Siamo nel pieno dell’emergenza. Innescata dalla crisi energetica più drammatica della storia moderna. E che ha il suo epicentro in Europa. Impegnata in una doppia transizione:
- liberarsi dalla dipendenza dalle importazioni russe
- realizzare (tappe 2030 e 2050) obiettivi assai ambiziosi di decarbonizzazione
Nel corso del 2022 (guerra russa) questi due obiettivi si sono intrecciati e sovrapposti. Determinando un corto circuito delle economie europee (inflazione, recessione, prezzi dell’energia, peso insostenibile su famiglie e imprese).
È emerso il doppio impegno per gli Stati dell’Europa comunitaria:
- fronteggiare l’emergenza con misure che arrestino la spirale dei prezzi (cap al gas; disallineamento tra i prezzi fossili importati e quelli delle energie rinnovabili o di produzione interna) e misure di diversificazione degli approvvigionamenti di gas (aumentando la quota del gas liquido da ritrasformare; aumentando- caso italiano- la quota di gas estratto nei confini nazionali; sostituendo il gas russo con altri luoghi di approvvigionamento
- a questo, che è l’emergenza, si accompagna l’obiettivo strutturale: cambiare il mix energetico europeo. Dove deve diminuire la quota di beni energetici importati dall’esterno dell’UE e deve aumentare la produzione domestica. E- se si intende continuare a rispettare l’obiettivo della decarbonizzazione- questa sostituzione di fonti esterne con produzione interna- deve avvenire facendo ricorso a finti non carboniche. Che sono essenzialmente due: rinnovabili ed energia nucleare.
Ce ne parleranno le introduzioni.
Perché il nucleare? Per quattro motivi.
- perché già oggi è la prima fonte non carbonica del sistema energetico europeo. Verità nascosta da una lunga retorica falsificatrice (specie nel nostro paese) che ha raccontato di un presunto declino del nucleare. Che pesa in Europa, invece, per il 13% nella contabilità delle fonti primarie e, con 122 centrali operative, per il 25% nella generazione di energia elettrica del continente. Altro che declino! E molti dimenticano che senza la CO2 evitata (miliardi di tonnellate negli ultimi decenni) dalle centrali nucleari attive, l’Europa non potrebbe vantare il record del minimo di emissioni nel bilancio carbonico mondiale. E, neanche lontanamente, proclamare gli ambiziosi targets di decarbonizzazione che ci siamo dati.
- Perché le fonti non carboniche che ci serviranno si distinguono tra loro per caratteristiche tecniche, fisiche e funzionali: ci sono fonti naturali intermittenti, non programmabili, sottoposte agli andamenti naturali e meteorologici. Che danno un volume di terawattora limitato nella media delle 2500 ore annue in cui generano energia. E ci sono fonti, invece, continuative, che danno energia per le 8000 ore dell’anno. Le introduzioni spiegheranno perché di questa energia continuativa non carbonica i nostri sistemi energetici europei hanno bisogno come il pane. E perché non bastano e non basteranno le tecnologie e i sistemi di accumulo e stoccaggio ad eliminare tale esigenza. La verità è che la funzione di fonte continuativa nel mix energetico dei paesi avanzati- sinora assolta dalle fonti fossili- dovrà essere garantita da fonti energetiche (idroelettrico, biomasse e nucleare) con la stessa caratteristica di continuità. Che devono affiancare e integrare le fonti rinnovabili in espansione. E’ una ragione di sicurezza del sistema energetico, di garanzia di funzionamento delle reti elettriche e di trasmissione, di efficienza.
