Buone notizie per il bilancio dello Stato in questo primo scorcio del 2023. Infatti le previsioni di spesa per gli aiuti a favore delle imprese si stanno rivelando largamente superiori rispetto alla reale spesa presumibile in base all’attuale andamento dei costi di energia e gas.
Quando a dicembre il governo Meloni presentò alle Camere il disegno di legge per il bilancio 2023, una parte considerevole degli interventi a favore di imprese e cittadini (9,8 miliardi su 42 miliardi complessivi, di cui 21 finanziati in deficit e gli altri 21 finanziati da tagli alle spese o aumenti di entrate) fu destinato proprio ad alleviare l’impatto previsto dei costi di energia e gas sulle imprese.
In particolare, le imprese energivore stanno beneficiando nel primo trimestre di un contributo, utilizzabile come credito di imposta, pari al 45% della spesa per la componente energia. Per le imprese non energivore, il contributo è del 35%. Le imprese gasivore e non gasivore beneficiano entrambe di un contributo pari al 45%.
Si tratta sostanzialmente della riproposizione dello stesso meccanismo messo a punto dal governo Draghi a partire dal primo trimestre 2022, con percentuali molto più basse (per le energivore, si partì dal 20% per arrivare al 40% col primo decreto del governo Meloni).
L’importante novità che sta emergendo in questi giorni è che le previsioni di prezzo di energia e gas, poste alla base delle stime per giungere al fabbisogno complessivo di 9,8 miliardi (dettagliato in tabella) sono di gran lunga superiori rispetto ai prezzi finora rilevati sul mercato, che approssimano quelli verosimilmente sostenuti dalle imprese. Oltre ai prezzi, potrebbero esserci anche risparmi derivanti dai minori volumi di energia e gas effettivamente consumati dalle imprese, rispetto a quelli ipotizzati nella relazione tecnica.
Infatti, nel primo trimestre la produzione industriale è in (sia pur lieve) rallentamento.
In particolare, il prezzo unitario dell’energia usato dai tecnici del Mef è pari a €/Mwh 305 (in effetti dicembre si è chiuso con un prezzo medio di €/Mwh 303), mentre la media del mese di gennaio del PUN (Prezzo Unico Nazionale) finora è stata pari a €/Mwh 172. Ben il 44% in meno.
Stesso fenomeno per quanto riguarda il prezzo del gas. Il prezzo medio finora registrato dal Gse è pari a €/MWH 69, mentre le previsioni del governo sono state formulate sulla base di €/MWH 119, molto vicine a quello che è stato il prezzo medio di dicembre, pari a €/MWH 116. Anche in questo caso, il 42% in meno.
È pur vero, ed è doveroso sottolinearlo, che siamo ad appena 20 giorni sui 90 del trimestre, ed i conti veri dovranno farsi all’inizio di aprile. Ma, pur con tutte le incertezze connesse con la guerra in Ucraina, lo scenario di prezzi ipotizzati dal governo appare oggi di difficile realizzazione.
Infatti, dal lato della domanda, grazie al clima mite registrato finora, i consumi domestici sono stati contenuti ed i consumi industriali sono relativamente deboli a causa della stagnazione dell’economia. Dal lato dell’offerta, l’arrivo di gas russo è ormai ridotto al lumicino e quindi peggio di così non può andare e gli stoccaggi sono ad un livello così alto da consentire di superare l’inverno senza scossoni. E non si intravedono fatti rilevanti in grado di spostare in modo significativo questo, sia pur precario, equilibrio.
Si prospetta quindi, per il governo Meloni, un considerevole risparmio di spesa. Se i prezzi sul mercato dovessero restare questi, si tratterebbe del 40% circa dei 9,8 miliardi stanziati, quindi circa 4 miliardi. Una somma molto rilevante. Tutto questo al lordo dell’effettivo utilizzo dei crediti di imposta da parte delle imprese che, come l’esperienza del 2022 ha insegnato, non sempre riescono ad avere debiti di natura fiscale (la cessione è un miraggio) da compensare e quindi non riescono a beneficiare effettivamente del contributo.
A breve, il governo dovrebbe trovarsi di fronte alla decisione sulla destinazione di questi risparmi. Li riverserà sul secondo trimestre, per il quale oggi non è previsto alcun aiuto? Sarebbe la soluzione più logica, perché così si eviterebbe di far trovare le imprese di fronte ad un pericoloso scalino. Oppure, se i prezzi dell’energia continuassero ad essere stabili e quindi relativamente sostenibili da parte delle imprese, destinerà quei miliardi verso altri provvedimenti destinati a mantenere promesse elettorali?
Scopriremo presto la risposta. Ci auguriamo soltanto che non restino nelle casse dello Stato, aumentando ancor più l’impostazione restrittiva della legge di bilancio, solo per soddisfare i falchi della Commissione di Bruxelles.