skip to Main Content

Cambiamento Climatico Università

Che cosa (non) è stato deciso alla conferenza Cop24

Il commento dell'economista Alberto Clò, direttore della rivista Energia

 

Un sistema di regole per misurare le emissioni: questa l’unica “faticosissima” conclusione cui sono giunte le 30.000 persone impegnate per tredici giorni alla 24° Conferenza delle Parti (COP24) che si è tenuta a Katowice in Polonia per dar seguito agli impegni che 196 Stati hanno assunto tre anni fa sottoscrivendo l’Accordo di Parigi.

Niente, per contro, sui meccanismi di cooperazione tra gli Stati per conseguirne gli obiettivi (articolo 6 dell’Accordo).

Niente sugli impegni (promessi ma poi disattesi) di finanziamento dei Paesi industrializzati ai paesi in via di sviluppo.

Niente sull’adeguamento dei piani nazionali dopo gli allarmi lanciati dall’IPCC nel suo recente Special Report che la Conferenza non ha inteso far proprio ufficialmente (Galeotti e Lanza, Cop24, clima a bassa pressione, lavoce.info 18 dicembre 2018).

Penso che a chi abbia a cuore le sorti del Pianeta, Katowice sia stato poco o niente.

È quindi incomprensibile la soddisfazione espressa da parte degli ambientalisti ufficiali, a partire dal capo delle Nazioni Unite per il clima Patrizia Espinosa, che ha giudicato “eccellente” il risultato di Katowice pur se “alcuni dettagli dovranno essere completati e migliorati nel tempo”.

Per aver manifestato forti perplessità su come le cose andavano (o meglio non andavano) i lavori nella prima settimana della Conferenza, sono stato tacciato di essere “riduttivo e banale”.

Mi si dica allora quali motivi di soddisfazione possano mai esservi di fronte alla ripresa dei consumi di energia, alla solida tenuta delle fonti fossili, alla ripresa delle emissioni, al ridursi dei miglioramenti di efficienza energetica?

Mi si dica quale soddisfazione possa esservi nel leggere quanto scritto dall’European Environment Agency secondo cui in Europa:

– “i progressi verso i target su clima ed energia per il 2020 stanno attenuandosi”;
– solo “15 Stati Membri possono considerarsi in grado di conseguirli”;
– solo 5 Stati sono sulla traiettoria giusta per conseguire gli obiettivi fissati per il 2030.

Conclusioni totalmente confliggenti sia con il Piano presentato a Katowice dai rappresentanti di Bruxelles per arrivare ad azzerare le emissioni nette entro il 2050 che con gli obiettivi fissati nell’Accordo di Parigi. Accordo che fu salutato allora, vale rammentare, come un “trionfo monumentale per la popolazione e il nostro pianeta” da Ban Ki-moon Segretario Generale delle Nazioni Unite; come un “accordo che vale un secolo” secondo l’allora Presidente francese François Hollande; come un Accordo che “mette al sicuro le condizioni di vita di miliardi di persone per il futuro” a dire della Cancelliera tedesca Angela Merkel.

Anziché denunciare lo scarto tra impegni e fatti, parte degli ambientalisti si dice soddisfatto di come le cose vanno consolandosi con qualche dato sull’aumento delle rinnovabili, con le previsioni sulla penetrazione dell’auto elettrica, con il continuo innalzamento dei target di riduzione delle emissioni (senza badare se siano raggiungibili o no).

Di fronte a questa accidia vien da pensare che il peggior negazionismo non sia tanto o solo quello di chi si rifiuta di ammettere i cambiamenti climatici originati dall’uomo, ma nondimeno di chi semplifica la complessità delle cose e di chi sostiene che ogni ‘piccolo passo in avanti’ sia comunque un’ottima notizia, smentendo di fatto gli allarmi dell’IPCC e l’urgenza con cui bisognerebbe agire.

Denunciarlo sarà anche ‘riduttivo e banale’, ma è intellettualmente e ambientalmente più onesto.

 

Articolo pubblicato su Rivistaenergia.it

Back To Top