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Azerbaigian

Perché il gasdotto Tap è strategico per l’Italia

Il commento di Alessandro Lanza, già capo economista dell’Eni, ora consigliere di amministrazione dell’Enea indicato dal ministero dello Sviluppo economico

Il Tap fa parte di un’infrastruttura di carattere strategico, che punta a diversificare le fonti e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. L’Italia è uno dei tanti paesi che partecipano al progetto. Un ritiro unilaterale potrebbe costare caro.

COS’È IL TAP E PERCHÉ È  RILEVANTE

Dopo mesi di relativo silenzio, è riesplosa la mai sopita polemica sulla realizzazione del gasdotto Tap (Trans Adriatic Pipeline). Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, e la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, hanno dato vita – durante una conferenza stampa che verteva su tutt’altra questione – a uno scambio di velenose battute assai poco commendevoli. Per riprendere i fili della discussione e ragionare sulle possibili evoluzioni è necessario ricostruire i punti salienti del dibattito e del progetto.

Il Tap fa parte del Corridoio meridionale del gas (Southern Gas Corridor o Sgc). Si tratta di un insieme di progetti di infrastrutture parzialmente finanziati dall’UE e destinati a incrementare la diversificazione delle fonti e la sicurezza degli approvvigionamenti, grazie al trasporto di nuovo gas naturale, proveniente dall’Asia centrale. È dunque un pezzo, quello finale, di un progetto più ampio: un gasdotto lungo complessivamente quasi 4 mila chilometri, di cui il tracciato Tap in senso stretto copre 878 chilometri (550 chilometri in Grecia; 215 chilometri in Albania; 105 chilometri nell’Adriatico e 8 chilometri in Italia).

Il Corridoio meridionale del gas è fra i sistemi di gasdotti più complessi mai realizzati al mondo. Attraversa sette paesi coinvolgendo una decina fra le principali società del settore. Attiva progetti energetici per un investimento complessivo di oltre 50 miliardi di dollari, che comprendono lo sviluppo del giacimento di Shah Deniz sul Mar Caspio e la creazione di tre reti di gasdotti: il South Caucasus Pipeline (Azerbaijan, Georgia, Turchia), il Trans Anatolian Pipeline (Turchia) e appunto il Trans Adriatic Pipeline (Grecia, Albania, Italia).

Questa breve premessa serve a rimarcare il carattere strategico internazionale di un’infrastruttura che va molto oltre le piccole scaramucce della nostra politica.

I PROBLEMI APERTI

Uno dei problemi del Tap – e del nostro dibattito domestico – è l’errata percezione (ovvero la sottovalutazione) della rilevanza del tema nello scacchiere internazionale. A noi pare di avere tutte le carte del mazzo per poter decidere la soluzione che più ci piace, ma in realtà la situazione è molto più complessa e richiederebbe maggiore attenzione.

La figura 1 riporta qualche dato che riguarda l’Italia, il gas naturale e il rapporto con la Russia: a una produzione domestica di gas naturale in declino – elemento peraltro in comune con il resto dell’UE – fanno da contraltare importazioni che continuano a crescere e fra queste quelle russe rivestono particolare importanza (figura 2).

Figura 1


Figura 2


Figura 3

Giova ricordare che gran parte degli analisti politici più accreditati considera il gas naturale un’arma strategica molto rilevante nelle mani della diplomazia russa. Gli Stati Uniti non vedono sempre di buon occhio questa situazione, ma le ragioni per cui si verifica sono sostanzialmente due: a) il prezzo che la Russia riesce a proporre ai paesi europei non ha oggi alcuna alternativa possibile e competitiva e b) non ci sono tante infrastrutture fisiche in grado di allentare la dipendenza europea dal gas russo.

Per diverse ragioni – tra cui il controllo oligopolistico della Russia – il prezzo europeo è superiore a quello americano, ma la differenza non è sufficiente per permettere agli Stati Uniti di sbarcare in modo significativo nel Vecchio Continente esercitando una possibile competizione con il gas di Mosca.

La seconda questione – ed è per questo che il Southern Gas Corridor è importante – riguarda proprio la disponibilità di infrastrutture (gasdotti) per portare in Europa gas non russo. E l’amministrazione americana, che attraverso il gas naturale gioca una partita fondamentale, ha già fatto sapere a più riprese che il progetto resta cruciale per alleggerire la morsa russa e che non vedrebbe assolutamente di buon occhio ogni tentativo italiano di lasciar perdere il progetto, ammesso sempre che qualcuno voglia seriamente prendere in considerazione una simile ipotesi.

La prima parte del corridoio è operativa ed entro il 2018 si completerà il tratto turco di oltre 1.800 chilometri da est verso ovest.

Il Tap – il cui esordio è ancora da definire ma che probabilmente sarà intorno al 2020 – ha una capacità di trasporto di 10 miliardi, espandibili a 20.

Se dovessimo prendere come unico riferimento i consumi nazionali (circa 75 miliardi, dati provvisori) si comprende che l’immissione delle nuove e addizionali quantità potrebbe squilibrare il mercato interno. Ma la rete dei gasdotti è sufficientemente articolata da permettere un nuovo assetto e – si spera – una riduzione a medio termine del prezzo del gas.

Sono state fatte anche stime – soggette a importanti variazioni – del costo del ritiro dell’impegno nazionale rispetto al gasdotto: tra i 40 e i 70 miliardi di euro, secondo quelle della Socar (ente energetico azero) e della Bp, entrambe partner della cordata che sta realizzando il Sgc.

Il governo deve quindi fronteggiare un compito assai complesso: ascoltare le popolazioni locali molto preoccupate per la realizzazione del Tap, evitando violenze e in generale l’effetto tifoseria da stadio che accompagna la realizzazione di qualunque opera pubblica.

Il costante monitoraggio e la comunicazione trasparente dovrebbero essere pienamente assicurati. È altrettanto ovvio che se il governatore Emiliano – seppure scusandosi in un secondo momento –afferma che “il cantiere del Tap sembra Auschwitz”, la speranza di un ragionamento basato sui fatti e sul buon senso pare ridotta al lumicino.

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