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Trivelle

Nessun Paese ha rinunciato alle trivellazioni per motivi ambientali

L'analisi di Fabio Caffio per Affarinternazionali

Con un approccio dissonante rispetto all’Ue e al resto del mondo, in Italia riparte la campagna contro le trivellazioni in mare già svoltasi nel 2013 e durante il referendum del 2016, dopo che il Ministero dello Sviluppo economico ha rilasciato permessi di ricerca a sud del Golfo di Taranto. La tesi è che le anche semplici prospezioni siano dannose per l’ambiente marino. Il presupposto è che il fossile vada sostituito dalle energie alternative riducendo quindi l’import di gas e petrolio come, peraltro, già previsto dalla Strategia energetica nazionale.

Non sappiamo se il Governo disporrà una moratoria sulle trivellazioni, ma temiamo che rinunciare a sfruttare l’offshore marino possa comportare l’abbandono dei nostri diritti in zone di giurisdizione nazionale. Oltretutto l’Ue continua a sostenere l’autosufficienza energetica – in funzione anti-russa – con la Strategia europea di sicurezza, basata anche sullo sfruttamento dei giacimenti sottomarini. Il problema è, dunque, cosa fare degli spazi mediterranei di nostro interesse, soprattutto se oggetto di mire di altri Stati.

PIATTAFORMA CONTINENTALE E ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA (ZEE)

Il fondo del mare e la massa d’acqua sovrastante sono sottoposti a leggi diverse: sul fondo c’è la piattaforma continentale con le risorse energetiche; sopra, la Zona economica esclusiva (Zee) con le risorse ittiche e gli habitat naturalistici da proteggere. L’Italia si è limitata nel 2011 a istituire, in alternativa alla Zee, una Zona di protezione ecologica (Zpe) nel Tirreno, mentre aveva già delimitato la propria piattaforma con ex Iugoslavia, AlbaniaGreciaTunisia e Spagna.

Nel 2012 abbiamo aperto alla ricerca di idrocarburi una vasta area di piattaforma ad est di Malta su cui possiamo vantare diritti, in modo da contrastare le pretese de La Valletta, dopo che, in cinquant’anni di trattative, non si è mai raggiunto un accordo: per questo non si è potuto nemmeno definire il confine Italia-Libia. È anche nota la vicenda dell’Accordo di Caen del 2015 tra noi e la Francia, che prevede la delimitazione unica di piattaforma e Zee e che non abbiamo ancora ratificato per la sua presunta iniquità.

LA CREAZIONE UNILATERALE DI UNA ZEE ALGERINA

Il già difficile puzzle delle aree marine mediterranee che, non dimentichiamolo, GreciaCipro e Turchia giocano di continuo a complicare, è divenuto ancora più intricato lo scorso giugno. L’Algeria, senza alcuna preventiva informazione, ha difatti istituito una sua Zee con un confine valevole anche per il fondale, che si sovrappone in gran parte alla piattaforma ed alla Zpe italiana a ovest della Sardegna.

La protesta italiana, formalizzata lo scorso novembre alle Nazioni Unite, è stata ferma nella sostanza ma moderata nei toni. Sorprende comunque, in ogni caso, che un Paese amico, con cui condividiamo interessi energetici per via del gasdotto Transmed Tunisia-Sicilia, possa, per così dire, calpestare i diritti italiani. Tra l’altro, l’obiettivo algerino non sembra tanto la contestazione delle aree di giurisdizione italiana, quanto di quelle spagnole, la cui legittimità è anche contrastata a nord dalla Francia.

SFRUTTAMENTO DI IDROCARBURI VS TUTELA DELL’AMBIENTE MARINO

Conciliare gli interessi di protezione dell’ambiente marino con lo sfruttamento degli idrocarburi è la sfida che vari Paesi, come la Norvegia, hanno da anni affrontato e risolto. Anche l’Ue si è attivamente impegnata con una direttiva sulla sicurezza ambientale offshore che il Mise ha recepito creando un’organizzazione ad hoc. In sostanza, nessun Paese ha rinunciato alle trivellazioni per motivi ambientali.

Nel Mediterraneo, la Grecia ha iniziato a effettuare ricerche di gas a sud di Creta, mentre IsraeleEgitto e Cipro si godono i vantaggi che le loro economie traggono dalla scoperta di grandi giacimenti di gas. Quanto a noi, nell’Adriatico si è creato un vero e proprio distretto energetico incentrato su Ravenna. Del nostro disinteresse per i campi metaniferi prossimi alla mediana, trarrebbe vantaggio la Croazia.

LA NECESSITÀ POLITICA E AMBIENTALE DI TUTELARE LE COSTE ITALIANE

Le ricorrenti polemiche italiane sulle trivellazioni sono lo specchio di una spiccata sensibilità ambientale del Paese. La politica ne terrà conto nel valutare se continuare o meno a concedere permessi offshore, considerando evidentemente anche i risvolti economico-finanziari dell’attuale dipendenza energetica dall’estero. A prescindere da questo, è necessario decidere se istituire nuove Zpe intorno alle coste nazionali per dimostrare con i fatti che la protezione dell’ambiente marino non si esaurisce solo con una moratoria sulle trivellazioni. La tutela dei delfini stanziati nel Golfo di Taranto – che si teme possano essere minacciati dalle prospezioni sottomarine con l’air gun – meriterebbe ad esempio attenzioni costanti secondo quanto ipotizzato in documenti programmatici come la Carta di Taranto.

Compito della diplomazia è infine negoziare con gli altri Paesi i confini di piattaforma e Zee provvedendo a contestare con decisione le pretese di quei Paesi che si arrogano il diritto di appropriarsi di spazi marittimi e che potrebbero iniziare a trivellare davanti alle coste italiane. In definitiva, la scelta di fermare le attività offshore, che in ogni caso accentuerebbe la nostra posizione anomala rispetto al resto d’Europa, non può essere un alibi per non istituire o non reclamare aree di mare che fanno parte del patrimonio della Nazione.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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