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Pirolisi, cos’è e chi la usa per smaltire i rifiuti

L'approfondimento di Lorenzo Bernardi

Il dibattito sugli inceneritori sta squassando il Governo. Al leader della Lega Matteo Salvini che ha “sdoganato” gli impianti, ha risposto la controparte grillina Luigi Di Maio, bollandoli come “vintage” e dettando la linea del M5S: puntare sulla differenziata.

INCENERITORI E TERMOVALORIZZATORI

In realtà sul tema dello smaltimento rifiuti la confusione regna sovrana. Gli impianti sono di varia natura. Come ha scritto l’economista Nino Galloni su Startmag, da un lato abbiamo gli inceneritori, strutture dalla tecnologia piuttosto vecchia che di fatto bruciavano l’immondizia rilasciando nell’aria importanti quantità di sostanze nocive, su tutte le diossine. Dall’altro, i termovalorizzatori, sistemi che prevedono la produzione di energia a partire dalla combustione dei rifiuti e che sono dotati di filtri capaci di abbattere il livello delle dispersioni di materiale dannoso in atmosfera. Uno dei più grandi termovalorizzatori, in Italia, è a Brescia. Ma anche Torino, Parma e altre città ne hanno uno.

I PIROLIZZATORI

Galloni evidenzia che la tecnologia offre un terzo tipo di impianti: i pirolizzatori. Si tratta di impianti nei quali i rifiuti vengono trattati attraverso la pirolisi, o dissociazione molecolare. «È un processo di degradazione termica in assenza di ossigeno, che, sotto particolari condizioni di pressione e temperatura (circa 450-500° c di temperatura, pressione inferiore a quella atmosferica di circa 10 mm di mercurio) trasforma le sostanze organiche presenti nel rifiuto in prodotti solidi, liquidi e gassosi combustibili», ha spiegato l’economista Giuseppe Pennisi in un suo recente scritto. In sostanza si tratta di separare le molecole di cui sono composti i rifiuti senza bruciarli, almeno nel senso più comune del termine. «Attraverso questa conversione termochimica si perviene, alla rottura dei legami chimici (fenomeno di piroscissione) con formazione di una componente gassosa combustibile (gas da pirolisi o syngas in quantitativo pari al 70% in massa dei rifiuti immessi) ed una componente solida (coal o char da pirolisi) in quantitativo pari al 30% in massa dei rifiuti immessi. Il gas prodotto viene recuperato in energia mediante processi a ciclo di vapore, mentre il carbone prodotto può essere utilizzato in cementifici, centrali a carbone o ulteriormente trattato in una apposita sezione dell’impianto per il suo recupero energetico. In sintesi attraverso un processo che non prevede né la combustione diretta del rifiuto né la presenza di ossigeno, circa il 90% del volume totale può essere utilizzato per la produzione di energia (trasyngas e carbone da pirolisi). Il restante 10%, che è rappresentato dal prodotto di scarto, è la sola parte del sacchetto di immondizia che lascia la nostra pattumiera per finire in discarica. La “pirolisi” avviene senza la combustione diretta dei rifiuti ed in assenza di ossigeno. Quindi, non si formano diossina o altre sostanze velenose». Galloni ha indicato due brevetti, in Italia, che hanno le aziende Italgas e Ansaldo.

LA COMPETITIVITÀ DEI PIROLIZZATORI

Secondo Galloni, i pirolizzatori sono competitivi rispetto ai termovalorizzatori per motivi ambientali ma anche economici. La ragione è che, pur avendo le due tecnologie un costo simile, la prima funziona anche in impianti piccoli, laddove il termovalorizzatore sfrutta maggiormente “l’effetto scala”. «Basta scorrere Internet per vedere come la tecnologia si sta diffondendo in Italia, soprattutto nelle regioni settentrionali».

LE COMUNITÀ CONTRARIE AGLI IMPIANTI

Se è vero che al nord si parla molto di pirolisi, c’è anche da dire che non mancano le polemiche. In Italia non esistono, ad oggi, impianti pirolizzatori di portata paragonabile a quella dei termovalorizzatori. Nel 2011 si è incominciato a parlare della realizzazione di un impianto “pulito” a Reggio Emilia che, basandosi su un brevetto dell’azienda 4HT di Novara, avrebbe dovuto smaltire 130mila tonnellate di rifiuti a emissioni zero. Tuttavia, presto il progetto è tornato nell’oblio.

Di progetti simili – spesso su scala più ridotta – si è discusso molto, e in vari casi le comunità locali sono insorte, segno che il messaggio dell’impatto zero della pirolisi non è passato. Si tratta soprattutto di impianti privati, contro i quali sindaci e comuni, assieme a vari comitati spontanei, hanno levato la voce e in certi casi alzato barricate.

Nel 2017 a Cernusco sul Naviglio il sindaco, su pressione dei cittadini, ha chiesto chiarimenti sulla realizzazione di un pirolizzatore per rifiuti non pericolosi. Nel 2015 a Retorbido, nel Pavese, sindaco e cittadinanza si sono mobilitati in un comitato contro una struttura analoga. Qualcosa di simile era successo nel 2013 a Casalino, nel novarese, per un impianto di smaltimento di pneumatici.

A proposito di Casalino, fra gli altri contestatori del progetto figura il M5S di Novara, che in un post sul suo blog ha argomentato come la diffusione dei piccoli pirolizzatori domestici (“non certo la via perfetta”) potrebbe affossare la differenziata.

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