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Petrolio, ecco come l’Iran fa marameo alle sanzioni Usa

Nonostante le sanzioni Usa in vigore, la produzione di petrolio in Iran e le esportazioni da quel Paese hanno conosciuto nel mese di agosto picchi non visti dal 2018, anno in cui Donald Trump stracciò l’accordo nucleare con Teheran.

Come si spiega il mistero di un Paese come l’Iran la cui produzione ed export di petrolio sta conoscendo nuovi picchi nonostante le sanzioni Usa in vigore? La risposta è che l’America non è più interessata a far rispettare le sue stesse sanzioni perché vede di buon occhio il ritorno del greggio iraniano sul mercato per calmierare i prezzi e compensare il nuovo taglio alla produzione deciso dall’Opec+.

Boom della produzione e dell’export.

Nonostante le sanzioni Usa in vigore, la produzione di petrolio in Iran e le esportazioni da quel Paese hanno conosciuto nel mese di agosto picchi non visti dal 2018, anno in cui Donald Trump stracciò l’accordo nucleare con Teheran.

Basandosi sui dati di TankerTrackers.com, organismo che monitora e misura le consegne via cargo di petrolio, Bloomberg riporta che nei primi venti giorni di agosto l’Iran ha esportato 2,2 milioni di barili al giorno di greggio e condensati, un volume di molto superiore a quello registrato nei precedenti mesi del 2023.

Anche la produzione risulta in aumento, sottolinea il portale Oil Price: all’inizio del mese il Ministro iraniano del Petrolio Javad Owji ha dichiarato che il Paese stava pompando quasi 3,2 milioni di barili al giorno, prevedendo un aumento entro la fine del mese fino a 3,3 milioni. Sempre questo mese, inoltre, il capo della compagnia petrolifera di Stato ha annunciato piani per aumentare ulteriormente la produzione entro la fine di settembre raggiungendo i 3,5 milioni di barili al giorno.

Secondo un’altra stima di Bloomberg, la produzione potrebbe raggiungere i 3,6 milioni di barili al giorno entro la fine dell’anno, non lontano dunque dai 3,8 milioni che l’Iran produceva prima che Trump cestinasse l’accordo nucleare.

Destinazione Cina.

Giacché gli antichi acquirenti del greggio iraniano, come gli europei, la Corea del Sud e il Giappone, non osano acquistarlo per non irritare gli Usa, e poiché l’India almeno per ora si sta rivolgendo alla Russia, è la Cina a farne incetta.

Approfittando anche di uno sconto sul prezzo che raggiunge secondo Bloomberg i dieci dollari al barile, Pechino sta acquistando in pratica quasi il 100% del greggio che Teheran immette nel mercato.

I dati di Kpler mostrano che le esportazioni verso la Cina hanno raggiunto ad agosto un picco di 1,5 milioni di barili al giorno, il livello più alto dell’ultimo decennio, ma secondo TankerTrackers.com i barili che raggiungono la Cina supererebbero addirittura i due milioni.

Effetto sui costi.

Il boom delle esportazioni dall’Iran ha avuto l’effetto di aumentare i flussi petroliferi globali nel momento in cui i maggiori produttori come l’Arabia Saudita, riuniti nel cartello Opec+, hanno deciso di ridurre la produzione di 1 milione di barili al giorno.

Ciò ha avuto una ripercussione sui prezzi, con il barile che questa settimana a Londra era quotato sotto gli 85 dollari, con grande sollievo dei consumatori e delle Banche centrali, che intravvedono ora la possibile fine della spirale inflazionistica.

Con il prezzo del gallone di benzina negli Usa sceso a 4 dollari, è anche Joe Biden ad esultare intravvedendo una concreta chance di essere rieletto nel 2024.

Verso la fine delle sanzioni?

Il mistero di un Paese sotto sanzioni che aumenta produzione ed export è presto spiegato: gli Usa stanno chiudendo un occhio.

Alcuni esponenti dell’Amministrazione Biden hanno confermato a Bloomberg che Washington ha smesso volutamente di far rispettare le sanzioni che gli Usa avevano reintrodotto nel 2018.

Il gioco degli Usa si spiega non solo con gli effetti benefici del ritorno sul mercato del greggio iraniano, ma anche con la diplomazia segreta in corso tra i due Paesi che stanno negoziando un nuovo accordo complessivo sulla falsariga di quello firmato nel 2015 sotto gli auspici del gruppo cosiddetto dei P5+1.

Risale a pochi giorni fa l’intesa con cui gli Usa hanno ottenuto la liberazione di cinque detenuti americani in cambio dello scongelamento di 6 miliardi di dollari depositati in Corea del Sud e derivanti dai proventi di vecchie partite di greggio. Nonostante sia stato molto criticato in patria, l’accordo ha confermato l’esistenza di colloqui riservati in corso tra i due Paesi.

L’opinione degli esperti.

Come ha sottolineato a Bloomberg Helima Croft, analista di RBC Capital Markets, “si tratta del tradizionale gioco della diplomazia energetica: stringere accordi per ottenere ulteriori barili. Gli interessi economici di Usa e Iran sono allineati quando si parla di immettere più barili nel mercato”.

È un’analisi con cui concorda un altro analista come Fernando Ferreira, direttore della sezione Rischio geopolitico di Rapidan Energy Group, per il quale “la Casa Bianca sarebbe ben lieta di vedere ulteriori barili nel mercato per contribuire a tenere i prezzi sotto controllo”.

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