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Corte Europea

Che cosa succede sulle dismissioni offshore. I fatti, le polemiche e il commento di Bessi

L'approfondimento di Alessandro Sperandio

Il piano di dismissione di 34 impianti offshore è chiuso da tempo nei cassetti del ministero dello Sviluppo economico. Ora dopo due anni di confronti, gli ambientalisti chiedono che si proceda subito considerando che solo nella fascia off limits delle 12 miglia ci sono 27 relitti industriali. E lo fanno con una lettera-denuncia distribuita nei giorni scorsi a Roma nel corso di una manifestazione sotto la sede del ministero dello Sviluppo economico in via Molise.

UN PIANO DI DECOMMISSIONING DI 34 IMPIANTI OFFSHORE FORSE SUPERATO DAL BLOCCA TRIVELLE

La denuncia è arrivata da Greenpeace, Legambiente e Wwf che dichiarano: “Nell’incapacità dei ministeri competenti di decidere ed essere conseguenti, dopo due anni di serrato confronto e conoscendo l’elaborato finale dal dicembre 2018, ci assumiamo la responsabilità di tirare fuori le carte di un piano di decommissioning di 34 impianti offshore (25 piattaforme, 8 teste di pozzo sottomarine, 1 cluster), 27 dei quali ubicati nella fascia di interdizione delle 12 miglia”. Ma la contestazione potrebbe essere stata superata dal blocca trivelle inserito nel Decreto Semplificazione, almeno stando a quanto si legge su Staffetta Quotidiana che a tal proposito parla di “tanto rumore per nulla”.

LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE SUL PIEDE DI GUERRA

Le tre associazioni avevano comunque chiarito che la “Dichiarazione congiunta sul Programma di attività per la dismissione delle piattaforme offshore” era stata concordata nel dicembre 2018 tra ministero dello Sviluppo Economico, ministero dell’Ambiente, ministero dei Beni e delle Attività Culturali e, secondo il documento e il carteggio in possesso delle associazioni, da Assomineraria, ovvero l’associazione di categoria dei petrolieri. Le associazioni hanno ripetutamente chiesto in questi mesi di rendere pubblico il piano in questione, anche in considerazione dell’approssimarsi della scadenza del 30 giugno, quando il ministero dello Sviluppo Economico dovrà procedere con la dichiarazione di dismissione mineraria prevista dal decreto ministeriale del 15 febbraio 2019.

“RELITTI INDUSTRIALI PERICOLOSI PER LA NAVIGAZIONE E PER L’AMBIENTE”

Secondo le tre associazioni “bisogna che il ministero dello Sviluppo Economico sia coerente con gli impegni presi ed entro fine mese decida di avviare subito la procedura di dismissione dei primi 22 impianti e, al massimo nei prossimi due anni, degli altri 12 individuati. Ovvero quegli impianti mai entrati in produzione, non produttivi da almeno 10 anni o che non erogano gas o petrolio da almeno un quinquennio: dunque dei veri e propri relitti industriali, pericolosi per la navigazione e per l’ambiente. Di questi, 29 sono localizzati nel tratto di mare tra Veneto e Abruzzo, 2 davanti alla Puglia, 1 davanti a Crotone e 2 nel Canale di Sicilia”.

IN TOTALE CI SONO 138 GLI IMPIANTI OFFSHORE LOCALIZZATI NEI NOSTRI MARI, 94 BEN IL 44,6% NON SONO MAI STATI SOTTOPOSTI A VIA

Le associazioni hanno ricordato anche che il 50% dei 34 impianti individuati dopo due anni di trattativa non hanno mai avuto una procedura di Valutazione di impatto ambientale, perché autorizzati prima del 1986, anno in cui la Via entrò in vigore in Italia. Tra questi impianti, 4 piattaforme hanno 50 anni o più (Porto Corsini Mwa, San Giorgio a Mare 3, Santo Stefano a Mare 1.9, Santo Stefano a Mare 3.7), 4 più di 40 (Armida 1, Diana, San Giorgio a Mare C, Santo Stefano Mare 4), tutte localizzate nel tratto di mare tra Veneto e Abruzzo, e ben 13 (il 38,2%) tra i 30 e 40 anni. Gli ambientalisti aggiungono che dei 34 impianti, 27 (pari al 79,4%) sono localizzati nella fascia di interdizione a nuove attività offshore delle 12 miglia, istituita nel 2013 a tutela delle nostre acque territoriali e degli ambienti costieri. Greenpeace, Legambiente e Wwf hanno rammentato, più in generale, che sono 138 gli impianti offshore localizzati nei nostri mari, 94 dei quali nella fascia delle 12 miglia e che di questi, ben il 44,6% non sono mai stati sottoposti a Via.

LE TRATTATIVE TRA AMBIENTALISTI E UNMIG

Le associazioni hanno riferito di aver “condotto una serrata trattativa al ministero dello Sviluppo Economico che ha coinvolto sul piano tecnico sia l’Ufficio minerario per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig) che la direzione competente, oltre che la segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente, selezionando gli impianti da dismettere secondo 3 criteri: piattaforme costruite ma mai entrate in produzione; piattaforme o teste di pozzo produttive ma non eroganti da almeno 5 anni; piattaforme o teste di pozzo che negli ultimi 10 anni abbiano estratto quantità di idrocarburi liquidi o gassosi esigue, al di sotto della soglia di ‘franchigia’, ovvero con produzione annua al di sotto degli 80 milioni di metri cubi di idrocarburi gassosi e delle 50 mila tonnellate di petrolio”.

IL COMMENTO DI GIANNI BESSI, SAGGISTA E AUTORE DI “GAS NATURALE. L’ENERGIA DI DOMANI”

“Serve un progetto di sistema, io l’ho presentato e continuo a presentarlo con il libro “Gas naturale. L’energia di domani” che si fondi sul mix energetico Gas naturale e rinnovabili – commenta con Start Gianni Bessi – Nuovi investimenti, dismissioni delle piattaforme visto chiusura mineraria, progetti pilota rinnovabili, area di formazione sul campo delle figure professionali ecc. ecc. come sommozzatori”. Anche perché, aggiunge Bessi, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna, “la bioeconomia o l’economia circolare senza un progetto industriale di sistema, senza capacità e conoscenza industriale e finanziaria è puramente un esercizio di stile, se non di propaganda. E mi riferisco naturalmente a Eni, Enel alle principali municipalizzate, Cdp ecc. ai loro partner che sono le PMI italiane che si sono sviluppate e cresciute grazie a questo fare sistema”. Conclude Bessi: “La moratoria, piano aree o altri totem, la mancanza di una legislazione chiara sia per la produzione sia per le dismissioni, le posizioni demiurghe di chi è contro o di chi a favore stanno solo paralizzando e cancellando un sistema economico decisivo per il nostro Paese. Servirebbe solo del buon senso, buona volontà e un po’ di lavoro…”.

 

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