Si può ragionevolmente affermare che, se non interverranno correttivi alla deriva in atto, sia cominciato un drammatico conto alla rovescia per il nostro Pianeta. Ciò significa che la compromissione ambientale, anche nei suoi rapporti con la sostenibilità della dimensione antropologica sta rapidamente configurando scenari preoccupanti per la sussistenza della vita stessa sulla Terra.
Già nelle 40 pagine di evidenze scientifiche, priorità e raccomandazioni ai governi redatte dal 29/4 al 4/5 2019 in sede OCSE, dai rappresentanti di 130 Paesi aderenti all’Ipbes (la piattaforma intergovernativa scientifico-politica sulla biodiversità e gli ecosistemi) per esaminare un Rapporto dell’ONU stilato in 3 anni di lavoro da parte di oltre 150 esperti, volto allo studio e all’approfondimento dei rischi delle biodiversità, si coglieva la sensazione di un imminente “tsunami” globale che potrebbe portare in tempi definiti “relativamente brevi” all’estinzione di una serie di specie viventi che popolano i mari e la Terra, fino ad 1/8 di quelle attualmente censite pari ad una cifra mostruosa di circa un milione di specie animali e vegetali.
Ciò che influisce sull’alterazione delle biodiversità esistenti sono i comportamenti umani: sfruttamento del suolo e delle risorse naturali, come l’acqua e il legno, agricoltura intensiva, caccia e pesca, inquinamento ambientale, uso dei pesticidi, urbanizzazione e cementificazione selvaggia. Sono dunque gli stili di vita dissennati che – secondo il Rapporto dell’ONU – hanno già “alterato gravemente tre quarti delle superfici terrestri, il 40 per cento degli ecosistemi marini e la metà di quelli di acqua dolce”. Sono dati catastrofici che dovranno prima o poi indurre i governi ad assumere provvedimenti legislativi condivisi ed azioni urgenti di freno a questa deriva distruttiva del pianeta e della sua biodiversità.
Questo fenomeno, così grave e cupo nelle previsioni, finirà secondo l’ONU per condizionare ed alterare le condizioni di vita e sopravvivenza della stessa specie umana, a lungo termine, poiché la biodiversità è garanzia di alimentazione, sostenibilità ambientale, acqua potabile, produzione di energia e di farmaci.
La Terra si trova – secondo il Rapporto – alla soglia della sesta estinzione di massa della sua storia, la prima attribuita ai comportamenti umani.
Commentando il sesto Rapporto del 2021 stilato dagli scienziati dell’IPCC sull’emergenza del “climate change” e approvato dai 195 Governi aderenti all’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Segretario Generale Antonio Guterres aveva usato un’espressione eloquente: “siamo al codice rosso”, mentre il presidente di turno della conferenza ONU sul clima COP26 – il ministro britannico Alok Sharma – era stato altrettanto esplicito: “Il tempo a disposizione per fermare la catastrofe del cambiamento climatico sta pericolosamente avvicinandosi alla fine: non possiamo permetterci di aspettare ancora due, cinque o dieci anni, questo è il momento di agire”.
Definire spaventose le evidenze emerse dalla successiva Conferenza di Glasgow del novembre 2021 è più prossimo all’eufemismo che alla realtà: l’innalzamento del livello dei mari è stato valutato “irreversibile ancora per millenni”, non si era mai riscontrata questa tendenza negli ultimi 3000 anni, ed è causa di erosione delle coste e inondazioni.
Addirittura le emissioni di CO2 misurate nel 2019 erano le più alte di sempre, considerando almeno i due milioni di anni precedenti, quelle dei gas serra (biossido di azoto e metano) in cima alla scala dei valori degli ultimi 800 mila anni. E tutto questo mentre la temperatura media si innalza con un trend incrementale mai riscontrato in passato (+1.09° tra emissioni antropiche e gas serra nel decennio 2011/20 rispetto ai 50 anni che vanno dal 1850 al 1900): si pensi alle conseguenze per la vita degli abitanti della Terra, per l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, la sostenibilità ambientale, le condizioni delle metropoli ad altissimo tasso di urbanizzazione.
Si considerino le osservazioni del compianto biologo Edward O. Wilson – già illustrate e note da tempo – sull’incremento demografico: siamo 7 miliardi e mezzo di abitanti su un pianeta dove la soglia di compatibilità massima è stata stimata ai 6 miliardi di persone. A fine secolo si prevede una popolazione mondiale di 11 miliardi.
In questo contesto ambientale ai limiti della compromissione irreversibile, una umanità in espansione illimitata diventa indebolita e vulnerabile agli attacchi di virus che dimorano abitualmente in ospiti animali, come accaduto in tutte le sue varianti con il Covid-19 che ha attaccato l’uomo per transito zoogenetico. Questa coincidenza epocale tra compromissione climatica ed emergenza pandemica non è dunque casuale e può ripetersi.
Occorre padroneggiare una visione olistica di questi fenomeni per tentare adesso, senza rinviare, di arginare la deriva catastrofica. L’obiettivo più immediato è dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 per azzerarle entro il 2050: il nemico numero uno è il riscaldamento globale, l’obiettivo è fermarlo a + 1,5° rispetto all’epoca preindustriale, come programmato nell’Accordo di Parigi (COP21-2015).
