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Macron

Perché la crisi elettrica della Francia è un nuovo problema per l’Europa

Nei mesi invernali la Francia produrrà una notevole quantità di energia elettrica in meno, in un momento però in cui la domanda è di solito molto alta. Tutte le conseguenze per l'Europa. L'articolo di Sergio Giraldo.

In Italia è passato come un grande successo di Mario Draghi. Nel resto del mondo, cioè nella vita reale, in barba ai cantori delle gesta del Migliore, il price cap sul gas europeo è stato invece battezzato lunedì a Bruxelles “rischioso, impraticabile e non raccomandato”. In sintesi, la Commissione (incaricata dal Consiglio europeo di redigere il testo del regolamento sul tetto al prezzo del gas) ha fatto sapere ai rappresentanti degli stati membri che è impossibile introdurre un price cap che rispetti tutte e sette le condizioni poste dal Consiglio stesso.

Esso, come minimo, metterebbe a rischio la sicurezza delle forniture e avrebbe un impatto sui contratti a lungo termine, come del resto La Verità ha segnalato sin dall’inizio di questa surreale discussione. Va riconosciuto che sono stati soprattutto alcuni stati a spingere per il tetto e che la Commissione sul tema è sempre stata freddina. È stato il Consiglio europeo a forzare la mano, trovando il 20 ottobre scorso un “accordo” tra i 27 che in realtà non è tale e che si è tradotto in uno scaricabarile a spese della Commissione.

In vista della riunione del Consiglio europeo che dovrebbe decidere in materia, il prossimo 24 novembre, la Commissione è stata messa in mora due giorni fa da una lettera di Charles Michel diretta a Ursula von der Leyen, in cui il belga, pur davanti all’evidenza dei fatti, chiede che la Commissione faccia quello che gli è stato chiesto di fare.

Un funzionario di Bruxelles familiar with the matter con cui abbiamo parlato esclude però che il tetto come disegnato dall’art. 23 del regolamento in questione possa vedere la luce. La Commissione, probabilmente, proporrà al suo posto un meccanismo per evitare l’eccessiva volatilità. Strumento blando che andrebbe bene anche al governo tedesco, artefice di buona parte delle sette condizioni ostative al tetto.

Dopo aver sprecato tempo e fiato a parlare di una cosa irrealizzabile, alle soglie dell’inverno l’Europa si trova davanti ad una incognita e a due problemi seri. L’incognita è rappresentata dal clima: nell’ipotesi di un inverno molto freddo in Europa (o in Cina) i consumi energetici potrebbero salire molto, portando ad un utilizzo intenso delle riserve, un rialzo dei prezzi e ponendo rischi sulla tenuta del sistema.

Il primo dei due problemi riguarda la solidità del sistema elettrico francese. Il nuovo cronoprogramma di rimessa in linea degli impianti nucleari oggi fuori servizio per controlli e manutenzioni, diffuso pochi giorni fa da EdF, vede il venir meno di 5.500 MW di potenza a dicembre e 3.000 MW a gennaio rispetto ai piani noti a settembre. Si tratta di una notevole quantità di energia in meno in un momento in cui la domanda è di solito molto alta.

L’inverno dunque si presenta a rischio anche sul fronte elettrico, laddove una richiesta importante potrebbe mettere in difficoltà i gestori della rete francese, costringendo all’importazione massiccia dai paesi collegati (Germania e Italia tra gli altri). Le conseguenze si farebbero sentire anche sui sistemi elettrici connessi. Il rischio di periodi più o meno brevi in cui l’energia fisicamente non sarà disponibile in Francia è reale anche quest’anno. Sempre ricordando che “rischio” non è “certezza”.

Il secondo problema è che il 2023 sarà un anno in cui tutta l’Europa dovrà riempire gli stoccaggi svuotati durante l’inverno, ma questa volta senza il gas russo, che nel 2022 è stato determinante per raggiungere gli obiettivi del 90% e oltre di riempimento. A partire dalla primavera sarà una corsa mondiale ad accaparrarsi il gas liquefatto (LNG), in competizione con la Cina.

Nel suo discorso di ieri al Parlamento europeo, la stessa presidente della Commissione von der Leyen ha dovuto ammettere che l’offerta mondiale di LNG potrebbe non riuscire a coprire la domanda europea nel 2023, soprattutto se in Asia riprendesse la crescita economica. “Il prossimo anno potrebbero mancare 30 miliardi di metri cubi all’Europa”, ha detto von der Leyen, riportando di fatto l’ultimo studio dell’IEA senza citarla.

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