- Perché i nostri sistemi stanno evolvendo verso una sempre maggiore penetrazione degli usi elettrici finali nei consumi di energia:
- per la domanda inarrestabile dei paesi poveri
- per la rivoluzione della microelettronica e del digitale
- per la necessità crescente di energia pulita negli usi finali, di mobilità e domestici, ma anche all’atto della generazione
L’elettrificazione sarà la dominante della transizione energetica e del resto del secolo. L’energia nucleare, l’ultima scoperta del 900 tra le fonti didi wattora per superfice occupata), dal più alto fattore di capacità (ore di funzionamento annuo al massimo regime richiesto) e dalla più bassa volatilità e più alta costanza nei costi operativi e di gestione. La transizione energetica, se deve sostituire le quantità di combustibili fossili che generano, ancora, la gran parte dell’energia elettrica che consumiamo (oltre il 50% in Italia) non potrà fare a meno di questa fonte elettrica per eccellenza- abbondante, efficiente e disponibile.
- Infine, perché il nucleare è la tecnologia non carbonica e subito disponibile caratterizzata dalla più massiccia articolazione di tipologie di impianti ad alta tecnologia e con il maggiore track record di sicurezza, efficienza e innovatività tra tutti gli impianti energetici. Gli impianti nucleari attuali- centrali di larga potenza, di terza generazione (le 54 che si stanno attualmente costruendo nel mondo) sono impianti, progettati sul finire degli anni 90 e avviati ai primi degli anni 2000, che hanno realizzato un’evoluzione qualitativa su fattori come la sicurezza, l’efficienza e l’economicità, che non hanno paragoni con alcun’altra tecnologia energetica. Al tempo stesso l’energia nucleare nucleare, ce ne parlerà la ingegner Gasparrini, è caratterizzata da una roadmap di impianti innovativi- gli SMR (piccoli reattori modulari) alla fine già di questo decennio, la quarta generazione entro la fine del prossimo, e, infine, la fusione nucleare intorno al 2040. Sono tutti impianti, si badi bene, caratterizzati da un impressionante fattore di durata media (dai 60 anni delle centrali di oggi ai 100 dei futuri impianti). Che connotano l’energia nucleare come, davvero, l’energia del secolo. Anche per una seconda caratteristica esclusiva di questa tecnologia: la sua versatilità. Negli attuali (ma soprattutto nei futuri reattori SMR e di 4 GEN) gli usi elettrici saranno accompagnati da altri utilizzi, altrettanto e in alcuni casi persino preponderanti: la generazione di idrogeno, il vettore energetico del futuro, gli usi industriali del calore, la cogenerazione termica, la propulsione navale e spaziale, la realizzazione di un ciclo chiuso dei propri rifiuti, i reattori breeder che consumeranno i rifiuti come nuovo combustibile. E, infine, il crescente uso delle tecnologie nucleari nella produzione di macchine per la medicina, di diagnosi e cura delle grandi malattie.
Può l’Italia stare da zoppo in questo straordinario sviluppo che si prefigura delle tecnologie nucleari? Intanto il tema del nucleare ci coinvolge nella risposta all’emergenza. Anche se non possediamo ancora centrali nucleari ne facciamo largo uso attraverso l’importazione (14% del nostro fabbisogno elettrico). Siamo, dunque, vitalmente interessati all’orientamento europeo, affermato nel RePower EU, di “aumentare, nei prossimi 5/10 anni di 44 terawattora la produzione di energia nucleare”. Attraverso il prolungamento delle attività delle centrali a fine ciclo vita da progetto e attraverso la realizzazione di nuove centrali. Che nei 27 paesi dell’Unione tra impianti in costruzione, decisi e programmati assommano a 29 centrali aggiuntive. Noi plaudiamo alla proposta della Federacciai, che qui illustrerà il Presidente Gozzi, di inserire l’Italia in questo orientamento del RePower Eu con l’ipotesi che utilizzatori italiani possano entrare nel capitale di nuove centrali europee, a partire da quelle ai nostri confini, per importare elettricità a prezzi stabili e per lunghissimi periodi di riferimento.
