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Gas, con il Nord Stream 2 la Russia sarà fornitore privilegiato per l’Europa

Il gasdotto Nord Stream 2 sembra dividere la Germania. Intorno a quel progetto si svolge uno dei capitoli più accesi del grande gioco mondiale dell’energia   Il fallimento delle trattative per una coalizione Giamaica e la possibilità che a reggere la Germania continui a essere la Grosse Koalition fra democristiani (Cdu e Csu) e socialdemocratici…

Il gasdotto Nord Stream 2 sembra dividere la Germania. Intorno a quel progetto si svolge uno dei capitoli più accesi del grande gioco mondiale dell’energia

 

Il fallimento delle trattative per una coalizione Giamaica e la possibilità che a reggere la Germania continui a essere la Grosse Koalition fra democristiani (Cdu e Csu) e socialdemocratici ha riportato in primo piano uno dei progetti energetici più controversi degli ultimi anni: il gasdotto Nord Stream 2. Di fatto il raddoppio del già esistente Nord Stream 1, il gasdotto patrocinato da Vladimir Putin e Gerhard Schröder che dal 2011 trasporta il gas direttamente dalla Russia nordoccidentale alla Germania nordorientale, con i tubi depositati sul fondo del Mar Baltico.

Nei colloqui che avrebbero dovuto portare al governo Giamaica (Cdu-Csu, liberali e Verdi) erano emerse posizioni molto critiche che avevano fatto ipotizzare un ripensamento di Berlino nei confronti di un progetto osteggiato dai vicini dell’Europa centro-orientale, dalla Nato e dalla stessa Ue. Se la crisi politica dovesse invece concludersi con il ritorno della Grosse Koalition, Berlino tornerebbe con forza a difendere la controversa pipeline.

Un primo segnale è arrivato l’11 dicembre, quando l’autorità mineraria di Straslund, sul Baltico, ha rilasciato una prima autorizzazione parziale per la costruzione del tracciato. Secondo quanto confermato dal ministero dell’Energia del Land Meclemburgo-Pomerania Anteriore, l’autorizzazione riguarda la piattaforma continentale tedesca. Gli amministratori di Nord Stream 2 hanno salutato la decisione come “il primo passo verso la completa autorizzazione tedesca”.

Solo qualche giorno prima il ministro degli Esteri tedesco, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, era tornato a difendere il progetto con forza. Intervenendo al decimo Forum russo-tedesco sulle materie prime che si è svolto a San Pietroburgo, Gabriel aveva rigettato il tentativo della Commissione europea di avocare a sé competenze in merito al Nord Stream 2. Di fronte a una platea amica, Gabriel aveva riaffermato la posizione tedesca (e russa), secondo la quale il gasdotto è un’impresa diretta Berlino-Mosca e non ha bisogno di sottostare alle regole del terzo pacchetto energia dell’Ue, che nel 2011 ha sancito i principi della libera concorrenza: separazione netta tra produzione e trasmissione, libertà di accesso di operatori terzi alle infrastrutture, tariffe non discriminatorie e trasparenti. Criteri che, se applicati al Nord Stream 2, evidenzierebbero la posizione monopolista di Gazprom.

Il rappresentante della diplomazia tedesca (che nella prima parte della legislatura era stato ministro dell’Economia) aveva poi esaltato l’affidabilità e la puntualità di Mosca come fornitore di gas e sottolineato come Gazprom e gli altri gruppi energetici investitori avessero diritto a un quadro normativo certo. Quindi aveva concluso l’arringa difensiva con due appelli che rappresentano il succo della nuova Ostpolitik di Berlino (e dell’Spd): uno a Washington affinché rinunci a nuove sanzioni economiche verso Mosca, l’altro a Bruxelles affinché non dimentichi che la soluzione delle tensioni nell’Europa dell’Est può passare solo dal coinvolgimento e non dall’isolamento della Russia, nonostante gli attriti prodotti dall’annessione della Crimea. Il messaggio è chiaro: a differenza di un governo Giamaica, la Grosse Koalition non cederà su Nord Stream 2.

Insomma tanta geopolitica sollevata per far quadrato attorno a quei 1.200 chilometri di tubi che dall’inizio del prossimo anno dovrebbero essere adagiati sui fondali del Baltico, dalla costa russa di Ust-Luga sul golfo di Narva fino alle spiaggie di Lubmin in Pomerania Anteriore. Un progetto da 10 miliardi di euro realizzato da una joint venture fra Gazprom e cinque altre aziende europee: le tedesche Uniper (Eon) e Wintershall (Basf), l’austriaca Omw, l’anglo-olandese Shell e la francese Engie (ex Gdf-Suez). Nei piani russo-tedeschi dovrebbe entrare in funzione alla fine del 2019, momento in cui scadranno i contratti di transito con l’Ucraina per il gas russo destinato all’Europa occidentale. E pompare 55 miliardi di metri cubi di gas naturale (27,5 per ogni linea prevista), portando l’intera gettata delle due pipeline gemelle a 110 miliardi di metri cubi all’anno.

