Il ricambio totale della classe politica italiana avvenuto nel corso degli ultimi anni ha comportato un mutamento molto significativo nella composizione del Parlamento. L’operato politico tuttavia non è soltanto programmi, visioni e promesse ma principalmente azioni che le migliori intenzioni devono trasformare in atti concreti.
La rivoluzione introdotta dal Movimento 5 Stelle ha comportato che un movimento giovanissimo e parlamentari molto spesso alla loro prima esperienza, in larga parte anche da un punto di vista lavorativo, si trovassero catapultati alla guida del Paese e a dover gestire situazioni complicate sia da un punto di vista amministrativo che da un punto di vista economico. La situazione generale del nostro Paese infatti è critica, da un lato per la mancanza di fiducia che le politiche degli ultimi anni hanno ingenerato negli elettori, dall’altro per la situazione oggettiva dei conti pubblici che faticano a mantenere le casse dello Stato in condizioni sufficientemente adeguate a promuovere investimenti e sviluppo.
Le promesse elettorali dei 5 Stelle hanno fatto molta presa sull’elettorato più debole per l’aspettativa di avere una significativa riduzione delle tasse e per la speranza di un ricambio della classe politica che consentisse di mandare a casa chi, nell’immaginario collettivo, a questa situazione li aveva portati. L’azione di Governo in questi primi mesi ha dovuto tuttavia scontrarsi con una realtà diversa da quella immaginata. Di fronte alla volontà di compiere gli atti necessari a mettere in pratica il programma elettorale, l’Esecutivo si sta scontrando in maniera molto decisa con la difficoltà operativa di trasformare i programmi elettorali in norme e atti concreti.
La reazione scomposta del portavoce del Presidente del Consiglio, Rocco Casalino, rispetto a minacciate ripercussioni che i funzionari del Ministero dell’Economia e delle Finanze avrebbero dovuto fronteggiare qualora non avessero trovato le risorse per finanziare il reddito di cittadinanza, sono l’evidenza di una frustrazione che l’Esecutivo vive nel non riuscire a far funzionare la macchina amministrativa di Governo del nostro Paese. Che i funzionari ministeriali siano di fatto quelli che consentono al Ministro e ai Sottosegretari di mettere in pratica concretamente la loro azione politica è risaputo e chiunque abbia avuto a che fare con un dicastero ne ha ben chiara l’importanza, così come è pacifico che chi nella struttura lavora da anni ne conosca meccanismi e segreti che difficilmente svelerebbe al politico di turno.
Quello che colpisce tuttavia è che, a fronte di questa consapevolezza, non vi sia stato, da parte dell’attuale Governo, nessun intervento, almeno nei principali Ministeri, volto a inserire figure politicamente vicine al nuovo corso in quei ruoli chiave che consentono di avere in mano le redini di un dicastero. Ancor più sorprendente è poi la difficoltà di individuare in tempi rapidi, laddove vi fosse la necessità, le figure di aziende controllate, autorevoli e competenti, che potessero fornire le garanzie di seguire i programmi che il Governo giallo-verde ha individuato.
Per quanto riguarda ad esempio il Ministero dello Sviluppo economico è estremamente significativo considerare che, nonostante le ripetute critiche al Ministro Calenda rispetto alle sue politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili ritenute insufficienti, il nuovo Ministro proponga dopo alcuni mesi dalla sua nomina un provvedimento fondamentale per lo sviluppo delle rinnovabili dei prossimi anni, in un testo fotocopia rispetto a quello tanto contestato e proposto mesi fa dal suo predecessore.
Altrettanto indicativo è il fatto che al Gse si siano avute molte assemblee deserte senza essere riusciti in tempi consoni a individuare una figura per il ruolo di Presidente ed Amministratore delegato di un’azienda così centrale nello sviluppo delle politiche energetiche del nostro Paese.
È evidente quindi che la burocrazia nazionale abbia ancora una forza e un peso assai rilevante e soprattutto tale da poter condizionare provvedimenti e nomine.
Questa situazione da un lato garantisce continuità nell’azione ma dall’altro snatura il ruolo politico e lo svuota della capacità di incidere nella definizione delle politiche nei vari settori del nostro sistema.
Luigi Di Maio ha più volte ripetuto che la politica deve tornare a essere centrale nell’individuazione dell’azione di governo e deve recuperare gli spazi che la burocrazia ha in questi anni eroso. Come non dargli ragione? riuscirci sarebbe importante ma sembra di capire che all’attuale Esecutivo risulti più difficile da fare che da dire.
Nel frattempo il braccio di ferro sta comportando ritardi inaccettabili che il sistema paese rischia di pagare a caro prezzo. L’auspicio è quindi che venga risolta quanto prima la fase di stallo nella quale ci troviamo e che il Governo possa definire le proprie politiche sulla base delle quali poi gli elettori potranno valutare l’incisività dell’intervento e la corrispondenza delle azioni concrete rispetto alle promesse elettorali.
Editoriale pubblicato su Il Pianeta Terra