Ma oltre l’emergenza del RePower Eu c’è l’urgenza per l’Italia di avviare un radicale cambiamento del proprio mix energetico per renderlo resiliente alla strategia di diversificazione degli approvvigionamenti e alla transizione climatica. Non possiamo più nasconderci il costo che abbiamo pagato, 35 anni fa, alla scellerata decisione, presa solo da noi nel mondo, dopo l’incidente di Chernobyl, di azzerare la nostra produzione di energia nucleare. Andando anche oltre gli sessi quesiti del referendum del 1987. Fu un errore catastrofico delle classi dirigenti italiane. Da quell’anno iniziò il pericoloso affidamento alle fonti fossili di importazione che, in pochi decenni, ci ha consegnato il sistema energetico più dipendente, più costoso per imprese e famiglie, meno diversificato e più insicuro dell’intero Occidente. Se avessimo potuto contare, in questo frangente della produzione nucleare in programmazione nelle centrali attive nel 1987 e nella nuova centrale dell’Alto Lazio in costruzione finale, non avremmo alcuno dei drammatici problemi dell’emergenza di oggi. Aver fatto a meno di quella quota di nucleare ha esposto il Paese ad un drammatico, incontestabile e colpevole fallimento energetico.
È venuto il momento di prenderne atto e cambiare.
È ora di rientrare nella modernità. Di riammettere il nostro paese nel club delle potenze industrializzate. Che tutte, la Germania è sempre più un caso isolato e un esempio cervellotico, orientano la transizione energetica verso un mix di fonti in cui allo sviluppo preponderante delle rinnovabili si accompagna una quota sufficiente di energia nucleare. È questo il modello energetico della decarbonizzazione. Nel 2050, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) la potenza installata del nucleare nel mondo, oggi circa 390 GW, è destinata a raddoppiare a 800 GW.
Noi avanziamo qui, al nostro Governo e alle forze politiche di maggioranza e di opposizione, la richiesta che, in modo bipartisan (sull’energia e sul nucleare lo scontro porta solo alla paralisi), il Parlamento italiano realizzi tre misure, in questa legislatura, che riaprano il Paese, in maniera realistica e concreta, all’energia nucleare.
- Occorre tornare ad una PEN che indichi il cambiamento auspicabile del mix energetico che ci faccia uscire dalla dipendenza e realizzi la sicurezza energetica del Paese. Questo significa smetterla con i piani energetici (come il PNIEC) che si limitano a indicare solo gli obiettivi emissivi e tornare a ragionare in termini di programmazione delle fonti con cui realizzare insieme target emissivi e sicurezza e continuità delle forniture di cui ha bisogno la domanda di energia del paese. Una volta noi avevamo un ente elettrico nazionale, l’ENEL, che aveva il compito di promuovere la programmazione elettrica ed energetica. Occorre ripristinare una funzione di pianificazione energetica. Rafforzando le funzioni di studio e di elaborazione di altri enti pubblici energetici, a partire dall’ENEA. Oltre la emergenza dei prezzi e degli approvvigionamenti, il Governo dovrebbe avviare un tavolo di programmazione, che individui il nuovo mix energetico del futuro prossimo, le fonti e le tecnologie che debbono realizzarlo nella assoluta neutralità tecnologica. La fonte nucleare, per 35 anni discriminata per principio, tra le fonti utilizzabili, deve tornare a pieno titolo tra le tecnologie non carboniche valutate laicamente per contribuire al cambiamento indispensabile del mix energetico del Paese.
