Caro direttore,
leggevo ieri il vostro approfondito pezzo sulle tensioni dentro Confindustria tra le imprese manifatturiere e le società produttrici di energia. Le prime si lamentano degli alti prezzi energetici, molto più alti in Italia rispetto ad altri paesi d’Europa; le seconde sottolineano gli aiuti pubblici incassati ogni anno dagli industriali, come a dire: “Non vi bastano? Vi servono altri sostegni ancora?”. Le prime – mi pare di capire – possono contare sull’appoggio di Aurelio Regina, il delegato per l’energia del presidente di Confindustria da sempre molto apprezzato nella galassia del centrosinistra anche se ritenuto multipartisan; mentre le seconde sono rappresentate da Enel, cioè dalla più grande società elettrica italiana, che secondo Repubblica avrebbe addirittura minacciato di uscire dall’organizzazione.
Enel, tuttavia, ha smentito sia le dichiarazioni riportate dal quotidiano, sia la ricostruzione secondo cui Flavio Cattaneo si sarebbe recato a Palazzo Chigi per discutere della questione energetica con i rappresentanti del governo.
Comunque, al di là di questo, appresi gli schieramenti nella confederazione e le opposte ragioni, ho letto stamattina l’ultima Congiuntura Flash del Centro Studi Confindustria. Mi sono soffermato in particolare sull’ultima sezione, quella dedicata alla Spagna, un paese abbastanza simile all’Italia sotto il punto di vista economico, tanto che nel rapporto si parla di “gemelli diversi”. Riporto un estratto significativo non soltanto per quello che si afferma, ma soprattutto per quello a cui si allude. Parlando delle differenze tra Italia e Spagna, il Centro Studi Confindustria scrive che
I rendimenti dei titoli di Stato, storicamente vicini, da alcuni anni sono più bassi in Spagna che in Italia (3,15% e 3,55% i decennali nei primi 5 mesi): il divario di 0,40 punti sui tassi a medio-lungo termine favorisce consumi e investimenti spagnoli, rispetto a quelli italiani. Stesso effetto del divario nei prezzi dell’energia.
Ad aprile – spiegava sempre Confindustria in un focus – il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso nel nostro paese è stato di 99,8 euro al megawattora, molto più alto rispetto alla Germania (77,9 €/MWh), alla Francia (42,2 €/MWh) e soprattutto alla Spagna (26,8 €/MWh). Tra 100 euro al megawattora e 27, in effetti, il divario è grande.
Mi chiedo allora, caro direttore, se quella considerazione finale rifletta una realtà oggettiva oppure se non sia stata inserita – in quel modo un po’ sentenzioso, a chiusura dell’analisi – per esprimere vicinanza alle ragioni dei comparti manifatturieri? Oppure sono troppo malizioso?
Del resto – lo avete scritto anche voi – il presidente di Confindustria Emanuele Orsini (nella foto) pensa che il prezzo dell’energia “non è un problema, ma è il problema” delle imprese italiane. I produttori energetici dovrebbero fare un gesto patriottico e stipulare dei contratti di fornitura a prezzi più vantaggiosi con le imprese? Ma bisogna anche tenere conto del fatto che se i profitti di Enel – poniamo – dovessero diminuire, lo stato, che ne è il maggiore azionista, ci rimetterebbe.
Come uscirne? Ah, saperlo…
Ma la posizione di Confindustria mi pare chiara.
Cordiali saluti,
Francis Walsingham