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Acquedotto Mekorot Israele

Israele, far fiorire il deserto

Israele si è ingegnata a sopperire alla cronica carenza idrica con tecniche basate sulla tecnologia. L’acqua è tema di conflitto con la Palestina, ma quando si trovano soluzioni ne beneficiano tutti. Intervista a Clelia Di Consiglio, segretaria generale della Camera di Commercio e industria italo-israeliana, pubblicata sull'ultimo numero della rivista quadrimestrale di StartMagazine 

Circa metà del territorio di Israele è occupato dal deserto del Neghev, una zona arida con basse colline d’arenaria e canaloni che si riempiono d’acqua nelle rare piogge invernali. La relazione tra l’acqua e il territorio israeliano è da sempre stata complessa. La scarsità della risorsa idrica ha imposto di sfruttarne al meglio ogni singola goccia. È quello che ha fatto Israele che, grazie alla proficua collaborazione tra università, imprese agricole e investimenti pubblici è riuscita a diventare una delle punte di diamante dell’agritech mondiale. Riuscendo nell’impresa di far fiorire anche il deserto. Ne abbiamo parlato con Clelia Di Consiglio, segretaria generale della Camera di Commercio e industria italo-israeliana, no-profit basata a Tel Aviv la cui missione è incrementare le relazioni bilaterali a livello commerciale, scientifico e tecnologico tra Italia e Israele.

Quali sono gli ingredienti della strategia di contrasto alla siccità di Israele?

Israele non ha mai avuto ingenti risorse idriche o importanti materie prime. Pertanto, il sistema si è ingegnato per sopperire a queste mancanze con soluzioni basate sulla tecnologia. Se pensiamo all’agricoltura le due innovazioni principali sono state l’irrigazione a goccia e la desalinizzazione dell’acqua marina. Ma, ecco, forse i veri ingredienti di questa ricetta sono la ricerca universitaria e il supporto governativo alla ricerca scientifica.

Qual è stato e qual è il ruolo della ricerca scientifica nel contrasto alla siccità?

Contrariamente a quanto avviene in altri Paesi, la ricerca scientifica israeliana non è finalizzata solo alla pubblicazione, ma alla creazione di brevetti e di innovazione. Da un lato la ricerca scientifica è riuscita a trovare innovazioni per sopperire alla desertificazione. Dall’altro il governo ha voluto soste- nere la ricerca finanziandola, anche a fondo perduto, con soldi pubblici. Quindi c’è stata una sinergia proficua tra governo e ricercatori e quest’ultimi, piuttosto che pubblicare, preferiscono registrare innovazioni e brevetti. In Israele ci sono alcune università che non hanno bisogno di fondi pubblici perché riescono a finanziarsi con i diritti delle loro scoperte.

Tornando sulle innovazioni in tema agri-colo, un territorio per metà desertico, come quello israeliano, è riuscito a diventare un leader dell’agritech. Quali sono le tecnologie più innovative ed efficaci?

Come le dicevo prima, l’irrigazione a goccia ha permesso a un Paese prettamente arido di innaffiare le piante in maniera continuativa e con degli apporti idrici ridotti. Diverse colture hanno beneficiato di questa modalità di irrigazione, dai pomodori ciliegini agli avocado. Un contributo rilevante è arrivato anche dagli impianti di desalinizzazione. Siamo riusciti a sfruttare l’acqua marina con tecnologia a basso costo che funziona a energia solare, dando vita a una filiera completamente green. Tra l’altro, noi beviamo acqua desalinizzata. Molti test hanno rileva- to che questa è più pura di quella che arriva da alcune fonti da cui anticamente si prendeva l’acqua, come quella del lago di Tiberiade. Inoltre, aggiungo che in Israele abbia- mo delle macchine che producono acqua dall’aria, trasformando l’umidità dell’aria in acqua. E poi un grande lavoro tecnologico è stato fatto per contrastare la dispersione idrica. In Italia circa il 45% dell’acqua viene dispersa da tubature difettose e vecchie. In Israele sono stati installati dei sistemi che riescono a sentire il rumore della falla prima che si ingrandisca e causi dispersione idrica.

Quali sono gli altri settori dell’economia israeliana che hanno beneficiato delle ricerche e delle applicazioni in merito all’utilizzo delle risorse idriche?

Io vedo una grandissima attenzione alla creazione di proteine alternative e della carne coltivata. Questo non sarebbe stato possibile se non si fosse affrontato prima il problema idrico e il problema energetico, perché questo tipo di tecnologia è energivora e richiede l’uso di molta acqua. A questo possiamo aggiungere il ramo della medicina e del pharma.

Qual è lo stato di salute delle relazioni tra le università italiane e israeliane in merito alla condivisione di studi e ricerche volte al contrasto della siccità?

In Italia ci sono voluti moltissimi anni, rispetto a Israele, per riconoscere che c’è un problema nell’accesso all’acqua. Le università dei nostri due Paesi stanno continuando a collaborare a tutti i livelli. Sono tantissimi i progetti congiunti e ci sono anche tantissimi dottorandi italiani in Israele, specialmente per progetti sull’energia e sull’acqua. Certo c’è un bel dislivello tecnologico. L’Italia ha dei ricercatori, degli studiosi e dei tecnici fantastici, con una formazione di altissimo livello. Gli israeliani, però, sono riusciti, dentro le università, a sviluppare infrastrutture e ricevere fondi pubblici proprio per progetti e tecnologie volte a ovviare alla mancanza di acqua. In Italia il problema è stato riconosciuto ma il supporto del pubblico a privati che vogliono sviluppare tecnologie e ricerca scientifica è inferiore rispetto a Israele. Il dislivello è importante: Israele dà il 4,6% del Pil alla ricerca scientifica. Israele senza la scienza non va avanti. Non abbiamo una manifattura tale da poter sostenere l’economia, non è come l’Italia. Qui si punta soprattutto sulla ricerca scientifica e sull’innovazione.

È diversa, e se sì come, la relazione tra aziende circa lo scambio o condivisione di tecnologia per migliorare l’utilizzo delle risorse idriche?

In passato sono state firmate delle collaborazioni che, però, sono state ostracizzate per ragioni politiche. Allora, l’accesso all’acqua è sempre stato uno dei temi del conflitto tra Israele e Palestina. Però, l’acqua è un bene di tutti, se si fanno degli studi, si prova ad aumentarne il flusso e a trovare delle soluzioni per la desertificazione, alla fine ne beneficiano tutti, non solamente gli israeliani. Tra l’altro, da quando Israele ha iniziato a usare per l’agricoltura solo l’acqua desalinizzata, chi sta usufruendo dell’acqua che era parte del lago di Tiberiade sono i giordani, perché ne hanno più bisogno, dato che non hanno accesso diretto al mare e non hanno questi grossi impianti di desalinizzazione sul Mediterraneo come Israele. In passato ci sono state collaborazioni con alcune grosse municipalizzate italiane ma per motivi politici, a causa di manifestazioni, son dovute cessare. Però c’è anche un altro aspetto da sottolineare. Le partecipate italiane non hanno dei dipartimenti di ricerca e sviluppo; quindi, quando si sono trovate ad affrontare delle criticità spesso sono venute qui in cerca di tecnologia all’avanguardia. Diciamo che i due Paesi in campo idrico sono complementari. Israele ha una tecnologia più sviluppata ma l’Italia ha più risorse.

 

 

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