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Come Italia e Cina si elettrizzeranno dopo il Memorandum

Nell’energia i rapporti Italia-Cina sono andati accrescendosi di molto e ancor più accadrà in futuro. Il commento di Alberto Clò, economista esperto di energia

Nell’energia i rapporti Italia-Cina sono andati accrescendosi di molto e ancor più accadrà in futuro. In due campi.

Primo, nelle infrastrutture: con l’entrata nel capitale di Terna e Snam, con una quota seconda solo a quella di CDP, del monopolista pubblico cinese State Grid Corporate China (SGCC), la più grande compagnia elettrica al mondo con circa 1 milioni di dipendenti e 1,1 miliardi di clienti. Una decisione opposta a quella di altri Paesi, ad iniziare dalla Germania che lo scorso anno per la seconda volta ha respinto il tentativo sempre di SGCC di acquisire il 20% della società 50 Hertz che gestisce il sistema del trasporto elettrico del nord del Paese, per tutelare – ha sostenuto Berlino – “le infrastrutture energetiche ritenute critiche”.

Secondo campo: l’aumento esponenziale nel nostro mix energetico della generazione elettrica da risorse rinnovabili con impianti importati per lo più dalla Cina. Sviluppi che è prevedibile si consolideranno in futuro per più ragioni: (a) il previsto quasi raddoppio delle rinnovabili, dal 17,5% al 32% del nostro consumo finale di energia, in ottemperanza alle decisioni dell’Unione Europea; (b) il miraggio della mobilità elettrica, di cui diremo; (c) il progetto “Global Energy Interconnection” lanciato da Xi Jinping all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 26 settembre 2015 per trasportare elettricità dalla Cina su grandissime distanze, Europa compresa. Un ‘sinister project’ secondo The Economist che cela a suo dire il tentativo del ‘Pianeta Cina’ di creare un nuovo ordine mondiale in cui assumere un ruolo egemonico.

Una posizione non distante dall’interessante tesi sviluppata su Foreign Affairs da Amy Myers Jaffe circa la svolta decisa dal Presidente Xi Jinping nella strategia energetica del paese. Finalizzata, a suo dire, ad un preciso obiettivo: fare della Cina “the renewable energy superpower of the future” per contrastare la leadership che gli Stati Uniti vanno guadagnando nel mercato del petrolio e del metano. Acquisire in sostanza una leadership tecnologia, industriale, commerciale nelle rinnovabili, nella supply chain della mobilità elettrica (dalle materie prime alle batterie), nell’efficienza energetica e nella finanza ‘verde’.

Obiettivo ampiamente conseguito grazie all’affermarsi nei paesi occidentali – Europa in testa – del mantra della transizione energetica al dopo-fossili e ai massicci investimenti interni effettuati dalla Cina nelle rinnovabili (2012-2017: 478 miliardi dollari). Il loro combinato disposto ha consentito all’industria cinese di divenire quasi-monopolista nella produzione mondiale di pannelli solari, con una quota superiore ai due-terzi, e delle turbine eoliche, cresciute a 92.000 unità (una all’ora!).

In sintesi: le economie e i consumatori europei hanno operato e sempre più opereranno per l’economia e l’industria cinese. Grazie a questa sua nuova strategia Pechino finirà per sostituire gli Stati Uniti in molte relazioni politiche, industriali, commerciali: corteggiando Europa, Asia Centrale, Sud Est Asiatico con promesse di lauti finanziamenti, sviluppo infrastrutturale, maggior sicurezza energetica.

Lo scontro, a ben vedere, non è tanto o solo tra Cina e Stati Uniti, ma tra Stati Uniti e Europa. Ciò di cui l’Europa non sembra tuttavia essere gran che consapevole dovendo in futuro accrescere sempre gli approvvigionamenti esteri di petrolio e metano.

Anche la Cina, nonostante la crescita delle rinnovabili, abbisognerà di maggiori import di petrolio e metano. Cambierà tuttavia la sua strategia sin qui concentrata nell’accaparrarsi il diretto controllo di giacimenti: acquisendo concessioni, concedendo prestiti ai paesi produttori, investendo al loro interno (Iran, Irak, Venezuela, Africa, etc). Una strategia che ha comportato costi enormi e risultati deludenti quanto a produzione acquisita – appena 2 milioni bbl/g a fronte di 160 miliardi dollari spesi – e debiti non rimborsati (specie ma non solo dal Venezuela).

La strategia cinese troverà comunque ancor più linfa dalle politiche climatiche pro-rinnovabili post-Parigi con stime di investimenti per 6.000 miliardi dollari stando all’Agenzia Internazionale dell’Energia. Vi è poi, infine il miraggio dell’auto elettrica ove la Cina sta guadagnando posizioni di leadership controllando, con oltre 100 imprese ampiamente sussidiate dallo Stato, la sua intera supply chain per consentire loro un crollo dei costi di produzione, come accaduto per il solare e l’eolico.

(estratto di un articolo pubblicato su Rivista Energia; qui l’articolo integrale)

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