Nel 2024, anno elettorale per eccellenza, la corsa alla Casa Bianca rimane unica nel suo genere. Il duello tra Democratici e Repubblicani ha già offerto spunti eccezionali e, a tratti, terrificanti. Dal ritiro in corsa di Biden a poche settimane dalla convention democratica di Chicago all’attentato alla vita di Trump, sventato per puro caso e un pizzico di fortuna, le Presidenziali 2024 si sono già imposte come elezioni che rimarranno nella storia. Le incognite davanti a noi sono innumerevoli. Queste elezioni offrono però molteplici per ragionare su come energia e clima si stiano affermando come temi essenziali nella definizione di qualsivoglia piattaforma politica nelle democrazie liberali.
La scelta di Kamala Harris
Non particolarmente avvezza alle competizioni politiche e con un record piuttosto negativo nelle primarie di partito, Harris è soprattutto conosciuta per il suo passato da procuratrice generale della California. Donna di legge la cui popolarità con il grande pubblico rimane tutta da testare. La Vicepresidente è però molto conosciuta per aver preso posizione difendendo strenuamente il diritto all’aborto. Un dato che la pone in totale contrasto con il ticket repubblicano, favorendola nel voto femminile.
Buona parte dell’agenda economica di Kamala Harris risiede nel solco tracciato dalla Presidenza Biden. Su questioni come una maggiore tassazione per le grandi corporazioni e i redditi più alti, salario minimo, accessibilità di affitto e costo delle abitazioni, poche o nulle sono le differenze con il suo predecessore. A segnare un solco tra la Harris e Biden sono invece gli approcci differenti alle politiche commerciali internazionali. In buona parte, anche l’energetica e climatica suggeriscono una certa discontinuità. Per di più, le due questioni sono molto più intrecciate di quanto appare.
Clima ed energia: una questione interna
L’impellenza delle sfide che attendono gli Stati Uniti impone un cambiamento radicale negli approcci. Tanto che Kamala Harris nel 2020 ha appoggiato un ambizioso e visionario Green New Deal. Sul solco del corrispettivo europeo, il piano presentava misure di mitigazione al cambiamento climatico e l’eliminazione delle ineguaglianze economiche. Un programma che suggeriva la completa decarbonizzazione del sistema elettrico americano entro il 2030, rivoluzionandone il mix energetico.
Non trovando successo nel Congresso, nonostante il sostegno di Harris, normalmente percepita come moderata e liberale, la strategia avrebbe nei fatti ridisegnato completamente l’economia americana. Gli attivisti dei vari movimenti ambientalisti plaudono la scelta della candidata.
La lunga lista di patteggiamenti firmati da colossi energetici come Exxon Mobil, Chevron e BP è per Harris motivo di vanto. Le responsabilità dei Big Oil non sono soltanto da riscontrarsi nel fenomeno del cambiamento climatico. Essi sono anche responsabili di innumerevoli episodi di inquinamento locale. Ragion per cui Kamala Harris ha personalmente guidato, nel ruolo di procuratore generale, una valutazione ostile all’utilizzo del fracking nell’offshore californiano.
Nel 2019, durante i dibattiti per definire quale linea del Partito Democratico avrebbe sfidato Donald Trump nelle elezioni poi vinte da Donald Trump, la Harris si è esplicitamente dichiarata a favore di un embargo totale e senza scappatoie verso questa tecnologia. Soltanto una volta affiancata a Joe Biden nel ticket democratico, i toni si sono smorzati. Detto ciò, gli sviluppi dell’azione giudiziaria avviata dall’allora procuratrice generale hanno supportato il governatore democratico Newsom nell’annunciare lo stop a qualsiasi attività di fracking entro quest’anno.
Lo stesso antagonismo diffuso verso l’industria degli idrocarburi è stato, talvolta, cavalcato dalla stessa Harris come mezzo propagandistico per riaffermare la propria identità politica. Un segno che la questione è sedimentata profondamente nella sua piattaforma politica. La stessa che la porterà, con ogni probabilità, a duellare direttamente con Donald Trump e che potrebbe delinearne una possibile presidenza sino al 2028.
La lotta al cambiamento climatico: una priorità della politica estera di Harris
Kamala Harris ha più volte dimostrato la sua avversione ad accordi internazionali che, favorendo il libero interscambio, possono inficiare obiettivi climatici. Una questione di non poco conto. Il voto della Harris ha segnatamente fatto approvare l’Inflation Reduction Act (IRA), la strategia che dal 2022 ha ridisegnato l’approccio economico, energetico e climatico americano verso l’industria delle rinnovabili. Con 370 miliardi di sussidi e investimenti in questi segmenti, gli Stati Uniti hanno lanciato di fatto una sfida alla Cina, ma anche al Green Deal europeo e le capacità manifatturiere in queste supply chain.
La probabile candidata democratica ha dimostrato di saper utilizzare energia e clima nell’esercizio della politica estera americana in regioni dove la competizione per l’influenza sta crescendo sempre più. La Presidenza Biden ha più volte ribadito la volontà di stabilire un coordinamento Transatlantico sul tema dell’industria verde. Alcuni screzi tuttora permangono.
Con un’Amministrazione Harris potrebbero quindi nascere delle incomprensioni proprio sull’allineamento tra le posizioni UE e Stati Uniti. Ciò è reso particolarmente attuale e dalla spinta che la Commissione Europea a guida Ursula von der Leyen vorrebbe dare all’industria verde europea.
Allo stesso modo, Harris ha dimostrato un approccio ancor più intransigente di Biden verso l’urgenza di adottare misure per il contrasto al cambiamento climatico. Una lotta che richiede “la nostra azione collettiva” e che deve indirizzarsi tanto contro “quei leader che negano la scienza climatica, ritardano le azioni in materia di clima e diffondono disinformazione.”
L’avvertimento ai partiti politici europei di destra che fanno dello scetticismo al fenomeno del cambiamento climatico una bandiera non potrebbe essere più diretto.
(Estratto da Rivista Energia; qui l’articolo integrale)