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Shale Gas

Che cosa succederà agli Usa con lo shale gas?

Gli Usa tra il 2011 e il 2019 sono riusciti ad azzerare quasi del tutto la loro dipendenza energetica, ma il lockdown, con le sue conseguenze, ha messo in discussione l’intero settore 

 

L’indipendenza nell’approvvigionamento energetico è uno dei punti fondamentali nel conflitto tra Stati Uniti e Cina. Ma lo scenario internazionale post lockdown potrebbe cambiare le dinamiche, acuire le tensioni geopolitiche e rivoluzionare il panorama attuale.

COSA E’ SUCCESSO PRIMA

Gli Usa tra il 2011 e il 2019 sono riusciti ad azzerare quasi del tutto la loro dipendenza energetica. Anche se importano ancora una piccola quota di materie prime pari al 6.500.000 b/g. Il raggiungimento dell’indipendenza energetica è avvenuto grazie alla tecnica produttiva del fracking (si tratta della somma di tight Oil + shale gas). «Quest’ultima, massicciamente utilizzata a partire dall’era Obama, ha trasformato il paese nel principale produttore di petrolio e gas naturale al mondo», ricorda il dossier “Geopolitica dell’energia” del Centro Europa Ricerche (Cer).

I NUMERI

Dal 1971 al 2008 la produzione petrolifera americana è costantemente diminuita per poi esplodere dal minimo di 3.932.000 b/g a settembre 2008 fino al massimo di 13.100.000 b/g a marzo 2020, per poi nuovamente decrescere sino agli attuali 11.000.000 b/g.

LA SITUAZIONE ATTUALE

Il panorama fin a ora delineato è destinato a cambiare a causa del crollo del prezzo del barile che mette in crisi tutto l’intero settore energetico americano. Di conseguenza anche l’estrazione del gas naturale che è un “by-product” del petrolio. Significa che il primo è ottenibile grazie all’estrazione del petrolio stesso che permette sia tecnicamente che finanziariamente di sostenere la produzione del gas naturale. Secondo Rystad Energy24 «prima dello scoppio della pandemia, la produzione globale di gas naturale era stimata in crescita da 4.069 Gm3 nel 2019 a 4.233 Gm3 nel 2020. Attualmente, l’output mondiale nell’anno corrente è invece previsto in calo, per complessivi 3.962 Gm3».

IL CROLLO

Secondo i dati della U.S. Energy Information Administration i prezzi storicamente bassi del gas naturale in Europa come in Asia insieme a una minore domanda hanno causato il calo delle esportazioni statunitensi di GNL da 7,11 Gm3 a gennaio 2020 a soli 2,8 Gm3 a giugno 2020.

LE DOMANDE DEGLI ANALISTI

È una situazione che preoccupa l’America insieme al dileguare dell’epidemia da Covid-19 che sembra non fermarsi. Matt Gallagher, amministratore delegato di Parsley Energy, ha dichiarato alle pagine del Financial Times che gli Stati Uniti hanno già oltrepassato il picco petrolifero. In un editoriale di Olprice.com, invece, vengono riportati i dubbi degli analisti che si preoccupano «se lo scisto americano sarà in grado di trovare la sua nuova normalità. Per gli Stati Uniti, lo scisto in quanto tale non è la preoccupazione più grave, bensì lo è la perdita della leva geopolitica che ne deriverebbe, la quale non ha nulla a che fare con l’Opec».

IL FUTURO

Quel che succederà agli Usa con lo shale nei prossimi mesi è ancora molto incerto. L’America guidata da Trump potrebbe vedere un aumento della sua dipendenza energetica e di conseguenza perderebbe potere nello scenario internazionale a favore di Pechino. Quel che è certo è che recenti fallimenti di società shale come quello della Chesapeake Energy potrebbero essere un campanello d’allarme. Si tratta della società simbolo della rivoluzione shale in America, che nemmeno venti giorni fa ha dovuto portare i libri in tribunale a causa degli ingenti debiti pari a 9,6 miliardi di dollari.

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