Temperature più elevate porterebbero tra le altre conseguenze un ulteriore innalzamento dei mari: al trend incrementale attuale potrebbero salire fino a 50 cm a fine secolo, con una previsione ad oggi ingovernabile di 20 metri come corrispettivo di 5° di aumento della temperatura, né ci consola che ciò potrebbe avvenire al limite dei prossimi 2000 anni. (Solo Trump ha potuto commentare… “Avremo un po’ più case con vista mare, che non è la cosa peggiore del mondo”).
Questi temi sono stati ripresi in questi giorni nello studio pubblicato sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas) a cura di un gruppo internazionale di esperti guidato dall’Università di Cambridge. Gli scienziati chiedono in particolare al Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) di dedicare un rapporto alle loro conseguenze più estreme, per motivare la comunità scientifica e informare i cittadini. “Ci sono molte ragioni per credere che il cambiamento climatico possa diventare catastrofico, anche a livelli di riscaldamento modesti”, afferma il primo autore dello studio, Luke Kemp dell’Università di Cambridge.
“Il cambiamento climatico ha avuto un ruolo in ogni evento di estinzione di massa, ha favorito la caduta di imperi e ha plasmato la storia. Anche il mondo moderno sembra essersi adattato a una particolare nicchia climatica. Al disastro non ci si arriva solo per le dirette conseguenze delle alte temperature, come gli eventi meteorologici estremi. Effetti a catena come crisi finanziarie, conflitti e nuove epidemie potrebbero innescare altre calamità e impedire la ripresa da potenziali disastri come la guerra nucleare”.
Le aree di caldo estremo, con una temperatura media annuale di oltre 29 gradi, dove oggi abitano circa 30 milioni di persone potrebbero estendersi fino a interessare due miliardi di persone entro il 2070. L’Agenzia ANSA.it – Scienza&Tecnica – Terra&Poli, che ha redatto un dettagliato report sullo Studio di Cambridge, riporta un’affermazione eloquente di un coautore della Ricerca, il Prof. Chi Xu dell’Università di Nanchino. “Queste temperature e le loro conseguenze sociali e politiche influenzeranno direttamente due potenze nucleari e sette laboratori di massimo contenimento che ospitano i patogeni più pericolosi: c’è una forte possibilità di effetti a catena disastrosi”.
Insomma di argomenti ed evidenze per essere preoccupati ce ne sono, eccome: si aggiunga che pandemie e guerre sommano effetti di accelerazione distruttiva. Che l’uomo stia consumando il Pianeta fino a rischiare il cupio dissolvi è sotto gli occhi di tutti. Il riscaldamento della Terra non provoca solo lo scioglimento dei Poli come documentato anche in TV, l’innalzamento lento dei mari, ma anche fenomeni più vicini a noi come le temperature roventi in alta quota (basti pensare alla tragedia recente della Marmolada), lo zero termico ad oltre tremila metri di quota.
Anche il Prof. Giorgio Parisi, Premio Nobel per la Fisica, in un’intervista a Luca Fraioli di Repubblica del 3 agosto ha considerato questi temi come prioritari, sia per l’agenda politica che per gli stili di vita e i comportamenti della gente comune. “Il clima è uno degli argomenti che ha pagato la scarsa lungimiranza politica, ma eletti ed elettori devono cambiare rotta”, ha affermato il Professore. E inoltre: “L’appello dei climatologi è importante proprio per indurre i partiti a parlare di riscaldamento globale e sollecitare gli elettori a usare questo argomento per giudicare i diversi programmi. Se per esempio i cittadini mostreranno che per loro è molto più importante la lotta ai cambiamenti climatici che la questione migranti, i partiti si orienteranno di conseguenza. Certi temi vengono cavalcati per attirare voti. E finché il clima verrà vissuto come un argomento che non porta voti rimarrà estraneo al dibattito politico”.
Affermazione che riscontra l’evidenza circa l’assenza esplicita di questo tema tra quelli che riempiono l’agenda politica del dibattito elettorale e i programmi per il futuro.
Accanto a questo rilievo occorre considerare che il tema del riscaldamento globale sta coinvolgendo la gente comune solo nel momento in cui ci si rende conto che si tratta di un argomento impellente, pervasivo e vicino a noi e ai nostri abituali stili di vita. Scienza, politica e ‘immaginario collettivo’ dovrebbero assumere l’emergenza ambientale nella sua intrinseca e totalizzante ricaduta sulla sostenibilità antropologica tra progresso e rispetto della natura. Occorre fare presto, partendo ad esempio da una adeguata educazione ambientale avviata a scuola per poi proseguire con una massiccia campagna di sensibilizzazione sugli stili di vita corretti lungo tutto il ciclo biologico dell’esistenza.
Nulla può essere lasciato al caso: la scienza illumina il cammino da compiere e – come dice il Professor Parisi “guarda un po’ più in là”. Ma la politica deve assecondarne gli studi, le ricerche, le indicazioni e i metodi per conseguire risultati. Poi spetta a ciascuno di noi, nessuno escluso, comportarsi con “scienza” e “coscienza”. Chi viene dopo può essere migliore se ha ricevuto buoni insegnamenti.