Il divario tra la quantità di carbone, petrolio e gas che i governi dei paesi produttori intendono immettere sul mercato e quella che consentirebbe di limitare il riscaldamento al di sotto di 1,5 °C continua ad aumentare, scrive Le Monde.
Nel 2015, circa 200 paesi hanno adottato l’accordo di Parigi sul clima, il cui obiettivo più ambizioso è quello di limitare il riscaldamento a 1,5 °C rispetto all’era preindustriale. Dieci anni dopo, i principali Stati produttori di idrocarburi prevedono di immettere sul mercato, entro il 2030, più del doppio della quantità di combustibili fossili compatibile con tale accordo. È quanto emerge dal “Production Gap Report” pubblicato lunedì 22 settembre, a meno di due mesi dall’apertura della 30a conferenza mondiale sul clima (COP30) a Belem, in Brasile.
AUMENTO DELLA PRODUZIONE DI CARBONE E GAS
Questo rapporto, realizzato dal 2019 dallo Stockholm Energy Institute (SEI), Climate Analytics e dall’International Institute for Sustainable Development, misura il divario tra la produzione globale di carbone, petrolio e gas prevista dagli Stati e quella necessaria per contenere la crisi climatica. Per effettuare questo calcolo, i ricercatori analizzano le roadmap energetiche di una ventina di paesi che da soli rappresentano oltre l’80% della produzione totale di combustibili fossili (Australia, Brasile, Canada, Cina, Colombia, Germania, India, Indonesia, Kazakistan, Kuwait, Messico, Nigeria, Norvegia, Qatar, Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti).
Secondo la quinta edizione di questo documento, entro la fine del decennio questi Stati prevedono di produrre il 120% in più rispetto al volume di combustibili fossili necessario per limitare il riscaldamento a 1,5 °C e il 77% in più rispetto a quanto sarebbe compatibile con un riscaldamento di 2 °C. Durante la COP28 a Dubai, nel 2023, i partecipanti si erano impegnati ad attuare “una transizione dalle energie fossili”. “C’è una discrepanza tra le ambizioni climatiche di questi paesi, che spesso si sono impegnati a raggiungere la neutralità carbonica, e i loro piani in materia di produzione fossile”, osserva Emily Ghosh, del SEI. Il Brasile, ad esempio, che ospiterà la COP30, prevede di aumentare notevolmente la sua produzione di petrolio (+56% entro il 2030 rispetto al 2023) e di gas (+110%).
Peggio ancora, il divario tra ciò che bisognerebbe fare e ciò che prevedono i governi continua ad aumentare: nel 2023, la quarta edizione del “Production Gap Report” riportava un divario del 110% per 1,5 °C e del 69% per 2 °C. Questo aggravamento è dovuto in particolare al fatto che molti Stati hanno rivisto al rialzo le loro ambizioni in materia di produzione a breve termine di carbone e gas.
LE REGOLE DEL “GIOCO”
Per i suoi autori, questo rapporto serve soprattutto a ricordare il ruolo chiave svolto dai governi. “In molti paesi, le aziende petrolifere e del gas sono di proprietà dello Stato”, ricorda Neil Grant di Climate Analytics. E nei paesi in cui esistono aziende private, sono i governi che concedono le licenze di esplorazione, approvano i progetti, istituiscono regimi di sovvenzioni e sostegno… Sono gli Stati a stabilire le regole del gioco, ma la maggior parte di essi non usa la propria influenza nel modo giusto“.
”Perriuscire nella transizione dalle energie fossili, non sarà sufficiente sviluppare le energie rinnovabili”, aggiunge Derik Broekhoff. Negli ultimi dieci anni, queste ultime si sono diffuse molto rapidamente, ma non hanno ancora permesso di ridurre la quota delle energie fossili. La principale implicazione del nostro rapporto è che i governi devono mettere in atto piani deliberati di uscita » da questi combustibili, conclude.
Il documento invita gli Stati a puntare all’uscita dalla produzione e dall’uso del carbone entro il 2040 e a una riduzione di almeno il 75% della produzione e dell’uso di petrolio e gas entro il 2050. Secondo un numero crescente di scienziati, l’obiettivo di limitare il riscaldamento al di sotto di 1,5 °C è ormai irraggiungibile.
(Estratto dalla rassegna stampa di eprcomunicazione)