skip to Main Content

Russia Pakistan Gasdotti

Come e perché il Libano punta sul gas

Approfondimento a puntate di Gianni Bessi

Il Mediterraneo è uno dei luoghi cari ad House of gas e non potrebbe essere diversamente: è lì che si stanno giocando le carte più importanti nella partita dell’energia mondiale. Un tavolo a cui rischia di mancare il protagonista che ci sta maggiormente a cuore, cioè l’Italia. E sarebbe un peccato chiamarsi fuori dall’opportunità di essere, all’interno di una strategia europea ovviamente, uno dei facilitatori del dialogo e della cooperazione nelle aree sono state che spesso segnate da guerre e divisioni.

Prendiamo per esempio il Libano, terra storicamente e culturalmente importantissima – un elemento per tutti: l’alfabeto occidentale è nato nella terra dei cedri – situata nella porzione orientale di quello che i romani chiamavano Mare nostrum e che oggi viene definito il bacino del Levante.

Proprio in quell’area dal 2009 sono stati scoperti numerosi giacimenti di gas al largo di Cipro, Israele ed Egitto, tra cui due classificati come “Giant Field”: Leviatano, nel dicembre 2010 al largo delle coste israeliane, che contiene 22 trilioni di piedi cubi (Tcf) in riserve di gas e Zohr, nell’agosto 2015 al largo dell’Egitto, con trilioni di piedi cubi30 Tcf.

Queste scoperte hanno sollevato drasticamente la posta economica in gioco inasprendo le controversie per la definizione dei confini marittimi. A giugno 2019, tutti e sette gli Stati costieri del Mediterraneo orientale – Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Libano, Siria e Turchia – avevano industrie offshore di idrocarburi attive, con 238.135 chilometri quadrati (circa il 51% del totale delle acque offshore della regione) di acque coperte da 231 blocchi petroliferi e di gas disponibili. Dei blocchi oggetto dei prossimi tender fino al 36% può essere classificato come “contenzioso” a causa delle incertezze in merito alle posizioni esatte dei confini marittimi.

Attualmente il Libano non dispone di riserve di gas comprovate e fino al 2005 non disponeva neanche di infrastrutture dedicate. Ma fa parte del bacino del Levante che si stima contenga fino a 122 trilioni di piedi cubi di gas naturale recuperabile oltre a circa 1,7 miliardi di barili di petrolio recuperabile. Nel corso di questi anni lo sviluppo dei giacimenti di gas offshore ha rappresentato un chiodo fisso per governi caratterizzati dalla lentezza nel prendere decisioni e dalla costante carenza di liquidità; tali problemi politici interni hanno ritardato lo sviluppo fino al 2017 anche a causa della disputa di confine marittimo irrisolta tra Beirut e Gerusalemme.

E Gerusalemme evoca una storia recente fatta di conflitti, anzi del ‘conflitto’ per eccellenza, cioè quello che vede di fronte israeliani e palestinesi: L’Italia ha giocato un ruolo diplomatico importante, anche se sull’efficacia si può discutere, al fianco della Francia. Non deve stupirci quindi se oltre a quello con la Francia, la cui lingua viene riconosciuta a fianco all’arabo dalla Costituzione libanese, coesista un rapporto di amicizia e diplomatico solido nei confronti dell’Italia. Non è quindi un caso che lo scorso anno un consorzio composto dalla francese Total, da ENI e dalla russa Novatek si è aggiudicato il primo round di licenze per i blocchi 4, 8 e 9 con la previsione di perforare i primi pozzi di esplorazione entro la fine di quest’anno, con il rappresentante del consorzio che ha rassicurato «per ora eviteremo di perforare nelle acque contese».

Proprio su questo tema il presidente Nabih Berri e i funzionari libanesi hanno più volte allertato l’opinione pubblica internazionale circa le aggressioni israeliane su potenziali riserve di petrolio e gas libanesi nelle acque marittime contese.

I blocchi 8 e 9 del Libano si trovano lungo il confine meridionale con Israele, circa 856 chilometri quadrati di acqua contestata si trovano nel blocco 8. Parti del blocco 9 attraversano ciò che Israele sostiene essere di pertinenza della propria area di interesse economico. Tuttavia il Libano controbatte che la mappa marittima presentata alle Nazioni Unite è in linea con gli accordi firmati nel 1949 in seguito alla guerra arabo-israeliana. Il presidente Nabih Berri ha recentemente affermato che il Libano accetterebbe di segnare i propri confini marittimi con Israele e la zona economica esclusiva con il medesimo meccanismo utilizzato per delimitare la linea blu sotto la supervisione delle Nazioni Unite e in accordo alle più recenti tecniche di mappatura rivelatesi tanto affidabili da poter essere stimate con assoluta precisione.

Nel corso di un recente incontro, il ministro dell’energia Nada Boustani ha sottolineato che «il governo libanese si aspetta una maggiore partecipazione al secondo ciclo di licenze», aggiungendo che i rappresentanti della russa Lukoil, della spagnola Repsol e della britannica BP avevano visitato il Libano nelle ultime settimane.

Il gas naturale offshore del Libano non è facile da estrarre perché occorre perforare i fondali ‘abissali’ del Mediterraneo orientale, là dove le tecnologie più moderne risultano indispensabili (e questo spiega l’esclusione della National Iranian Drilling Corporation che è tra le società escluse dal bando).

Il Libano è una nazione caratterizzata da anime politico-religiose composite e attualmente in equilibrio: non stupisce quindi che lo sviluppo del suo settore petrolifero abbia attirato anche investimenti dall’Iran, che sta facendo pressioni e per essere coinvolta nella costruzione di raffinerie e centrali elettriche. Con il Libano che deve potenziare il proprio settore petrolifero downstream, questi progetti, se attuati, servirebbero gli interessi di entrambi i Paesi.

Il successo dello sviluppo delle risorse di gas del Libano porterebbe notevoli benefici economici ad una economia in grado di realizzarli e rafforzerebbe la sicurezza energetica del Paese. E non solo la sicurezza energetica, ma attraverso una cooperazione tra tutti i ‘vicini’ potrebbe consentire di sfruttare le opportunità che si stanno aprendo in una regione che comprende anche la martoriata Siria.

E noi? In questo quadro servirebbe un Italia più presente in Europa per farle svolgere, partendo proprio dal settore energetico, un ruolo di partnership e di mediazione tra i diversi ‘confini’ contesi.

(1.continua)

Back To Top