A forza di tirare, l’elastico si rompe.
Il fronte energetico ci regala novità tutti i giorni e i giorni prima del vertice Opec di Vienna hanno visto consumarsi una sorta di Brexit nel campo petrolifero.
Il cartello che reggeva le sorti economiche del mondo energetico è stato scosso nel profondo delle sue certezze dalla decisione, annunciata dal Ministro dell’energia del Qatar Saad Al-Kaabi, che il suo Paese abbandonava l’Opec, di cui era membro dal 1961. Per capire la portata della decisione, l’Opec per il Qatar è come la Ue per un Paese europeo, perché Doha vive solo di petrolio e gas. Il turismo, l’industria e tutto il resto valgono meno dell’1%.
Con una produzione giornaliera di petrolio che varia da circa 600.000 a 700.000 barili, e con il più grande giacimento al mondo di gas naturale, il Qatar ha deciso di uscire dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio per sfruttare la crescita del suo portafoglio di gas naturale liquefatto (Gnl).
«Il Qatar ha deciso di ritirare la sua adesione da OPEC a decorrere da gennaio 2019» ha dichiarato al-Kaabi, aggiungendo che continuerà a produrre petrolio, ma che «si concentrerà sulla produzione di gas».
Il Qatar è il più grande esportatore di Gnl al mondo e il rappresentante di Doha dichiara quali sono i suoi piani a lungo termine per aumentarne la produzione, una volta svincolato da lacci associazionistici: l’ipotesi è accrescere la produzione di Gnl da 77 a 110 milioni di tonnellate l’anno.
Con questo passo il Qatar tenta di dare più valore al gas, considerando che il mercato del greggio tradizionale sarà in prospettiva il bersaglio principale dell’ostracismo di quanti insistono per velocizzare la transizione energetica verso energie rinnovabili. Inoltre, fattore non trascurabile, il mercato del gas naturale porta entrate quasi 3 volte maggiori rispetto al petrolio.
Al contempo, il Qatar ha trovato un nuovo modo di irritare l’Arabia Saudita. Dal giugno dello scorso anno, il piccolo stato del Golfo – di 2,6 milioni persone – ha affrontato un duro embargo da parte del suo ingombrante vicino e dei suoi sodali (EAU, Bahrain ed Egitto) motivato dal traballante pretesto che il Qatar fornirebbe sostegno al terrorismo (e mai predica fu…). La rinuncia del Qatar suggerisce che i benefici dell’adesione all’Opec, di cui l’Arabia è il deus ex machina, stiano divenendo sempre più impalpabili per i suoi affari. E il calo dei costi delle energie rinnovabili e la crescita della produzione statunitense e russa diminuiranno inevitabilmente l’influenza del cartello.
Ole Hansen di Saxobank sull’argomento Opec ha dichiarato a Deutsche Welle che: «Il cartello svolge ancora un ruolo importante, ma sta diventando sempre più chiaro che la direzione del petrolio è stata fissata dalle decisioni prese dalla troika composta da Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita».
La rivalità con i Sauditi si gioca a tutto campo, partendo dall’informazione: per quanto riguarda la stampa arabofona, circa il 75% è in linea con i Sauditi e il rimanente 25% con Al Jazeera del Qatar. Il Qatar ha fatto una scelta, puntando a prepararsi per l’evoluzione del mercato del gas, che se fino ad ora era un mercato regionale vincolato ai gasdotti, grazie al Lng si sta globalizzando con i terminali di liquefazione e di rigassificazione che sono geograficamente svincolati. Così cresce l’importanza del mercato spot (dove i contratti hanno una durata limitata e i prezzi sottoscritti non sono legati al petrolio, ma si basano sulla dinamica domanda-offerta) a scapito dei contratti di lunga durata.
Il Qatar quindi punta a giocare un ruolo determinante nel Gas Exporting Countries Forum, che per il gas è il corrispettivo dell’Opec e che ha sede proprio a Doha: riunisce 16 paesi di quattro continenti, tra i quali i più influenti sono Iran, Emirati Arabi, Indonesia, Egitto, Libia, Venezuela, con un’unica eccezione ‘europea’, Federazione Russa, che esprime il Segretario generale del GEFC, Juri Sentjurin.
Eccola di nuovo qua… la Madre Russia che sempre più è il mediatore della geopolitica energetica su ogni ‘tavolo’.
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