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Energia, funziona la tassa sugli extraprofitti?

La tassa straordinaria sui cosiddetti extra-profitti delle compagnie energetiche corre il rischio di trasformarsi in un buco nei conti dello Stato. Ecco perché. L'approfondimento di Sergio Giraldo per il quotidiano La Verità

 

La tassa straordinaria sui cosiddetti extra-profitti delle compagnie energetiche, inventata dal governo di Mario Draghi, corre il rischio di trasformarsi in un buco nei conti dello Stato. Il dubbio sull’entità del gettito di questa trattenuta è più che legittimo, considerati gli elementi in gioco e i soggetti interessati. Nel decreto legge “Aiuti” l’aliquota del prelievo straordinario è stata fissata al 25%. Questa sarà applicata all’incremento del saldo tra operazioni attive e passive (quantificate sulla base delle comunicazioni trasmesse ai fini IVA) realizzato dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al medesimo periodo tra il 2020 e il 2021. Attualmente, il decreto è ancora in discussione alla Camera per la conversione in legge, oggetto di oltre 2.400 emendamenti e con l’Ufficio Parlamentare di Bilancio e il Servizio bilancio che hanno chiesto chiarimenti al governo. Le imprese potenzialmente soggette all’onere sono quelle attive nei settori dell’estrazione, produzione, importazione e vendita di energia, gas e prodotti petroliferi.

Dal prelievo straordinario il governo pensa di ricavare circa 11 miliardi, avendo stimato in oltre 42 miliardi il totale dei cosiddetti extra-profitti. La stima è ricavata dai dati della fatturazione elettronica e dei corrispettivi telematici, quali migliori approssimazioni in mancanza delle Comunicazioni relative alle liquidazioni periodiche IVA. E qui sta il busillis. Infatti, a parte i già noti profili di dubbia costituzionalità della norma, la cifra stimata sembra spropositata, considerato che i maggiori operatori del settore avrebbero elaborato le proprie stime che appaiono molto lontane da quelle cifre. Enel, ad esempio, aveva quantificato la tassa in circa 100 milioni, altrettanto Edison, mentre Eni ha fatto sapere di non avere registrato alcun extra-profitto sul gas. Diversi produttori di energia elettrica hanno annunciato ricorsi. Secondo alcune stime, la tassa frutterebbe al massimo 3 miliardi, cioè 8 miliardi in meno di quanto atteso dal governo. Ma non è tutto. Per finanziare le nuove misure per ridurre i costi energetici, tra cui la sospensione dell’accisa di 25 centesimi sul prezzo della benzina che scade l’8 luglio, ora il governo avrebbe intenzione di aumentare l’aliquota al 40%. Il gettito atteso dal governo salirebbe così a oltre 16 miliardi di euro, rischiando in realtà di allargare il buco. Per fine mese è previsto il versamento dell’acconto, vedremo quali saranno le cifre reali.

Nel frattempo, l’Arera, in una segnalazione ricca di spunti, ha reso note le risultanze della sua indagine sui prezzi cui il gas è importato dall’estero. Come c’era da aspettarsi, i prezzi all’import sono tutt’altro che stracciati, essendo indicizzati per l’80% dei volumi al mercato TTF e per il 20% al petrolio Brent. Tra i contratti indicizzati al TTF, circa il 70% di questi è legato al prodotto forward mensile, il 20% al prezzo spot e il 10% al forward trimestrale. Dunque, tali contratti di acquisto hanno subito, grossomodo, lo stesso andamento che si è verificato sui prezzi di vendita indicizzati al mercato TTF e non possono, in sé, aver dato luogo a clamorosi extraprofitti. La segnalazione dell’Arera, che ha elaborato i suoi calcoli sulla base dei reali contratti di import che indicano prezzi e quantità, raffredda non poco le aspettative del governo di reperire nuove risorse finanziarie.

(Estratto di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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