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Idrogeno Verde

Le quattro vite misteriose dell’idrogeno

Cresce l’attenzione verso questa energia del futuro, ma in pochi sanno che è un vettore dai tanti colori. L'approfondimento di Eni Datalab con Luca Longo

Incolore, inodore e insapore, come l’acqua di cui fa parte, più leggero dell’aria, potentissimo, azionista di maggioranza col 75 per cento della materia e delle stelle, tra cui il Sole. L’idrogeno è un gas che si trova raramente da solo in natura, eppure è l’elemento più presente nell’universo. Difficile da estrarre, va considerato un vettore per il trasporto e lo stoccaggio di energia e non come una fonte primaria.

Al momento si usa soprattutto nell’industria, attraverso un processo di conversione del gas naturale con produzione di anidride carbonica e quando è così si definisce idrogeno grigio. Se a questo si aggiunge la tecnologia di cattura e stoccaggio di CO2 si ottiene il decarbonizzato idrogeno blu. Dal carbone, attraverso la gassificazione, arriva ancora l’idrogeno marrone, ma è dall’elettrolisi dell’acqua alimentata da energie rinnovabili che si ottiene l’idrogeno verde. Quest’ultimo rappresenta meno del 5% della produzione mondiale di questo gas, ma viene considerato una speranza perché nei suoi vari utilizzi non genera emissioni nel suo ciclo di vita.

Come su ogni strada promettente però ci sono dei bivi, quali l’utilizzo e il costo. Intanto cresce l’interesse generale sulla materia, come mostra una ricerca di social listening su 40mila tweet in italiano dal 2015 al 2020. Lo studio viene dal lavoro dell’Eni Datalab, un laboratorio nato nel 2016 con l’obiettivo di applicare anche alla comunicazione le competenze di data science, analytics e intelligenza artificiale che hanno reso Eni un’eccellenza nell’esplorazione di nuove fonti di energia.

 

 

Un’analisi della rete nello stesso periodo sulle parole correlate al tema rivela però come spesso l’argomento venga frainteso e associato per esempio ai mezzi di trasporto, che sono solo uno dei più futuribili impieghi di questo tipo di energia.

 

 

Tra i primi a interessarsi dell’idrogeno fu l’alchimista svizzero Paracelso nel Cinquecento, che mescolando metalli e acidi ne descrisse la natura incendiaria. I britannici Robert Boyle nel Seicento e Henry Cavendish nel Settecento approfondirono questa “aria infiammabile” scoprendo che l’ossidazione del gas produceva acqua, ma fu il chimico francese Antoine Lavoisier a coniare il nome idrogeno nel 1783, che in greco significa appunto “generatore d’acqua”. Uno dei primi usi che se ne fece fu per riempire le celle dei dirigibili, ma poi venne sostituito dall’elio meno infiammabile. Così pure nel 1952 venne concepita la cosiddetta bomba H, evoluzione di quella atomica e ancora oggi base delle testate nucleari mondiali, ma un tipo di reazione che non c’entra nulla con la produzione di energia.

Da allora l’idrogeno viene utilizzato nei settori siderurgico, petrolchimico e alimentare, ma è considerato una promessa della mobilità e in futuro potrebbe sostituire il gas naturale nel riscaldamento di edifici residenziali e commerciali. Non a caso una topic discovery (ovvero un’analisi dei topic emergenti su Twitter tramite algoritmi di machine learning) mostra come col passare del tempo se ne parli in maniera sempre più ampia e con maggiore accento sull’aspetto sostenibile. Nel 2015, per esempio, l’accostamento al tema trasporto era più marcato rispetto al 2020, quando entra nel dibattito la transizione energetica, complice l’accelerazione nello sviluppo di nuove tecnologie pulite da parte delle principali potenze mondiali.

 

 

Nella sfida della decarbonizzazione al 95% entro il 2050, necessaria per non superare la soglia di 1,5 gradi di aumento della temperatura globale, l’idrogeno verde potrebbe garantire un quarto dell’energia, diventando non l’unica risposta, ma uno degli strumenti utili. In particolare, i segmenti più adatti per questa risorsa sarebbero i trasporti pesanti, il riscaldamento degli edifici e alcune applicazioni industriali dove viene già usato l’idrogeno grigio. La Commissione Europea, che ne vuole fare uno dei protagonisti del Green New Deal, ne prevede una produzione di un milione di tonnellate l’anno al 2024 e di 10 milioni al 2030. Il che significa installare almeno 40 GW di elettrolizzatori alimentati da energie rinnovabili in enormi aree da occupare con pannelli solari o pale eoliche.

Così anche i costi dovrebbero migliorare. In Italia, in particolare, dove sono disponibili molte fonti rinnovabili, potrebbero diminuire prima che altrove. Per il resto, basti pensare che nel 2000 produrre energia col petrolio costava 40 volte meno che con l’idrogeno verde, mentre nel 2010 il rapporto è sceso a 10 e oggi a 2. Esiste però una notevole differenza di prezzo anche tra i tipi di idrogeno, con quello più inquinante che costa parecchio di meno, anche se secondo l’International Energy Agency il verde dovrebbe diminuire nel 2030 di un ulteriore 30%, grazie all’aumento della produzione e all’ulteriore sviluppo delle energie rinnovabili.

 

 

Di fronte a una simile prospettiva, il sentimento dell’attesa, correlata a fiducia, sorpresa e gioia, è quello prevalente nell’emotion analysis sui tweet degli ultimi cinque anni. Non manca una parte negativa, dovuta alla complessità dell’argomento e ai timori relativi a una tecnologia ancora sconosciuta dalla maggior parte delle persone.

 

Complice la crescente attenzione sul tema sono molti gli attori attivi in rete sia per informare, come dimostra la lista dei media più influenti, sia per conversare e affermarsi su un argomento che col suo mistero ci accompagnerà nelle discussioni sul cambiamento climatico degli anni a venire.

 

 

In questa fase non è facile stabilire se e quanto l’idrogeno verde possa essere una risposta da solo o, magari per un certo periodo, accompagnato dall’idrogeno blu, ma è senza dubbio uno degli argomenti imprescindibili per un dibattito rivolto a un futuro ecosostenibile

 

Articolo pubblicato su eni.com

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