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Clima

Il dibattito sul clima è diventato filosofico, anziché scientifico

Dichiarare scientifiche, o tecniche, decisioni e scelte sul clima che in realtà sono politiche serve a renderle incontrastabili. L'articolo di Sergio Giraldo.

Uno studio apparso nel 2021 tra gli Scientific Reports della rivista Nature (“Computer‑assisted classification of contrarian claims about climate change”, di Travis Coan, Constantine Boussalis, John Cook e Mirjam O. Nanko) ha classificato le affermazioni contrarie alla narrativa sul cambiamento climatico. Attraverso l’uso esteso dei computer, i ricercatori hanno sondato il Web per raccogliere gli argomenti di chi non si allinea alla narrazione ufficiale, generando poi una tassonomia dei temi adottati da chi, con varie sfumature, si dichiara scettico.

L’occasione di questo studio è utile, giacché ormai dovrebbe essere chiaro che il dibattito sul cambiamento climatico è uscito dall’ambito della scienza ed è diventato immediatamente politico o, più ancora, filosofico.

I CINQUE ARGOMENTI CONTRARI

Gli argomenti contrari alla narrazione (claim) vengono classificati in cinque grandi categorie: 1) il riscaldamento globale non esiste; 2) le emissioni da attività umane non causano il riscaldamento globale; 3) gli impatti sul clima non sono un problema; 4) le soluzioni proposte non funzioneranno; 5) la scienza e la climatologia non sono affidabili. È un gioco dialettico antico: proporre in chiave salvifica la propria tesi mette automaticamente chi non vi si adegua in un recinto di negatività con tanto di etichetta “no-qualcosa”. È la meccanica del conformismo, che spinge ai margini chi non aderisce, in una spietata deminutio capitis.

L’UTILIZZO STRUMENTALE DEL TERMINE “DISINFORMAZIONE”

Per ciascuna delle cinque categorie vi sono poi diverse sottocategorie (una trentina) e argomenti di dettaglio (una cinquantina). La cosa interessante è che gli autori della ricerca mettono tutti gli argomenti contrari in un sacco solo e lo chiamano disinformazione, attribuendosi così automaticamente il titolo di depositari della Verità, anche per temi che con la scienza non hanno nulla a che fare. Il dibattito su cosa sia scienza e cosa sia verità è complesso, ma abbiamo già visto cosa accade quando la scienza viene usata come corpo contundente. La classificazione elaborata dai computer utilizza il mantello della scienza per dichiarare disinformazione anche tutto ciò che sta nel claim 4, ovvero le soluzioni proposte, che sono invece argomento politico per eccellenza. Dichiarare scientifiche, o tecniche, decisioni e scelte che in realtà sono politiche serve a rendere le stesse incontrastabili, indiscutibili e fondamentalmente autoritarie. È la nuova versione, in abito verde, di TINA (there is no alternative), che apre la strada all’eclissi della democrazia e al declino della libertà. Non è un caso, infatti, che gli autori di questa ricerca siano docenti di scienze politiche e di comunicazione, non climatologi. Ma la scienza, che non è e non può essere una fonte del diritto, in sé non ha voce, sono gli scienziati a parlare al posto suo. La polemica sul terreno scientifico andrebbe condotta da chi pratica la scienza, non da propagandisti, che invece abbondano. Il risultato è che l’uso dogmatico della scienza porta al paradossale esito di rafforzare le convinzioni antiscientifiche.

Il terreno delle scelte, il “che fare?”, è e deve restare politico, aperto a tutte le opinioni, e le decisioni vanno prese democraticamente. Non può esserci un’ipoteca irrevocabile della scienza sulla vita delle persone. C’è una irrinunciabile linea del Piave che va difesa fermamente: la scienza dica “come”, ma dobbiamo essere noi a dire il “cosa”.

LE PROPOSTE DEGLI AMBIENTALISTI SULLA SICCITÀ

Facciamo un esempio. Il dibattito su come affrontare i periodi di siccità è stato vivo in Italia fino a qualche settimana fa. Una risposta efficace è quella di costruire invasi e bacini artificiali di captazione, oltre che agire su condotte e canali per eliminare le perdite. È una soluzione del fare: investire per aggiungere sicurezza. Cosa dice, invece, Greenpeace, tra le altre cose, in un comunicato del 22 marzo scorso? Questo: “Ridurre a monte i consumi idrici in agricoltura, rendendo prioritario l’uso di terreni e acqua per la produzione di alimenti destinati al consumo umano diretto anziché alla filiera mangimistica o alla produzione di biocarburanti. Ridurre a monte la domanda mangimistica, riducendo gradualmente il numero degli animali allevati e adottando misure per incoraggiare l’adozione di diete a base principalmente vegetale”.

La risposta ambientalista e scientista, cioè, è la sottrazione: per ovviare alla scarsità d’acqua occorre fare a meno della carne e diventare vegetariani. Tutte le soluzioni prospettate dai fanatici green sono improntate alla diminuzione e all’impoverimento: ridurre, se non eliminare, il consumo di carne, per affidarsi magari a proteine sintetiche fatte in laboratorio o, perché no, a farine proteiche ricavate dagli insetti. Meno automobili e meno aerei, cioè meno spostamenti, dunque minore libertà di movimento. Se qualcuno sostiene una tesi diversa, temendo limitazioni alla libertà personale, fa disinformazione, secondo lo studio partorito dai ricercatori.

LE VERITÀ SULL’ENERGIA BOLLATE COME DISINFORMAZIONE

Tra i claim che secondo costoro disinformano ci sono anche affermazioni vere in sé: i costi energetici cresceranno (è vero), la sicurezza del sistema energetico sarà minore di quella attuale (è vero), la Cina emette molto di più (è vero), i carburanti fossili costano poco (è vero), le tecnologie verdi danneggiano l’ambiente (è vero). Con buona pace di francesi e cinesi, disinformazione è anche affermare che l’energia nucleare può essere una buona soluzione alternativa.

GLI AMBIENTALISTI CONTRO L’ESSERE UMANO

Nella tassonomia elaborata dagli algoritmi che hanno rimestato nel web alla caccia dei temibili pensieri contrarian manca un elemento fondamentale: l’umanità. Non c’è spazio per l’uomo, in questa guerra santa dichiarata non al cambiamento climatico, ma all’essere umano. Del resto, basta guardare le proiezioni della popolazione mondiale in uno degli ultimi report del Club di Roma, nel quale è detto chiaramente che le politiche green potranno avere successo in futuro solo in presenza di un robusto calo demografico. È dal 1972, data di pubblicazione del celebre rapporto The Limits to Growth (I limiti dello sviluppo), che il malthusianesimo attende la propria occasione. Ora il pensiero unico che si mimetizza con la scienza è pronto a collaborare.

Ecco, se questo è il futuro, tenetevelo pure e lasciateci vivere.

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