro dell’olio di palma, che è il campione indiscusso fra tutte le piante terrestri per la produzione di grassi vegetali.

Certo, quando questi biocarburanti entreranno nel motore e svilupperanno energia libereranno CO2. Ma sarà una quantità paragonabile a quella che era stata prima sottratta all’ambiente dalle stesse microalghe. Così, grazie ai biocombustibili, si risparmiano le fonti fossili e si continua a muovere il pianeta in attesa che la transizione verso le fonti rinnovabili sia completata. Ne abbiamo parlato in dettaglio qui.

GAS NATURALE E METANOLO DA FONTI RINNOVABILI, PER DARE AL PIANETA L’ENERGIA PER LA TRANSIZIONE

Nella decarbonizzazione del settore energetico, cioè nella partita per la transizione dalle fonti fossili (carbone e petrolio) alle fonti rinnovabili, il gas naturale gioca con la maglia numero dieci la fascia di capitano.
Il metano, infatti, è il vettore energetico che produce meno anidride carbonica per unità di energia prodotta rispetto agli altri cobustibili fossili. Parliamo di addirittura la metà di quella prodotta dal carbone e, conseguentemente, sono facilmente intuibili i vantaggi derivanti dal sostituire questo combustibile solido con il gas naturale nei processi di produzione di energia.

Favorire la transizione energetica significa quindi sfruttare al massimo le risorse di gas naturale, valorizzando anche giacimenti piccoli e/o remoti per i quali non è economicamente giustificabile la costruzione di gasdotti o il trasporto in nave sotto forma di gas compresso (CNG) o liquefatto (LNG).

Nell’ambito del programma di ricerca Energy Transition, avviato da Eni nel 2015, è stata individuata un’area tematica dedicata allo sviluppo di vie innovative per la valorizzazione di queste riserve, facilitandone il trasporto. Una di queste consiste nel convertire il metano (CH4, principale costituente del gas naturale) in metanolo (CH3OH), composto liquido facilmente trasportabile, che trova numerose applicazioni sia come combustibile che come materia prima in numerosi processi chimici d’importanza industriale.

Leggendo questo, un chimico si domanderebbe dove sta la novità, visto che già oggi il metanolo viene prodotto con un ben noto processo catalitico a partire da una miscela di CO e H2 (detto gas di sintesi) a sua volta ottenuta per steam reforming del metano. La risposta sta proprio nel processo di produzione del gas di sintesi, per la quale Eni propone una tecnologia proprietaria chiamata CPO (Catalytic Partial Oxidation) dimensionalmente molto più compatta rispetto ad uno steam reformer e, quindi, facilmente installabile su una piattaforma o su una nave assieme all’impianto di produzione del metanolo, così da chiudere il ciclo.

In tutto questo, dove sono i vantaggi in termini di riduzione delle emissioni di CO2? In prima istanza, l’utilizzo del metanolo così prodotto come combustibile ci permette di evitare l’utilizzo di quantità equivalenti (in termini energetici) di fonti fossili a più elevato impatto emissivo. Più in generale, si potrebbe avviare quel circolo virtuoso teorizzato nel 2005 da George Olah (Premio Nobel per la Chimica) noto come Methanol Economy. È un esempio di economia circolare basata sull’utilizzo di questo composto come fonte energetica, sulla cattura della CO2 emessa e sulla sua riconversione in metanolo mediante riduzione catalitica con H2 a sua volta prodotto per elettrolisi dell’acqua, utilizzando energia elettrica da fonti rinnovabili. È virtualmente un ciclo neutro dal punto di vista delle emissioni di CO2 che può diventare carbon negative nel caso che parte dell’anidride carbonica catturata venga stoccata permanentemente nel sottosuolo (CCS) o fissata in prodotti con tempi di vita elevati (CCU).

COME TI ACCHIAPPO LA CO2?

Continuiamo a parlare di cattura della CO2 ma non abbiamo accennato a come si fa… Bene, oggi esistono tecnologie consolidate che permettono di separare l’anidride carbonica dal gas naturale (che spesso la contiene in concentrazioni anche elevate), dai fumi delle centrali elettriche o di altri processi industrali (es. cementifici, acciaierie, …) restituendola in forma pressoché pura e pronta per l’eventuale stoccaggio geologico o per l’utilizzo.

Capitolo chiuso, quindi? No di certo perché molte di queste tecnologie (almeno le più efficienti), sono basate sull’utilizzo di soluzioni absorbenti che, oltre ad avere numerosi inconvenienti dal punto di vista dell’impatto ambientale, sono molto energivore. Per capirci, prendiamo il caso di voler catturare la CO2 emessa da una centrale elettrica a gas naturale. Sappiamo che la tecnologia di cattura va selezionata tra quelle che utilizzano soluzioni di ammine specificatamente selezionate allo scopo. Sappiamo anche che la gestione dell’intero processo richiede molta energia (termica per il desorbimento della CO2, elettrica per i compressori, ecc.) e questa deve essere prodotta addizionalmente dalla centrale.

