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Compagnie Petrolifere

L’Italia punterà sull’idrogeno blu o verde? Report Cer

La strategia italiana sull'idrogeno tra blu e verde. Fatti, numeri, confronti e scenari nel report del Cer curato da Demostenes Floros

 

Capire quale sarà ma soprattutto in che modo verrà impostata la strategia italiana sull’idrogeno non è di poco conto se si considera che molti paesi nel mondo, Germania in primis, hanno deciso di puntare con forza sul vettore, utile per decarbonizzare alcuni settori produttivi altrimenti difficili da rendere CO2-free. Ma all’interno del complesso mondo dell’idrogeno ci sono anche aspetti poco dibattuti legati ad aspetti geopolitici e al ruolo stesso che l’idrogeno potrebbe rivestire in chiave di transizione energetica. Dall’analisi di Demostenes Floros nell’ultimo numero di “Geopolitica dell’Energia” del Centro Europa Ricerche (Cer) emerge comunque un quadro abbastanza confortante per l’Italia.

LA STRATEGIA ITALIANA DELL’IDROGENO

Innanzitutto il ministero dello Sviluppo Economico (Mise) “sta lavorando sulla definizione di una strategia italiana per l’idrogeno (H2) che dovrà contribuire al rispetto della recente decisione del Consiglio Europeo in termini di decarbonizzazione, che ha fissato ad almeno il 55% l’obiettivo della riduzione delle emissioni comunitarie entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, per poi raggiungere il totale abbattimento nel 2050”.

Il 17 dicembre 2020, ricorda il report, “l’allora ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, partecipò all’evento di lancio dell’IPCEI- Importante Progetto di Interesse Comune Europeo, dove è stato sottoscritto il Manifesto per lo sviluppo di una catena del valore europea sulle Tecnologie e sistemi dell’idrogeno insieme a Ministri di 22 Stati membri dell’Unione Europea. Nel suo intervento, Patuanelli mise in luce il ruolo fondamentale dell’idrogeno ‘verde’ e la cooperazione tra le imprese italiane e quelle degli altri paesi europei”.

MEGLIO IDROGENO VERDE O BLU?

Ma la domanda iniziale da porsi è: meglio puntare sul “verde” o sul “blu”? “Premesso che per i ‘colori’ da attribuire all’idrogeno in funzione della sua produzione non esiste una definizione univoca” – sottolinea il report Cer – viene in genere identificato con idrogeno “grigio” quello “estratto dalle fonti fossili, attraverso processi termochimici” e ad oggi, “il 95% dell’idrogeno prodotto nel mondo è ‘grigio’”. L’idrogeno “blu” viene invece estratto dal gas naturale ma, a differenza del “grigio”, “l’impianto di produzione è accoppiato con un sistema di cattura e stoccaggio permanente di circa il 90% della CO2 prodotta nel processo. In questo modo, si genera idrogeno, senza significative emissioni dannose per il clima”, ricorda il report. L’idrogeno “verde”, invece, è quello estratto dall’acqua, sfruttando l’elettricità prodotta da impianti ad energia solare, eolica o altre fonti rinnovabili. “L’elettricità prodotta – in eccesso – che non viene utilizzata, bensì stoccata, alimenta celle elettrolitiche che producono idrogeno e ossigeno. In questo modo, non si emette CO2”. L’idrogeno “viola”, infine, “viene estratto dall’acqua, usando l’elettricità prodotta da una centrale nucleare senza emissione di CO2”.

I COSTI DELL’IDROGENO

Secondo l’International Energy Agency, nel 2019, l’idrogeno “blu” aveva “un costo di 2-5 volte inferiore al ‘verde’, oltre ad esibire una carbon footprint (impronta ecologica) molto bassa (10%) quindi, non completamente carbon neutral (zero emissioni), ma comunque molto utile alla decarbonizzazione. Tuttavia, al fine di sviluppare un mercato dell’idrogeno, ‘perché la discriminazione tra idrogeno giusto e ingiusto da parte dell’UE’ si domandava Kostantin Simonov, direttore generale della Russian National Energy Security Foundation, durante il Forum Eurasiatico di Verona, il 22 ottobre scorso?”.

INVESTIRE NEL BLU FAVORISCE I PAESI CHE HANNO RISERVE DI GAS

La risposta è semplice: “A causa di ‘pressioni politiche’, asseriva lo stesso Simonov, spalleggiato nella sua tesi, sia dal CEO di Novatek, Leonid Mikhelson, sia dai dati forniti dal CEO di Total, Patrick Pouyannè, affini a quelli dell’IEA. Nei fatti, investire nell’idrogeno ‘blu’ favorirebbe i paesi che detengono le principali riserve di gas naturale, nonché le relative infrastrutture di trasporto, a partire dalla Federazione Russa”.

Nella medesima sede, Elena Burmistrova, CEO di Gazprom Export, dichiarava che l’idrogeno “è una opportunità” e non un “rischio” e che la società da lei diretta produrrà idrogeno “clean” (zero emissioni) a partire dal 2024, in base ad un preciso piano governativo rivolto anche all’export.

QUANTO PESA IL GAS IN ITALIA

Nel 2019, il gas naturale ha rappresentato la fonte energetica primaria dell’Italia, evidenzia il report Cer. “Esso è stato importato per il 40% circa dei consumi totali dalla Federazione Russa. Inoltre, l’Italia possiede la più grande rete infrastrutturale gasiera di trasporto in Europa (oltre 30.000 km), al di fuori della Russia”.

Non a caso, infatti, “quanto dichiarato dall’amministratore delegato di Snam, Marco Alverà, durante il V World Energy Forum, ospitato dal Consiglio Atlantico il 19 gennaio 2021, in futuro, la qualità dell’acciaio dei gasdotti della Snam consentirà anche il trasporto dell’idrogeno a prezzi estremamente competitivi”.

GEOPOLITICA DELL’ITALIA NEL BREVE-MEDIO PERIODO

“Dati il paniere energetico dell’Italia, il sistema manifatturiero gas-intensive, l’infrastruttura gasiera, nonché le caratteristiche dei principali competitor in seno all’Unione, suggeriamo – scrive Floros nel rapporto Cer – al neo Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, di prestare la dovuta” al ruolo “’indispensabile’ del gas naturale nel breve-medio periodo per la competitività dell’industria italiana, ma anche per il ruolo geopolitico dell’Italia. Secondo una ricerca dell’organizzazione benefica anti-povertà Oxfam e dello Stockholm Environment Institute, le emissioni di CO2 sono aumentate del 60% dal 1990 al 2015. Il 15% di tali emissioni è ascrivibile all’1% più ricco della popolazione del pianeta, più del doppio del 50% più povero (7%), a dimostrazione che nemmeno la rivoluzione tecnologica potrebbe essere sufficiente al fine della transizione energetica”.

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