Se tutto filerà liscio, Gazprom diventerà il fornitore privilegiato dei mercati europei e la Germania diventerebbe il principale centro per il transito, lo stoccaggio e la distribuzione del gas russo nell’Ue: una posizione cruciale nella futura distribuzione dei flussi energetici.

Ma attorno al progetto baltico si svolge uno dei capitoli più accesi del grande gioco mondiale dell’energia. Da un lato la Russia, secondo la definizione di Sergio Romano sempre più identificabile come “impero energetico”, e la Germania, con una robusta lobby industriale pro-russa raccolta attorno all’Ost Ausschuss der Deutschen Wirtschaft, il “Comitato Est” dell’economia tedesca. Dall’altro la Commissione europea che intende andare fino in fondo nella rivendicazione di un mandato esclusivo per negoziare con Mosca fino a modificare le linee guida per la costruzione di pipeline tra Stati Ue e Stati terzi, i paesi dell’Europa centro-orientale intimoriti dal rafforzamento della dipendenza energetica dal Cremlino, l’Ucraina che perderebbe una pedina importante nel braccio di ferro con la Russia e paventa il rischio di un’invasione militare diretta nel Donbass, gli Usa che minacciano sanzioni a imprese europee impegnate in progetti con la Russia. E la Nato, che spalleggia le inquietudini est-europee e americane. In un’intervista alla Bild, l’ex segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, ha definito senza mezzi termini il Nord Stream 2 “una trappola di Putin che produrrebbe serie conseguenze per i partner europei confinanti con la Germania” e “il progetto principale nella campagna russa per rendere l’Europa dipendente dal suo gas, consolidare la sua influenza nel cuore dell’Ue e privare l’Ucraina dei diritti di transito per realizzare quelle riforme europee che proprio la Germania ha giustamente incoraggiato”. L’ex capo della Nato ha poi accusato l’Spd di “ingenuità nella pretesa di legare Nord Stream 2 all’Ostpolitik di Willy Brandt”, che negli anni Settanta contribuì ad allentare le tensioni della Guerra Fredda.

E proprio dalla Danimarca che vide Rasmussen premier dal 2001 al 2009 è arrivato un primo intoppo al tracciato del gasdotto: il 30 novembre il parlamento di Copenhagen ha adottato una legge che permetterà al ministro degli Esteri di vietare la posa dei tubi del Nord Stream 2 nelle acque territoriali danesi, in quanto il progetto pone presumibilmente potenziali rischi alla sicurezza nazionale. Il problema sarà superato con alcune modifiche alla tratta.

Merkel, Putin e il primo ministro ucraino

Se dovessero andare in porto le trattative per la Grosse Koalition con Angela Merkel ancora alla guida è certo che Berlino andrà allo scontro per difendere il gasdotto. Tanto più che l’opinione pubblica non avrebbe obiezioni geopolitiche: secondo l’ultimo sondaggio della tv pubblica Ard, i tedeschi hanno più fiducia nella Russia che negli Usa (28% contro 25%), un ribaltamento rispetto ai tempi della Guerra Fredda. D’altronde, il governo uscente ha sempre difeso Nord Stream 2, i cui tubi sono già in produzione negli stabilimenti di Mülheim, nella Ruhr. All’indomani della minaccia di Donald Trump di sanzionare aziende europee partecipi di progetti relativi al gas naturale con la Russia, le Farnesine di Germania e Austria avevano replicato a muso duro: “Decidiamo noi chi e come ci fornisce energia e lo facciamo basandoci sulla trasparenza e il libero mercato”, sosteneva una nota comune.

Secondo la radio pubblica Deutschlandfunk, Russia e Germania hanno poi un ulteriore jolly da giocare, in caso di necessità: l’ex cancelliere Gerhard Schröder, che alla carica di presidente del Nord Stream 1 ha aggiunto da settembre la regia della compagnia petrolifera a maggioranza statale Rosneft, attiva anche nel campo del gas naturale. Anche Rosneft punta in futuro a esportare gas in Europa, prosegue Deutschlandfunk, e se nel Nord Stream 2 verrà pompato il gas di Rosneft oltre a quello di Gazprom verrà meno una delle obiezioni più importanti sostenute dai suoi oppositori.

Pierluigi Mennitti

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