Per intenderci, una centrale a gas con cattura della CO2 deve prevedere una quota 10 – 15% di potenza addizionale per poter gestire il processo di cattura. Una quota che si ripercuote necessariamente sul costo unitario dell’energia e, cosa non trascurabile, sulle emissioni di CO2. Lo stesso dicasi per tutti gli altri casi in cui si voglia catturare la CO2. Da qui la necessità di trovare tecnologie alternative, meno costose ma altrettanto efficienti rispetto a quelle oggi disponibili sul mercato. A questo fine, sempre nell’ambito del programma di ricerca Energy Transition, è stata avviata una linea espressamente dedicata allo sviluppo di nuove tecnologie di cattura della CO2. Come?

… CON LIQUIDI IONICI

Eni, in collaborazione con l’Università di Pisa, sta sviluppando un processo per la cattura della CO2 e dell’acido solfidrico (un inquinante tossico e corrosivo) contenuti nel gas naturale estratto dai giacimenti.
I tradizionali processi chimici basati sulla reazione con ammine, vengono sostituiti da un processo fisico di adsorbimento in liquidi ionici Ionic Liquids (IL). Questi non solo richiedono meno energia, ma hanno una maggiore stabilità termica e chimica e altre proprietà chimico-fisiche che li rendono preferibili ai metodi tradizionali riducendo l’impatto ambientale a parità di anidride carbonica e acido solfidrico catturati.

… CON CELLE A COMBUSTIBILE

Un secondo progetto, recentemente avviato ed ora in fase di verifica sul campo, prevede la cattura della CO2 da un flusso di gas naturale con celle a combustibile basate su carbonati fusi: Molten Carbonate Fuel Cells (MCFC). Quando l’anidride carbonica entra nella cella elettrolitica, viene catturata dal catodo e ridotta a ione carbonato, si trasforma, quindi, in elettrolita disciolto nella cella e migra all’anodo dove viene riossidato in CO2 che viene catturata e inviata allo stoccaggio anziché riciclata. In pratica, il catodo cattura la CO2 dal flusso di gas, la passa all’anodo che la isola e la intrappola.

La cella funziona usando parte dello stesso gas naturale come combustibile. In questo modo, non solo si riducono i costi a parità di CO2 catturata, ma si produce energia elettrica che può essere immessa in rete o per usi interni all’impianto.

…DIRETTAMENTE A BORDO DI UN’AUTOVETTURA

Circa un quarto dell’anidride carbonica emessa in atmosfera oggi proviene dal settore dei trasporti. Le normative europee impongono severi limiti alle emissioni che, entro il 2021, dovranno passare da 130 a 95 grammi di CO2 per km percorso.

Per raggiungere questo traguardo, le case costruttrici stanno sviluppando motori più efficienti, mentre le compagnie energetiche lavorano per migliorare le caratteristiche dei carburanti. Oltre allo sviluppo di auto ibride e elettriche efficienti, si sta studiando come catturare almeno in parte l’anidride carbonica prodotta dai motori tradizionali direttamente a bordo dei veicoli. Eni lavora insieme al MIT sulla cattura elettrochimica della CO2 all’uscita del motore. Il primo prototipo sarà testato su una autovettura nell’ambito di una collaborazione in corso con FCA.

COME TI FACCIO PLASTICHE E INTERMEDI CHIMICI CON LA CO2

Intanto, Eni sta studiando nuovi processi chimici che permettano di ottenere polimeri e altri intermedi chimici con caratteristiche innovative costruiti partendo dalla anidride carbonica opportunamente ridotta. Ne parleremo presto qui.

COME TI TRASFORMO LA CO2 IN MATTONI

Un’altra serie di progetti prende spunto da un processo naturale, la carbonatazione di alcune rocce, principalmente silicati di Magnesio o di Calcio, che catturano l’anidride carbonica presente in atmosfera trasformandola in roccia stessa. Se siete mai stati in una grotta, avrete certamente visto stalattiti, stalagmiti, colonne e concrezioni delle più incredibili forme. Queste sono state lentamente prodotte dalla trasformazione chimica dell’anidride carbonica che è entrata nella grotta insieme all’acqua piovana.

Gli stessi processi naturali spontanei possono avvenire molto più velocemente in un impianto industriale e permettere non solo di sottrarre all’ambiente grandi quantità di CO2 ma anche di trasformarla in materiali da costruzione. Eni si concentra sulla reazione di mineralizzazione dell’olivina, una roccia costituita per il 70% da silicato di Magnesio che, per reazione con CO2, porta alla formazione di carbonato di magnesio e silice amorfa. In questo modo – beniteso: sempre spendendo energia – si cattura la CO2 e si trasforma la polvere di olivina (residuo di lavorazioni industriali e priva di valore) in un solido che può essere utilizzato per realizzare mattoni o altri materiali da costruzione.

Questi sono solo alcuni dei progetti su cui sta lavorando la ricerca del cane a sei zampe. Ma il contributo di Eni a questa battaglia per la riduzione dei gas serra e per il contrasto al cambiamento climatico non si ferma a questo. Continueremo a parlarne proprio qui.

 

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