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Acqua Potabile Coronavirus

Il coronavirus, l’acqua e l’Africa

Le disuguaglianze nell’accesso, qualità e disponibilità dell’acqua nel mondo sono evidenti, sopratutto ai tempi del coronavirus. L'approfondimento di Giulia Russo Walti 

Come sottolineato dal Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’epidemia del Covid-19 rappresenta una grande minaccia per la popolazione mondiale, in particolare nei paesi in cui i sistemi sanitari sono stati devastati dalla guerra; in Siria, Yemen, Sud Sudan, il nordest della Nigeria e l’Afghanistan. I sistemi sanitari indeboliti dai conflitti hanno ridotto la capacità di individuare, gestire e seguire i casi di infezione, il che a sua volta aumenta il rischio di trasmissione. Allo stesso modo, all’interno dei campi di accoglienza dei rifugiati, nella stessa Unione Europea, l’esposizione al contagio è maggiore; le persone vivono a stretto contatto e le risorse salvavita come l’acqua pulita, il sapone e le medicine scarseggiano. L’esposizione al contagio rende le popolazioni di determinati paesi più vulnerabili.

Le disuguaglianze nell’accesso, qualità e disponibilità dell’acqua nel mondo sono evidenti. Secondo i dati del rapporto “Leaving no one behind” stilato dall’organo di coordinamento delle Nazioni Unite sul tema idrico UN Water e dall’Unesco nel 2019, circa 4,2 miliardi di persone nel mondo usufruiscono di servizi igienici inadeguati e 2,2 miliardi di persone non hanno accesso a fonti d’acqua migliorate. Ciò vale per i tre quarti delle popolazioni dei Paesi meno sviluppati, e il gap rispetto alla copertura dei servizi idrici aumenta tra zone rurali e zone urbane.

L’acqua è una risorsa rinnovabile ma non inesauribile. Sebbene il 71% della superficie terrestre sia coperto da acqua, il 97% è salata, il rimanente 3% è acqua dolce, di cui solo l’1% è acqua accessibile per uso umano. Essa è vitale per ridurre il peso globale delle malattie e migliorare la salute, il benessere e la produttività delle popolazioni. Inoltre, è al centro dello sviluppo sostenibile ed è fondamentale per lo sviluppo socioeconomico, per la salute degli ecosistemi, oltre alla stessa sopravvivenza umana.

L’accesso universale ed equo a fonti di acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari costituisce per questo motivo il sesto Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda delle Nazioni Unite per il 2030; entro dieci anni l’obiettivo a livello locale, nazionale e globale è quello di garantire acqua potabile e condizioni igieniche minime, requisiti essenziali per la piena realizzazione di tutti i diritti della persona, incluso il diritto alla vita, e per lo svolgimento delle attività sociali ed economiche nel loro complesso. Il raggiungimento degli obiettivi nei prossimi dieci anni appare più come un’utopia. Le conseguenze combinate della pandemia e della recessione globale saranno catastrofiche, in particolare per i paesi in via di sviluppo, a causa della mancanza di capacità monetaria, fiscale e amministrativa per far fronte alla crisi. Inoltre, per quanto riguarda il sesto Obiettivo, la domanda dell’acqua è destinata ad aumentare a livello globale, in vista degli effetti della crescita della popolazione, l’urbanizzazione. L’offerta tenderà a diminuire, a causa dell’inquinamento e gli effetti dei cambiamenti climatici, come le persistenti siccità. I livelli stress idrico sono in aumento nei paesi industrializzati e non, ed è necessario migliorare la gestione delle forniture di acqua. Secondo i dati del Centro nazionale delle ricerche, in Italia il prelievo idrico per esigenze economiche aumenta, e seppur storicamente dotata da abbondanza della risorsa grazie alla presenza di vaste falde acquifere sotterranee, il livello di stress idrico è destinato ad aumentare, dovuto alla crescente desertificazione che interessa principalmente le regioni del centro e sud. Una gestione più sostenibile dell’acqua consisterebbe nel mettere a punto politiche più accurate di prevenzione degli sprechi, industriale e domestico, nel paese europeo con uno dei più alti tassi di prelievo di acqua potabile pro capite.

In Italia come nel resto del mondo la salvaguardia delle risorse idriche del pianeta dovrebbe essere un interesse comune e prioritario, sovrastato da incombenti interessi economici e geopolitici.

