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Big Oil

Petrolio, tutte le mosse di Russia, Cina e Giappone dopo la mazzata di Trump all’Iran

L’articolo del giornalista Pieremilio Gadda su come si stanno muovendo Stati come Russia, Cina e Giappone dopo le sanzioni degli Usa di Trump all'Iran su petrolio e non solo

La volata delle quotazioni petrolifere – ai massimi da quattro anni, con il Brent intorno agli 85 dollari al barile e il Wti americano sopra i 75 – mette le ali alle società del comparto energetico, che si apprestano a chiudere il terzo trimestre con risultati migliori delle attese.

PERCHE’ LE COMPAGNIE GIOISCONO

Ne è convinto Pierre Melki, equity analyst advisory & research di Union Bancaire Privée, secondo cui “le più importanti società energetiche europee, in particolare quelle esposte al WTI e al greggio canadese, continueranno a beneficiare del differenziale di prezzo in queste regioni e potrebbero sovraperformare i loro competitor”.

I MOTIVI DELLA CORSA DEL PETROLIO

Ma quali sono le ragioni della corsa del petrolio e cosa è lecito aspettarsi dal settore per il prossimo futuro? Sul fronte dell‘offerta le incognite non mancano: da un lato il collasso dell’industria petrolifera venezuelana, travolta dall’instabilità politica ed economica del Paese.  Dall’altro le sanzioni statunitensi sull’Iran che scatteranno il prossimo 1° novembre, con il presidente Usa Donald Trump che chiede al resto del mondo di non comprare più petrolio da Teheran.

COME VANNO LE ESPORTAZIONI DELL’IRAN

In effetti le esportazioni di petrolio iraniano sono già scese al minimo in due anni e mezzo, con una contrazione di 260mila barili solo a settembre e un calo delle esportazioni del 39% da aprile. E la tendenza potrebbe accentuarsi il mese prossimo, quando le sanzioni entreranno in vigore.

LE MOSSE DI GIAPPONE E COREA DEL SUD

Giappone e Corea del Sud, grandi importatori di greggio iraniano, hanno già smesso di acquistare da Teheran e l’India potrebbe fare lo stesso. In un simile contesto, gli investitori si chiedono se l’Opec sarà in grado compensare i cali – e per il momento la risposta sembrerebbe affermativa.

IL RUOLO DELL’OPEC

Nonostante il crollo di esportazioni e produzione da Iran e Venezuela infatti, la produzione dell’Opec è aumentata il mese scorso, con le 15 nazioni del gruppo che hanno pompato 30mila barili in più a settembre rispetto ad agosto, trainate soprattutto da Arabia Saudita, Angola e Libia.

CHE COSA HA DECISO LA RUSSIA

Anche la Russia ha incrementato la produzione fino a 11,36 milioni di barili al giorno, un record dalla fine dell’Unione Sovietica. E gli stessi Stati Uniti, artefici delle sanzioni, stanno cercando di limitare i prezzi petroliferi e di garantire una certa stabilità dei mercati.

I RISVOLTI DELLA GUERRA CINA-STATI UNITI

Sul fronte della domanda intanto, non sono ancora chiari i possibili risvolti della guerra commerciale in atto fra Cina e Stati Uniti, ma – osserva Melki – sembra improbabile che Donald Trump possa abbassare i toni prima delle prossime elezioni di mid term (in agenda il 6 novembre). Certo è che un accordo tra Usa e Cina allevierebbe i timori dei grandi investitori, che vedono proprio in Pechino, oltre che nell’India, uno dei maggiori importatori di petrolio di qui ai prossimi due anni.

LO SCENARIO

In ogni caso, conclude Ubp, per il momento le stime della domanda rimangono stabili, con una crescita media di 1,5 milioni di barili al giorno. “Ma la situazione potrebbe cambiare se gli effetti della guerra commerciale dovessero produrre un impatto sulla domanda cinese”, mette in guardia Melki.

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

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