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Come Israele diventerà un esportatore di gas

Grazie alle recenti scoperte di gas, la collocazione geopolitica di Israele sta cambiando 

 

Se il giacimento Tamar, scoperto nel gennaio del 2009 dalla compagnia texana Noble Energy e con dimensioni stimate di circa 300 miliardi di metri cubi di gas, ha avviato la propria produzione nel 2013, bisognerà aspettare ancora qualche mese affinché si assista alla produzione di gas, prevista per la fine dell’anno, da parte dell’altro giacimento al largo delle coste israeliane, Leviathan, che con una dimensione di circa 620 miliardi di metri cubi rappresenta una delle più importanti scoperte nell’ultimo decennio dopo il giacimento egiziano Zohr.

LEVIATHAN VERSO IL COMPLETAMENTO

La prima delle quattro imponenti chiatte che trasportano la piattaforma per la produzione di gas naturale dal maxi giacimento è partita la scorsa settimana dal Golfo del Messico in vista dell’installazione, prevista per il mese di settembre, a circa 10 km dalla costa israeliana. Le altre chiatte partiranno nelle prossime settimane dal Texas per poi assemblare le cinque strutture operative grazie alla più grande gru offshore del mondo. E solo dopo una serie di test di messa in servizio sarà possibile avviare il flusso commerciale di gas che avverrà entro la fine del 2019.

ISRAELE, UN PAESE ESPORTATORE DI GAS

Una volta che Leviathan avrà avviato la produzione, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, o chi uscirà eventualmente vincitore dalle elezioni di settembre, si troverà ad affrontare il problema di come sfruttare le ingenti risorse di gas a disposizione. Fatto fronte al soddisfacimento della domanda interna di energia, Israele diventerà infatti un esportatore di gas naturale verso i paesi vicini, ma non solo. Se l’Egitto sarà il principale cliente di Israele nei prossimi anni, lo Stato ebraico guarderà con grande attenzione anche verso il continente asiatico e, soprattutto, a quanto succederà a Bruxelles, dove verrà deciso il futuro del gasdotto Eastmed.

UN ACCORDO “STORICO”

L’accordo del febbraio 2018 tra Egitto e Israele è stato definito da funzionari israeliani come il più significativo tra i due paesi dal 1979, ovvero dall’anno in cui sono state normalizzate le loro relazioni. Un paese arabo, infatti, sta iniziando di fatto a importare gas da Israele, legandosi a Gerusalemme. La compagnia israeliana Derek Drilling e la sua controparte egiziana East Gas hanno firmato un accordo da 15 miliardi di euro, della durata di 10 anni, per l’acquisto di un oleodotto, precedentemente in disuso, che collega la città costiera israeliana di Ashkelon con la penisola del Sinai settentrionale. L’infrastruttura verrà così utilizzata per trasportare il gas proveniente dai giacimenti di Tamar e Leviathan. E quando quest’ultimo giacimento sarà pienamente operativo, i partner prevedono di vendere circa 10 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno agli egiziani.

EASTMED

Se l’opzione di vendere il proprio gas sul mercato asiatico, dove la domanda è in crescita, si trova al momento in una fase di stallo a causa dell’opposizione pubblica che recentemente ha bloccato i piani per un terminale di esportazione sulla piccola e densamente popolata costa, Israele guarda con interesse alla possibile costruzione del gasdotto Eastmed. Con un costo stimato di circa 7 miliardi di dollari e con una lunghezza di circa 1.700 km che lo renderebbe uno dei gasdotti sottomarini più lunghi e profondi al mondo, Eastmed dovrebbe collegare le scoperte del Bacino del Levante con l’Italia, passando attraverso Cipro e il territorio greco. La costruzione del gasdotto, che vede il supporto dell’Unione Europea, verrà molto probabilmente approvata dai paesi coinvolti entro il 2019. Ma rimangono molti dubbi sulla fattibilità di un simile progetto: dalle tensioni tra i paesi dell’area al costo di realizzazione eccessivo se paragonato alla sua (limitata) capacità.

IL FORUM DEL GAS DEL MEDITERRANEO ORIENTALE

Una spinta alle esportazioni di gas da parte di Israele potrebbe arrivare dalla creazione del Forum del Gas del Mediterraneo orientale, avvenuta nel gennaio 2019 con lo scopo di coordinare le politiche energetiche nel Mediterraneo orientale e che vede la partecipazione di Egitto, Israele, Cipro, Italia, Grecia, Giordania e ANP. Se da un lato la nascita del Forum rappresenta un primo passo concreto verso la volontà di avviare una cooperazione nel settore energetico tra i paesi membri, dall’altro lato non può passare inosservata l’esclusione di Turchia e Libano, paesi le cui rivendicazioni sulle acque del Mediterraneo orientale sono state aspramente contestate da Cipro e da Israele stesso.

Articolo pubblicato su Geopolitica.info

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