- Proponiamo una legge che sostenga, incentivi e promuova la partecipazione delle imprese italiane ai progetti e ai programmi di sviluppo internazionali nel campo dei piccoli e medi reattori SMR. Sta per aprirsi una competizione commerciale che, alla fine di questo decennio, porterà sul mercato una decina di modelli di nuova concezione. Non è giusto che l’industria italiana sia fuori da questa sfida. Non possiamo ridurci ad essere solo fruitori in questa sfida di mercato. E’ stato un atto di miopia, di ritardo culturale, di provincialismo mosso da ideologia l’avere per 35 anni tenuto il nucleare fuori dalla leggi che, in Italia, sostengono la ricerca e l’innovazione. E la miopia è continuata con il PNRR dove, a differenza ad esempio della Francia, non si è considerato che, tra le tecnologie nuove per la transizione energetica, il nuovo nucleare, quello dei reattori SMR e della IV GEN, sono tra le più vicine all’implementazione. L’Europa, signori politici, va in questa direzione. Ad esempio, con la decisione di attivare un’iniziativa dell’UE sullo sviluppo degli small reactors. L’Italia, con industria e università, è presente autonomamente in questa iniziativa. Ma senza il conforto di un sostegno dello Stato. Che ovviamente è massiccio nel caso di altri paesi. Rifletta la politica. E’ ora di seguire l’indicazione europea: il nucleare va riammesso nelle leggi di ricerca e di innovazione e sviluppo.
- Infine, una terza indicazione poniamo all’attenzione del governo e della politica: rispettiamo un altro obbligo europeo su cui latitiamo da 40 anni, il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Che non riguarda il nucleare futuro. Ma la sistemazione di circa 90.000 metri cubi derivanti dalle attività di decommissioning delle centrali dismesse, ma anche dalle attività medicali e industriali che, informiamo chi non lo sapesse generano rifiuti radioattivi. Che, unico paese in Europa, noi teniamo dispersi in circa un centinaio di depositi (non costruiti allo scopo dello smaltimento di tali rifiuti, ma solo al loro stoccaggio temporaneo). È ora di uscire dall’ipocrisia sul deposito: accelerare le procedure di localizzazione, convocare conferenze di servizi sui siti valutati idonei e, dopo il dibattito pubblico, scegliere e decidere. Si tratta di un’infrastruttura utile, di un investimento che porta sviluppo e occupazione qualificata nel sito prescelto. Ed è una scuola delle tecnologie di smaltimento e trattamento dei rifiuti radioattivi.
Le imprese italiane, le strutture pubbliche della ricerca della ricerca (ENEA, CNR, INFN, le Università raccolte nel CIRTEN (Consorzio Interuniversitario per la Ricerca Tecnologica Nucleare)- Milano Pavia, Torino, Padova, Bologna, Pisa, Roma, Palermo- in questi 35 anni dal referendum del 1987 hanno garantito il mantenimento di uno straordinario presidio in campo nucleare, nonostante la cancel culture e l’ostracismo pubblico sulle tecnologie nucleari. L’industria italiana ha partecipato alle attività costruttive all’estero di nuove centrali nucleari e si è fatta valere, con competenza e prestigio, nella attività di miglioramenti dei sistemi di sicurezza nelle centrali europee dopo l’incidente di Fukushima. Con le Università e i Centri di ricerca l’industria ha continuato la progettazione sui piccoli reattori avanzati. Questo presidio di tecnologia nucleare stata protagonista, in Europa nella progettazione della IV generazione, assumendo la leadership in una delle tecnologie più promettenti, quella del raffreddamento a piombo. Infine, questa comunità di aziende, enti di ricerca e università è oggi tra i protagonisti dell’itinerario verso la realizzazione della fusione nucleare. Le imprese italiane che lavorano alla costruzione del reattore ITER si sono aggiudicate i due terzi, tra 35 paesi concorrenti nel mondo, delle forniture, spesso ad altissima qualificazione- il cuore meccanico del grande reattore TOKAMAK, i magneti superconduttori, i sistemi di controllo, i complessi ed inediti sistemi elettrici- del più grande impianto di sperimentazione della fusione in costruzione.