In primo luogo, la discrepanza tra quantità disponibile e quantità richiesta dalle diverse economie mondiali rende questa risorsa di fondamentale importanza da un punto di vista economico. Infatti, oltre al consumo umano, l’approvvigionamento di acqua è necessario nei settori economici chiave, quali agricoltura, produzione di energia elettrica e produzione industriale. L’Agenzia europea dell’ambiente ha calcolato che nel 2014 il 40% del consumo idrico complessivo in Europa è rappresentato dal settore agricolo, il 28% per il processo di raffreddamento nelle centrali a combustibile fossile e nucleari, oltre a quelle idroelettriche. Il 18% del consumo è legato al settore minerario e manifatturiero e il 12% del consumo è legato all’uso domestico. Secondo il World Water Forum, per ogni dollaro investito in acqua e servizi igienico-sanitari, il guadagno economico in termini di spese sanitarie evitate e produttività è di 4 dollari. La scarsità d’acqua limita infatti la crescita economica. La mancanza di accesso a un migliore approvvigionamento idrico e a servizi igienico-sanitari impone costi enormi per la società. Laddove i servizi sono caratterizzati da una cattiva gestione, finanziamenti inadeguati e bassi livelli di investimento si è ricorso alla privatizzazione, ed i crescenti investimenti delle società private nel settore dimostrano il valore che il mercato avrà in un futuro prossimo. Secondo alcune stime, entro il 2025 l’acqua rappresenterà un settore del valore di 1000 miliardi di dollari a livello globale. Al fine di usare le risorse idriche in modo più efficiente, le innovazioni tecnologiche serviranno a trovare soluzioni in ambiti come la desalinizzazione, filtrazione UV e riutilizzo dell’acqua.

Dal punto di vista geopolitico, si creano instabilità politiche legate agli interessi nazionali di approvvigionamento idrico. La comunità internazionale si impegna in maniera crescente nello sviluppo della cosiddetta diplomazia dell’acqua (water diplomacy). Le norme di diritto internazionale stabiliscono un’equa divisione delle acque all’interno della Convenzione Onu del 1997 sull’utilizzo dei corsi d’acqua internazionali per scopi diversi dalla navigazione. Le legislazioni internazionali e la diplomazia dell’acqua nascono per contrastare le guerre legate all’acqua, scaturite da fenomeni come il water grabbing, l’accaparramento dell’acqua. Gli attori quali governi, corporation o autorità mirano infatti a prendere il controllo o a deviare a proprio vantaggio le preziose risorse idriche, attraverso la costruzione di dighe, deviazione dei corsi d’acqua o l’inquinamento stesso. Ad esempio, una componente fondamentale delle tensioni decennali tra India e Pakistan legate alla sovranità della regione del Kashmir è l’importanza geostrategica dell’acqua che sgorga dai ghiacciai dell’Himalaya, che determinano l’approvvigionamento industriale e domestico necessari alla sicurezza economica di entrambi i paesi. Si tratta di water diplomacy anche l’azione delle Organizzazioni Internazionali e degli attori operanti nel settore umanitario per proteggere le infrastrutture idriche dagli attacchi terroristici e durante i conflitti armati. I bombardamenti e altri attacchi deliberati e indiscriminati portano alla distruzione dei sistemi idrici, minacciando la sopravvivenza delle popolazioni civili colpite. Nei rapporti Unicef del 2018, si legge che in Yemen il conflitto ha portato alla distruzione dei più importanti impianti idrici, colpendo duramente il sistema idrico e igienico-sanitario nazionale. Gli attacchi alle infrastrutture civili costituiscono una violazione del diritto internazionale umanitario, oltre a condurre inesorabilmente alla morte di gran parte della popolazione civile.

In futuro si potrebbero quindi verificare gravi ripercussioni sulla stabilità sociopolitica, oltre a quella economica mondiale, dovuta alla scarsità dell’acqua. La soluzione secondo la comunità internazionale, in particolare per i Paesi in via di sviluppo, è quella di ricorrere alle partnership pubblico privato, investendo in tecnologie per creare un modello di economia circolare per un uso sostenibile dell’acqua, accompagnato dall’adozione di politiche adeguate.

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