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Tre Miliardi Di Alberi

Perché la Commissione europea vuol piantare tre miliardi di alberi

L'articolo di Enrico Martial

Il 14 luglio, a Bruxelles, alla conferenza stampa di presentazione del pacchetto climatico Green Deal, o “Fit for-55”, un giornalista ha chiesto: “ma dove piantiamo tre miliardi di alberi?” Questo, infatti, è uno degli obiettivi dell’azione sulle foreste-suolo, che è compresa nel vasto pacchetto di direttive e regolamenti approvato dalla Commissione quello stesso giorno, il 14 luglio 2021.

Tre miliardi di alberi sono tanti, più di sei per cittadino europeo, e sono in effetti l’argomento più appariscente dell’azione, che comprende altre misure dedicate all’uso del suolo e alla silvicoltura. Nell’insieme, il Fit-for-55 per il suolo e le foreste costituisce un innalzamento degli obiettivi già stabiliti e già in attuazione, a partire dal regolamento 841/2018, detto LULUCF (Land-use, land-use change and forestry), lo stesso acronimo del protocollo iscritto nell’accordo di Kyoto del 1997, rilanciato dall’Accordo di Parigi del 2015. Su scala globale, il settore agricolo contribuisce direttamente a circa il 26% delle emissioni.

In sostanza, gli Stati membri erano già vincolati al criterio “no-debiti”, cioè a compensare sempre nel settore suolo-foreste le emissioni generate in agricoltura, per esempio quelle dell’allevamento, circa la metà del totale. La proposta di regolamento di Fit-for-55 di questi giorni è anche una correzione di rotta: la Corte dei Conti europea ha rilevato in un rapporto del 21 giugno 2021 che la Politica agricola comune (PAC) continua a sostenere pratiche contrarie agli obiettivi ambientali, per esempio finanziando le torbiere drenate, che occupano meno del 2% delle superfici agricole ma generano il 20% delle emissioni del settore. La compensazione è quindi una necessità.

Nel sottofondo, c’è un dibattito, anche pesante, sulla neutralità climatica delle biomasse. Si dice da un lato che il debito in CO2 esiste lo stesso e non c’è neutralità, perché l’albero che taglio oggi per bruciarlo impiega anni per ricrescere. D’altra parte, vi è sempre l’argomento delle “fonti energetiche peggiori”, come il carbone, che fa ragionare sul “meno-peggio”, con cui si sostengono paralleli argomenti per il nucleare o per il gas. Così la Commissione, anche rispetto a un mercato significativo e a Paesi schieratissimi (come la Svezia, per dirne uno), introduce nel regolamento misure puntuali, come l’obbligo a non utilizzare come biomasse i tronchi degli alberi tagliati, ma le loro punte, i rami, l’insieme degli scarti da lavorazione, segature, oppure le ramaglie da attività agricola. Si tratta di circa il 20% dell’albero tagliato, il cui tronco può essere destinato alle costruzioni. Proteggere il tronco è anche un modo per ridurre la pressione sui boschi che non possono essere pensati come depositi di fonti combustibili. Le polemiche sono fiorite nella fase preparatoria, sugli impatti per le aziende energetiche, o in Parlamento europeo sulle possibili perdite di posti di lavoro nelle aree rurali. In Italia oggi le biomasse valgono il 17% delle fonti rinnovabili, con 3,5 milioni di tonnellate di materiali utilizzati.

L’equilibrio si ottiene forse a termine aumentando l’offerta, con i nuovi alberi. Offrirebbero più materiale per la bioenergia, ma soprattutto farebbero (come si impara a scuola sulla fotosintesi) da giganteschi assorbenti, da “pozzi per il CO2”. Si passerebbe dal sequestro di 263 mln a 310 mln di tonnellate di CO2 entro il 2030. Sul resto, ci sarebbero più obblighi per gli Stati a mitigare le emissioni dalle produzioni a suolo e da allevamento, a meglio monitorare con il digitale e big data ogni albero, ad allineare le politiche di biodiversità e bioenergia, a proteggere fermamente i boschi “patrimoniali”, a fissare per il 2035 le neutralità climatica del settore suolo-foreste.

Per l’attuazione e come fase preparatoria, fino al 2026 non ci sarebbero cambiamenti drastici, con modesti effetti sui sistemi economici di settore e sulle zone rurali, salvo appunto sul monitoraggio o le nuove piante o l’ulteriore messa in sicurezza delle aree forestali già protette. Dal 2026 al 2030 ci saranno misure stringenti sulle emissioni, anche diverse dal CO2, e relative all’allevamento. Un’operazione misurata e con i suoi limiti, ma necessaria per aggirare e preparare il settore collaborando e senza affrontarlo di petto.

Quanto ai tre miliardi di nuovi alberi, la Commissione europea ha cercato di spiegarsi con un documento di lavoro, una scheda riassuntiva e un calendario. Non si farà sostituzione di alberi esistenti, ma forestazione negli spazi giusti (non nelle aree a protezione ambientale per esempio), con gli alberi corretti (per storia, biodiversità ecc.), in partenariato diretto con gli Stati e gli enti territoriali, con il coinvolgimento dei cittadini, che potranno seguire l’evoluzione e promuoverla (Map-My-Tree, visto che sono sei piante a testa). Lo strumento è sempre di soft power, con incentivi finanziari, strumenti motivazionali e rimozione di ostacoli non economici.

Si comincia nel primo trimestre 2022 con le Linee Guida per piantarli, un sistema online di monitoraggio e di contabilità di ogni albero esistente (grazie al digitale), di prime nuove piante lungo le infrastrutture, le strade periurbane, nelle città (anche per mitigare le temperature), negli spazi privati, nelle terre incolte (4,8 mln di ettari nel 2030) ecc. tenendo conto dei costi di mantenimento, dei bisogni in acqua, della salvaguardia dei suoli ecc.

A commento, in mezzo a complicazioni tecniche e regolamenti, questa idea di piantare tutti questi alberi fa infine ricordare la Sardegna: nel quadro dell’industrializzazione sette-ottocentesca, subì drastici tagli e una forte riduzione delle sue foreste. Fatti salvi i mille problemi ambientali e selvicolturali, il tema e le risorse che l’accompagneranno potrebbero oggi suscitare nell’isola, come in altre aree del Paese, un certo interesse.

 

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