Con l’Eni siamo l’azionista privato principale del progetto di un reattore di fusione compatto tra i più promettenti al mondo. Ospiteremo, con il DTT a Frascati, l’esperimento tra i più decisivi e delicati della fattibilità della fusione; con le Università, l’ENEA e l’RFX di Padova siamo posizionati nel cuore strategico della dimostrazione fisica della fusione: la configurazione e il controllo del plasma, il gas accelerato di nuclei leggeri che è il cuore del processo di fusione. A 80 anni esatti dalla dimostrazione fisica e ingegneristica della fissione nucleare, che porta il nome del genio italiano di Enrico Fermi, l’Italia è tra i protagonisti della promessa della fusione. Segno che siamo, nonostante la cancel culture sul nucleare civile, un Paese vivo, preparato e competente nelle tecnologie nucleari. Chiediamo piuttosto alla politica, alle istituzioni di rimettersi al passo con l’industria e la cultura nucleare del Paese.
Il nucleare civile ha una road map tecnologica, ingegneristica costruttiva fatta di tempi precisi del percorso verso impianti sempre più performanti: le centrali attuali di 3 GEN; gli SMR, la 4 GEN, la fusione nucleare. E’ un cammino che ha, come traguardo, la metà del secolo in cui occorrerà realizzare una economia ed energia decarbonizzate. Chi propone all’Italia di saltare qualcuna delle tappe di questo percorso, di aspettare la 4 Gen o la fusione nucleare, non conosce il funzionamento della Tecnologia: una tappa saltata e il treno è perso! E il Paese è condannato al nanismo tecnologico e a restare un Paese che importa l’energia e non sa più generarla in proprio.
Il rientro nel nucleare va avviato oggi, partendo dalle tecnologie esistenti e in arrivo. Se vogliamo che l’Italia possa cimentarsi con i vincoli, gli obblighi e le opportunità della transizione energetica.
Abbiamo salutato, in questi giorni, l’annuncio dei laboratori di Livermore: la misura di un guadagno tra l’energia immessa nei laser ( 2,05 megajoule) per indurre la fusione di due nuclei di deuterio e trizio e l’energia ottenuta dalla reazione (3,15 megajoule). Un grande passo. Ci fa piacere, come comunità nucleare, che i media abbiano scoperto gli esperimenti di fusione. Che, è noto, si conducono in Europa e in tutto il mondo (Cina e Giappone) anche con la tecnologia del confinamento magnetico (tokamak) diversa da quello inerziale dell’esperimento USA. Solo pochi mesi il tokamak JET (Joint European Torus) nel Regno Unito ha generato 59 megajoule di energia, anch’esso un record per il volume di energia generato. Ormai sulla fusione si perde il conto degli esperimenti realizzati con i due metodi. E si rincorrono annunci, talvolta, esagerati. Due cose vanno precisate: i successi annunciati sono ancora nel campo della dimostrazione scientifica e sperimentale della possibilità fisica della fusione. Dimostrazione che è ancora distante dal completamento sperimentale; la dimostrazione chiave sarà quando dalle macchine sperimentali, tokamak o laser, si passerà ai prototipi di reattori allacciati alla rete elettrica. E’ questa la vera scommessa delle due tecnologie. E qui la corsa, a dire la verità, non vede affatto- nemmeno dopo l’annuncio di Livermore- uno svantaggio della tecnologia del tokamak su cui l’Europa (ma anche altre nazioni nel mondo) ha scommesso. E su cui l’Italia, con ITER e con il Commonwealth fusion system dell’ENI si sta distinguendo.
La fusione nucleare è più vicina. È entrata nell’orizzonte visivo della transizione energetica con le sue tappe del 2040 e del 2050. Ma dalla sua realizzazione, con centrali allacciati alla rete, ci separano ancora alcuni decenni. In cui si dovrà far ricorso al nucleare che c’è, quello da fissione, con la sua grande offerta tecnologica di impianti già sul mercato o prossimi ad esso. Si tratta di un nucleare pulito, con un track record di sicurezza, efficienza e convenienza per i sistemi energetici su cui anche l’Italia non potrà che tornare a fare affidamento