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Energia Antitrust

Perché è nefasto sottovalutare gli impatti sociali della transizione energetica

L’analisi dell’economista Alberto Clò, direttore della rivista Energia   La transizione energetica, come ogni rivoluzione, avrà inevitabilmente vincitori e vinti. Le industrie high-carbon saranno spiazzate da quelle low-carbon con pesanti impatti occupazionali. Lo stesso accadrà per i territori che ospitano attività legate alle fonti fossili. Ravenna in pochi anni ha visto quasi dimezzare il numero di occupati del distretto degli impianti e…

 

La transizione energetica, come ogni rivoluzione, avrà inevitabilmente vincitori e vinti. Le industrie high-carbon saranno spiazzate da quelle low-carbon con pesanti impatti occupazionali. Lo stesso accadrà per i territori che ospitano attività legate alle fonti fossili.

Ravenna in pochi anni ha visto quasi dimezzare il numero di occupati del distretto degli impianti e servizi petroliferi per l’opposizione alle attività estrattive in Italia. In Gran Bretagna il crollo della produzione di carbone – da 220 mil. tonn. (nel 1950) a 3 mil. tonn. (nel 2017) – è costata il posto a 700.000 lavoratori, specie dopo la vittoria di Margaret Thatcher sul potente sindacato dei minatori, al termine del più lungo sciopero della storia inglese (dal 1984 al 1985). Ne derivarono effetti devastanti in aree come il Galles meridionale:

“Con il 23% della popolazione in condizione di povertà, il 14% dei genitori impossibilitati a comprare un cappotto per l’inverno ai figli e il 30% dipendenti dai sussidi” (La Stampa).

Povertà energetica in Europa: il caso Gran Bretagna

L’aumento dei prezzi dell’energia, per incentivi alle rinnovabili o l’aumento del prezzo del carbonio, ha fatto crescere l’area di povertà energetica che va diffondendosi in molti paesi europei, Italia compresa. Ne sanno qualcosa le famiglie tedesche, ciascuna chiamata a pagare 25.000 euro per sostenere nel tempo l’Energiewende, la transizione dalle energie fossili a quelle rinnovabili. Non a caso il numero di famiglie che si staccano dalla rete di distribuzione dell’elettricità, rinunciando ad acquistarla, cresce di giorno in giorno.

La stessa cosa sta succedendo in Gran Bretagna, in cui secondo un recente rapporto l’aggravio a famiglia per l’attuazione del Climate Change Act del 2008 (Premier Gordon Brown, Segretario all’Energia Edward Miliband) sarebbe di circa 13.000 euro. L’estensore del rapporto, Rupert Darwall, ha scritto:

“Pensavamo che la povertà energetica fosse una cosa del passato. Sia i laburisti che le coalizioni di governo avevano promesso di abolirla. Grazie al CCA e alle altre politiche anti-fossili essa è viva e sta peggiorando” (GWPF).

Recentemente la prestigiosa università di Londra Imperial College, insieme alla società di consulenza strategica E4Tech, ha pubblicato un rapporto su gli impatti della transizione energetica nelle regioni britanniche. Ne emerge una ‘two-tier economy’: con Londra, il North West, South East, e la Scozia che beneficeranno del processo di decarbonizzazione e della crescita economica che si ritiene ne deriverà, con minori prezzi dell’energia e un miglioramento del livello di salute. Altre regioni invece ‘resteranno indietro’ come Galles, Yorkshire, East Midlands, North England, dove tra l’altro sono localizzate le poche centrali elettriche a carbone che dovranno chiudere entro il 2025, con forte impatto occupazionale.

Resteranno indietro nell’efficentamento degli edifici; nell’elettrificazione dei consumi; nella penetrazione della mobilità elettrica nel parco autoveicoli (pur se pari solo al 4 per mille nell’intero paese), nella costruzione di infrastrutture fisiche e non. Le imprese non vi investiranno né andranno a localizzarvisi. Sono regioni per giunta con minori redditi dove la povertà energetica – che colpisce l’11% delle famiglie britanniche – sarà destinata ad aumentare. La Scozia già ne soffre per il 34%, il Galles per il 23%.

In Gran Bretagna la politica ha preso ad aver consapevolezza delle questioni sociali che attraversano le politiche climatiche. Da noi no, col diffuso quanto illusorio convincimento che la transizione energetica abbia solo una dimensione tecnico-economica.

Le cose non stanno così. Se non si tiene conto anche della dimensione sociale delle decisioni che si vanno a prendere emergeranno problemi di equità e accettabilità sociale che non si possono trascurare. Che la nostra politica non se ne curi, strattonata tra lobby e particolarismi, è un grossolano errore perché prima o poi sarà chiamata a pagarne il conto. Come la Francia insegna.

Articolo pubblicato sulla rivista Energia

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