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Ecco come Usa e Norvegia festeggiano per il gas russo ko

Le lamentele franco-tedesche sui prezzi praticati dalle compagnie americane del Gnl sono tardive e ipocrite. Ecco perché. L'articolo di Sergio Giraldo.

Il primo a muoversi è stato il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, che la scorsa settimana ha criticato i paesi “anche amici” che “ottengono al momento cifre astronomiche” fornendo il proprio gas all’Unione europea. “Questo pone dei problemi che vanno affrontati”, aveva aggiunto il ministro, sollecitando la Commissione Ue ad affrontare il problema. Il riferimento, per nulla velato, era a Norvegia e Stati Uniti, che hanno aumentato le loro forniture verso il vecchio continente ai prezzi altissimi del mercato di oggi. A ruota, nelle rivendicazioni è seguito il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire, che parlando martedì all’Assemblea Nazionale ha detto: “Non possiamo accettare che il nostro partner americano ci venda il suo LNG a un prezzo quattro volte superiore a quello al quale vende ai propri clienti industriali”. E poi, ha proseguito, “un indebolimento economico dell’Europa non è nell’interesse degli USA e per questo dobbiamo trovare rapporti economici più equilibrati”. Un doppio rimprovero coordinato, diretto a Joe Biden perché contenga la bramosia dei metanieri a stelle e strisce.

Berlino e Parigi, come noto, sono alle prese con gravi difficoltà sul fronte energetico. In Germania non arriva più il gas russo ormai da mesi e si va verso un inverno di razionamenti duri, mentre il governo ha stanziato altri 200 miliardi per pagare le bollette dei tedeschi. In Francia, il parco delle centrali nucleari è ancora per metà fuori servizio per problemi di manutenzione, è stato imposto un prezzo calmierato sull’energia ma il paese è in subbuglio per la perdita del potere d’acquisto della popolazione, con diversi scioperi in corso.

Mercoledì, il Consiglio europeo e la Commissione hanno fatto proprie le istanze tedesche, includendo il tema delle rinegoziazioni con i fornitori amici tra le linee di azione che la Commissione dovrà attuare nei prossimi mesi. Nella riunione di Praga è stato deciso anche di dare impulso agli acquisti congiunti, mettendo a fattor comune la posizione di acquisto europea, con la speranza di farla pesare nelle trattative sul prezzo. Tutte cose che servono alla Germania come l’ossigeno.

In effetti, da quando è iniziata la crisi energetica, sia gli Stati Uniti che la Norvegia hanno aumentato le proprie esportazioni verso l’Europa. Nel 2021 la Norvegia ha esportato verso l’Unione europea 81.56 miliardi di metri cubi via gasdotto, nel 2022 siamo già a 89 (+9%). Sono però soprattutto gli Stati Uniti ad aver incrementato le proprie forniture di LNG all’Europa. Già nel 2021 i volumi erano passati a 29 miliardi di metri cubi dai 22 miliardi del 2020 (+30%), ma è nel 2022 che le consegne sono esplose, arrivando a 50,2 miliardi nei primi nove mesi dell’anno (+73% rispetto all’intero 2021). Un exploit che non ha precedenti nei rapporti tra gli USA e l’Europa. A che prezzi ha comprato l’Europa tutto questo gas? Ai prezzi di mercato, ovviamente, alti perché molto vicini a quelli registrati al TTF. Se il gas americano all’Henry Hub viene trattato all’ingrosso a circa 22.5 €/MWh, quello al TTF è intorno ai 158 €/MWh e il LNG destinato all’Asia viaggia attorno a un prezzo di 120 €/MWh (prezzi di ieri, ndr).

Il fatto che l’Europa sia disposta a pagare più dell’Asia per avere il gas via nave sta privando altri paesi delle forniture americane, ad esempio Pakistan e India. L’export USA è già aumentato del 15% in un anno e la gran parte della capacità produttiva è impegnata con contratti a lungo termine. In più, l’incidente occorso ad uno dei maggiori siti di esportazione di Freeport LNG ha ulteriormente limitato la capacità statunitense, e sarà così almeno sino a marzo prossimo.

Le lamentele franco-tedesche sui prezzi praticati dalle compagnie americane del gas liquido sono però assai tardive e ipocrite. Quando dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia gli Stati Uniti imposero all’Europa di abbandonare le forniture di gas russo, Bruxelles si accontentò di un generico impegno da parte degli USA a fornire 15 miliardi di metri cubi di gas nel 2022 e di un ancor più generico impegno a portare questo quantitativo a 50 entro il 2030. Nessun accordo però è stato preso sui prezzi, a quanto risulta. Non contenti di non aver concordato nulla con gli USA (quantitativi a lungo termine, prezzi, salvaguardie), gli improvvisati tecno-burocrati di Bruxelles lo scorso maggio hanno approvato il RepowerEU, che esplicitamente spingeva a rinunciare immediatamente a due terzi delle forniture russe. A quel punto, cosa poteva frenare il prezzo LNG, in un mercato già molto stretto, dove l’offerta è limitata? L’Unione europea si è gettata a corpo morto in un gioco più grande di lei, senza alcuna preparazione, senza avere negoziato a fondo i termini di un supporto americano a lungo termine, senza aver predisposto prima una rete di fornitori alternativi, senza aver organizzato prima le infrastrutture in grado di accogliere navi metaniere e senza aver negoziato prima aumenti di volume con i fornitori attuali (Algeria, Norvegia, Azerbaijan). Una clamorosa incapacità cui ora si pensa di porre rimedio con mesi di inutili trattative su fantasiosi corridoi di prezzo, nuovi benchmark e razionamenti da tempo di guerra. Dietro i richiami francesi e tedeschi all’alleato americano c’è un appello ad un maggiore supporto sui prezzi, è vero. Ma vi è anche l’involontaria e drammatica presa d’atto della situazione estrema in cui si trova tutta l’Europa, condotta in un vicolo cieco da una classe dirigente misera e inetta.

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