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Green Ue

Il testacoda Ue sul Green. Report

Il Green deal voluto dalla Commissione Ue è a rischio per via dell’austerità imposta… dalla stessa Commissione. L'articolo di Sergio Giraldo.

Un nuovo studio del Rousseau Institute, think tank francese, certifica il testacoda europeo sul Green deal. Lo studio, commissionato dal gruppo parlamentare europeo dei Verdi, mette in luce con chiarezza quali sono i costi della transizione energetica: 40.000 miliardi di euro da qui al 2050 solo per l’Ue, ovvero 1.520 miliardi all’anno, pari al 10% del PIL europeo. Soprattutto afferma che tali costi non sono sostenibili senza un robusto intervento a base di soldi pubblici. L’intervento degli Stati però è reso impossibile dalle regole fiscali europee improntate al taglio di deficit e debito pubblico. Dunque, il Green deal voluto dalla Commissione è a rischio per via dell’austerità imposta… dalla stessa Commissione. Un bel vicolo cieco, non c’è che dire.

È ciò che dalle colonne di questo giornale diciamo da anni. Gli investimenti privati nel green deal hanno bisogno del sussidio pubblico perché la sostituzione di capitale fisso che comporta è finanziariamente inefficiente. Cioè, la duplicazione dell’intero sistema energetico europeo porta ritorni negativi agli investimenti privati. Serve dunque l’intervento pubblico a base di sussidi, che però è strettamente vincolato dalle regole fiscali europee, improntate ai famigerati parametri di Maastricht (60% nel rapporto debito/PIL e 3% nel rapporto deficit/PIL). Con le regole del nuovo Patto di stabilità che entreranno in vigore dal 2026, poi, l’uso di soldi pubblici per sostenere il green deal sarà ancora più difficile, se non impossibile, a causa dell’imposizione di una riduzione del debito.

È una delle tante aporie in cui l’Unione europea, nella sua furia pianificatrice e dirigista, alimentata da un gruppo di burocrati politicamente non responsabili, si infila ad ogni passo. Si tratta dell’usuale trilemma dell’energia in salsa europea: non si possono avere contemporaneamente green deal, disciplina fiscale e sicurezza del sistema.

Nel suo studio, Road to Net Zero, il Rousseau Institute ipotizza che quasi tre quarti degli investimenti per la neutralità climatica provengano dai governi.

Le 179 pagine del rapporto sono piene di dati, ma il messaggio chiave è che se non si allentano i parametri del patto di stabilità il Green deal non si può fare. Dunque, nel rapporto si chiede espressamente che gli investimenti pubblici (in perdita) per il green deal non siano conteggiati ai fini del patto di stabilità.

È interessante il fatto che a commissionare lo studio che demolisce le politiche green europee (o quelle fiscali, a scelta) sia stato il gruppo parlamentare dei Verdi europei. Ancora più interessante è stata la conferenza stampa tenuta qualche giorno fa da Philippe Lamberts, copresidente del gruppo dei Verdi a Strasburgo. Il politico belga prima ha sottolineato che le regole fiscali attualmente negoziate nelle discussioni del trilogo tra la Commissione europea, il Parlamento e il Consiglio rendono “legalmente impossibile” raggiungere l’obiettivo della completa decarbonizzazione entro il 2050. Dopodiché, ha accusato l’Ue di essere gestita da “fondamentalisti religiosi” che seguono politiche “suicide” (sic), accusa che qualcuno potrebbe facilmente girare al gruppo parlamentare da lui co-presieduto.

L’emissione di nuovo debito pubblico per finanziare la transizione verde nei prossimi 25 anni delineato dal rapporto del Rousseau Institute raggiunge cifre spaventose: 510 miliardi di euro all’anno per l’intera Ue a 27. Qualcosa che sta tra il 3% e il 4% del Pil europeo. È evidente, che con le regole fiscali europee un tale indebitamento è impossibile.

Guillaume Kerlero de Rosbo, uno degli autori dello studio, ha detto che sono necessari grandi finanziamenti pubblici perché molti degli investimenti richiesti “non sono abbastanza redditizi” perché il settore privato possa finanziarli da solo, in particolare nei settori della ristrutturazione edilizia e dell’industria pesante.

“La mano invisibile del mercato non farà il lavoro da sola”, dice Kerlero de Rosbo. “Nel breve termine, gli Stati membri avranno bisogno di margini finanziari per agire, ed è per questo che riteniamo che la riforma delle regole fiscali europee non consentono questo ulteriore investimento”.

Lo stesso Lamberts in conferenza stampa ha detto che “senza un massiccio sostegno pubblico, l’ondata di rinnovamento non avrà luogo”.

La proposta dei Verdi di non considerare gli investimenti green nel calcolo dei parametri fiscali del patto di stabilità europeo può forse aggirare l’ostacolo dell’austerità, ma il problema resta ed è legato al tipo di investimento.

Tre giorni fa, poi, ha parlato di cifre anche il segretario esecutivo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici (Unfcc) Simon Stiell; “2.400 miliardi di dollari sono ciò che il High-Level Expert Group on Climate Finance stima sia necessario ogni anno per investire in energie rinnovabili, adattamento e altre questioni legate al clima nei paesi in via di sviluppo, esclusa la Cina”, ha detto in un intervento pubblico.

Gli investimenti per la transizione, dunque, considerata la cifra necessaria per i paesi in via di sviluppo e quella europea, superano i 100.000 miliardi in 27 anni. Se si aggiungono Cina, Nord America e i paesi sviluppati asiatici la cifra sfiora i 200.000 miliardi.

Ne risulta che il business verde è molto attraente per i grandi capitali: sussidi e garanzie pubbliche, mercati obbligatori per legge (auto elettrica docet), domanda globalizzata, regole sovranazionali. Un trasferimento di ricchezza dai cittadini alla finanza che non ha precedenti e che l’Unione europea persegue ed incoraggia.

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