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Perché siamo alla mercé di Putin sull’energia

Il taccuino di Federico Guiglia   Plichi, bolli, cavilli: non manca nulla nella Repubblica fondata sulla burocrazia e sulle calende greche. In questo caso più ancora che romane: la già rinomata tradizione del rinvio. Ora che la sciagurata guerra di Putin presenta il conto anche energetico agli europei dipendenti dal suo gas, con tedeschi e…

 

Plichi, bolli, cavilli: non manca nulla nella Repubblica fondata sulla burocrazia e sulle calende greche. In questo caso più ancora che romane: la già rinomata tradizione del rinvio.

Ora che la sciagurata guerra di Putin presenta il conto anche energetico agli europei dipendenti dal suo gas, con tedeschi e italiani in prima fila a pagare tariffe alle stelle, ci siamo accorti di quale danno economico abbia provocato l’assoluta mancanza di una strategia politico-istituzionale negli ultimi quattro decenni. È come se il disastro di Chernobyl (1986) abbia fatto anche da detonatore di tutte le nostre paure per lo sviluppo sostenibile, senza neppure richiedere lungimiranza e competenza alla politica sulla linea da seguire dopo il precipitoso abbandono del nucleare in Italia. Unico fra i grandi Paesi industrializzati ad averlo fatto in quel modo e senza investire in fonti alternative. Della serie: intanto spegniamo le centrali e poi si vede.

Ma, purtroppo, non s’è visto niente e oggi siamo due volte alla mercé di Putin che bombarda l’Ucraina: col rischio che le forniture ce le tagli lui per ritorsione o che ne facciamo a meno noi per sanzionarlo.

Tuttavia, se ogni altra nazione d’Europa ha già pronte altre carte per reagire all’eterno ricatto, noi giochiamo al buio. E il primo esempio nella Repubblica del Tar, l’altra metafora di una nazione dove i ricorsi contro ogni innovazione sono la sola certezza (oltre alla lentezza per definirli), viene proprio dall’alto. Può ritardare anni -non giorni o settimane: anni- la semplice emanazione di decreti che modifichino decreti precedenti. Per poi scoprire che sono oltretutto scritti in ostrogoto, anziché in italiano, e dover così perdere altro tempo per decifrarli con l’aiuto di esperti dell’incomprensibile.

Se sono i governi per primi a frenare la crescita con un approccio borbonico ai cambiamenti, come facciamo poi a sognare la rivoluzione digitale, la transizione ecologica, le nuove sfide del Pnrr?

Eppure, la burocrazia non è un male incurabile. Basterebbe applicarsi, come testimonia il nuovo ponte di Genova. Un’opera fondamentale e formidabile costruita con procedure rapide, trasparenti, efficienti.

La stessa capacità di guardare lontano e di intervenire con competenza e determinazione sono ora richieste alle istituzioni e ai soggetti coinvolti per evitare le altrui stangate e minacce. Per far camminare l’Italia al passo, spedito, dei tempi.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi)

Federico Guiglia (www.federicoguiglia.com)

 

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