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Che cosa (non) c’è di nuovo nel Piano Clima Energia del governo

L'analisi di Nicolò Sartori e Margherita Bianchi tratta da Affarinternazionali

Il Piano nazionale integrato Energia e Clima (Pniec) proposto dal governo italiano alla Commissione europea con qualche giorno di ritardo rispetto al termine poteva rappresentare una cartina di tornasole dell’indirizzo del nuovo governo in materia di politiche energetiche e climatiche, in un contesto in cui transizione energetica e lotta al surriscaldamento globale la fanno da padrone – sebbene spesso con insufficiente ambizione – nell’agenda europea e internazionale.

Al contrario, il documento di 238 pagine si muove nel solco della Strategia energetica nazionale (Sen) adottata nel 2017 dal governo precedente che includeva – tra gli obiettivi principali – la riduzione delle emissioni attraverso la crescente penetrazione delle rinnovabili e il ritiro del carbone al 2025. Se ne confermano in larga parte il quadro e l’ambizione per il periodo 2021-2030, in linea di continuità con un approccio tutto sommato pragmatico ai temi di politica energetica senza invece i grandi stravolgimenti ipotizzati in base ai proclami del governo. Alcuni punti necessitano infine un livello di dettaglio molto maggiore.

PNIEC E LA NUOVA ‘GOVERNANCE’ ENERGETICA UE

Rispetto al quadro normativo comunitario 2020 cambiano obiettivi e approccio. Se per esempio nel 2020 la triade degli obiettivi su rinnovabili, efficienza ed emissioni era 20%-20%-20% – l’ambizione europea aumenta per il 2030 e punta ad un consumo di energia al 32% proveniente da rinnovabili, un aumento del 32.5% nell’efficienza energetica e un taglio alle emissioni del 40% rispetto ai livelli del 1990. La novità dei meccanismi di governance energetica introdotti dalla presidenza Juncker nell’ambito dell’Energy Union prevede poi programmazioni nazionali nei vari ambiti d’intervento e non obiettivi fissi a livello Ue per i singoli Stati.

Le bozze dei Pniec di ogni Stato membro stanno in queste ore arrivando alla Commissione, in previsione della consegna dei piani finali nel dicembre 2019. Nonostante questa volta si lasci più margine di manovra ai singoli paesi, si prevedono sia la verifica del conseguimento degli obiettivi che l’aggiornamento dei piani nazionali, con la Commissione che se necessario solleciterà i governi ad un’azione più consistente con gli obiettivi decisi congiuntamente a livello comunitario.

I piani seguono tutti lo stesso modello, coprendo le cinque dimensioni dell’Energy Union – sicurezza, mercato dell’energia, efficienza energetica, decarbonizzazione e ricerca, innovazione e competitività -, giocando un ruolo cruciale nel raggiungimento degli obiettivi al 2030 e nell’attuazione della tabella di marcia di lungo termine al 2050.

IL SISTEMA AL 2030 SECONDO IL PIANO

Il Pniec italiano al 2030 apre con grande enfasi sulla trasformazione dell’economia, proponendo (o, meglio, auspicando) un’accelerata sulle politiche di decarbonizzazione, il principio dell’economia circolare e la legislazione sui rifiuti, l’efficienza energetica, l’uso razionale ed equo delle risorse naturali, le rinnovabili. Elementi per la maggior parte condivisibili, ma insufficienti.

L’efficienza energetica, che nel regolamento comunitario della governance ricopre il ruolo di protagonista assoluta nell’impostazione delle politiche energetico-ambientali, occupa in effetti abbondante spazio nel piano. Si prevede infatti una riduzione dei consumi di energia primaria del 43% a fronte del target Ue del 32,5%. Nel piano però il raffronto è fatto con lo scenario Primes 2007 (e non con il più recente scenario del 2016), il che potrebbe trarre in inganno facendo sembrare gli obiettivi nazionali particolarmente ambiziosi.

Si prevede la riduzione delle emissioni del 33% rispetto al 2005 per tutti i settori non-Ets (30% in Ue), un target di penetrazione delle rinnovabili solamente al 30% (superiore a quello del 28% fissato dalla Sen, ma inferiore al target europeo del 32% fissato a livello comunitario) e un minore sviluppo del solare rispetto alla Sen, nonostante i proclami da campagna elettorale.

Solamente qualche mese fa il vicepremier Di Maio commentando il target del 32% riteneva necessario raddoppiare in dieci anni la produzione da rinnovabili, convinzione che non trova riscontro nel piano. Il contributo delle Fer è così distribuito: 55,4% nel settore elettrico (che sostanzialmente conferma il contenuto della Sen), 33% nel settore termico e 21.6% nei trasporti, settore nel quale ci si aspetta una diffusione complessiva di quasi sei milioni di veicoli ad alimentazione elettrica di cui circa 1,6 milioni veicoli elettrici puri (Ev).

Per garantire un’elettrificazione sicura e sostenibile viene poi confermata l’intenzione di abbandonare il carbone come delineato dal governo Gentiloni, ma mancano visione, misure e scadenzari sufficientemente chiari per una valutazione definitiva. Si conferma la volontà di introdurre meccanismi di mercato basati sulla capacità e si propongono incentivi per gli accumuli distribuiti.

GARANTIRE LA SICUREZZA

L’aumento della produzione da energia rinnovabile e dell’efficienza energetica saranno strumentali – secondi i piani governativi – anche a garantire l’incremento dell’indipendenza energetica, concetto dal valore semantico ‘forte’ ma espresso in modo abbastanza vago dal documento.

In questo contesto, rimane l’attenzione sulla sicurezza degli approvvigionamenti e in particolare sulla stabilità delle forniture internazionali di gas. La necessità di diversificare le fonti e le rotte viene reiterata anche nel Pniec, che conferma il supporto italiano verso il Tap – nonostante i proclami dell’ultima campagna elettorale – e identifica nell’Lng una fonte di flessibilità e competitività nei confronti dei mercati dell’Europa settentrionale, lasciando in stand-by il futuro del gasdotto Eastmed. Emblematico del costante zig-zag del governo in materia è anche il recente dietrofront sulle trivelle nello Ionio – sebbene non toccate dal Piano nazionale – con un nuovo emendamento al dl Semplificazione.

Viene inoltre sottolineata l’importanza della sicurezza del settore elettrico, elemento per nulla scontato ma di crescente rilevanza, soprattutto alla luce del previsto incremento delle rinnovabili e quindi della necessità di affrontare minore prevedibilità e programmabilità del sistema. Le interconnessioni verso l’estero rappresentano uno degli elementi chiave previsti dal governo e dal Pniec per incrementare i livelli di sicurezza nel sistema, contribuendo tuttavia ad aumentare il tasso di dipendenza (e la relativa incertezza) nei confronti di fornitori terzi di elettricità.

MANCANO PEZZI DEL PUZZLE

Da una prima lettura, il documento sembra contenere quasi solamente scenari (simili ai precedenti sviluppati nella Sen) ma poche misure o strumenti per attuarli: rimangono target poco ambiziosi sulle rinnovabili, incertezza sulla strategia per l’eliminazione graduale del carbone oltre che insufficienti passi in avanti su settori con importanti prospettive di sviluppo come le bioenergie, l’idroelettrico e la geotermia. Il piano rappresenta dunque un punto di partenza – com’è comunque normale che sia per una proposta – ma certo non brilla per ambizione, evidenziando la necessità di apportare migliorie, che speriamo arrivare tramite il confronto tra Bruxelles e Roma durante l’anno prima della sua approvazione definitiva a fine 2019.

 

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