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Che cosa farà il ministero per la Transizione ecologica?

Obiettivi, sfide e incognite del neo ministero per la Transizione ecologica affidato a Roberto Cingolani. L’intervento di Nicola Fantini, consigliere di amministrazione del Cnr eletto dal personale

 

La discussione parlamentare sulla fiducia al governo Draghi ha toccato diversi punti, e, come sempre in questi casi, molti sono stati i richiami alla attenzione dovuta alla Ricerca. Ricerca Pubblica, in particolare, che nel periodo della pandemia ha continuato a produrre conoscenza per il Paese. La transizione post pandemica, come riconosciuto dal Presidente Draghi, è delineata nella strategia dal Piano Nazionale di Ripresa e Ricostruzione (PNRR), ma ora deve trasformarsi in azioni concrete, con obiettivi precisi, in un piano di azione ben delineato nella modalità e nei tempi.

La sottolineatura del governo sulla importanza della transizione si lega alla scelta di creare un “superministero” incentrato sul tema dell’ambiente, della transizione green e, in generale, sulle Scienze della Vita. Ma quale sarà il modello sul quale poggerà il superministero? L’auspicio è che non si fondi sulla “tentazione del diluvio” che ha portato alla fondazione dell’IIT e dello Human Technopole, entrambi – ricordiamo – affidati all’attuale superministro Roberto Cingolani.

Chi li ha voluti, li ha presentati come la novità assoluta, come se il Trasferimento Tecnologico, in Italia, non avesse mai prodotto risultati, come se mai fosse stata prodotta conoscenza nel campo delle Scienze della Vita. Il rischio di una “Transizione non solo ecologica” è che si parta, di nuovo, senza tenere conto delle esperienze dei ricercatori del CNR, dell’Enea e degli altri Enti di Ricerca Pubblici (EPR) vigilati in particolare dal Ministero della Università e della Ricerca (MUR). Molto importante, in questo senso, sarà il lavoro della ministra Maria Cristina Messa, nell’interlocuzione con il titolare del dicastero della transizione ecologica, per mettere a sistema gli studi, i prodotti della ricerca, i brevetti, le risorse infrastrutturali sulle quali gli Enti Pubblici di Ricerca hanno investito e su cui può poggiare un processo di transizione del Paese che investa non solo l’ambiente, ma anche i percorsi di digitalizzazione, con particolare riferimento alla PA e alla Giustizia, e le filiere della conoscenza: scuola e università.

Al fine di garantire processi rapidi, è necessario definire un diverso impianto burocratico che renda davvero europee, in particolare, le procedure di sviluppo dei progetti. Bisogna, quindi, al contrario di quanto tentato finora, riformare non gli Enti ma il Ministero, attraverso l’iniezione di professionisti provenienti dal mondo della ricerca, favorendo la operatività degli EPR attraverso un aumento progressivo della loro autonomia scientifica e gestionale. Il ritardo ingiustificato, da parte del MUR, nella nomina del nuovo Presidente del CNR e la situazione di stallo del più grande Ente di Ricerca Italiano, alla cui soluzione la Ministra Messa sta provvedendo, è una dimostrazione che la Ricerca, pur rispettando la Politica, non può dipendere dalle evoluzioni di un quadro politico spesso fragile. Un CNR forte, autonomo (e ciò vale per tutti gli altri EPR) sarà in grado di rendere più incisiva una azione strategica, in questo periodo vitale per  il Paese: il sostegno, la rinascita, la trasformazione delle Piccole e Medie Imprese.

Il PNRR ha individuato, come tema centrale per la ripartenza del Paese nel post pandemia, in particolare l’esigenza di “Rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese e delle istituzioni”. Nello specifico il PNRR individua le PMI, come interlocutore privilegiato degli Enti di Ricerca, e fissa l’obiettivo di integrarle in progetti e filiere strategiche. Il Piano, quindi, ha come obiettivo la individuazione e il finanziamento di percorsi “dalla Ricerca all’Impresa” i cui obiettivi specifici sono: accrescere la spesa, pubblica e privata, in ricerca e innovazione; potenziare i meccanismi di trasferimento tecnologico; sostenere l’innovazione; favorire una più stretta interazione tra imprese e mondo della ricerca.

Come si può dedurre, il governo pensa al rafforzamento di infrastrutture di ricerca strategiche, e a potenziare gli “strumenti di prossimità” tra Ricerca ed ecosistema delle Imprese al fine di sostenere i processi di innovazione che favoriscono lo sviluppo dell’indotto e la creazione di nuovi posti di lavoro.

A sostegno di obiettivi così importanti si propone una visione organizzativa fondata su “campioni nazionali di R&S”, in particolare: Centro Nazionale per l’intelligenza artificiale; Centro Nazionale di Alta Tecnologia ambiente ed energia, Centro Nazionale di Alta Tecnologia quantum computing, Centro Nazionale di Alta Tecnologia per l’Idrogeno, Centro Nazionale di Alta Tecnologia per il Biofarma, Centro Nazionale Agri-Tech, Centro Nazionale Fintech.

Attraverso il “Potenziamento ed estensione tematica e territoriale dei centri di trasferimento tecnologico per segmenti di industria” si punta a rivitalizzare i centri incaricati della erogazione alle imprese di servizi tecnologici avanzati e servizi innovativi qualificanti di trasferimento tecnologico (Centri di Competenza, Digital Innovation Hub, Punti di Innovazione Digitale). Oltre al sostegno per il trasferimento tecnologico sono previste risorse PON per 400 milioni in favore di progetti di investimento innovativi per le piccole e medie imprese.

Una organizzazione così definita ha il vantaggio di generare un indotto territoriale, ma rischia, se non sostenuta da azioni specifiche, di non essere in grado di attrarre imprese da altri territori, di non diffondere in modo uniforme sul territorio nazionale le opportunità derivanti dall’accesso alle infrastrutture scientifiche. Inoltre, la embrionale e non perfettamente organizzata rete dei cd centri di innovazione, rischia di aumentare la entropia nella erogazione dei servizi alle imprese, oltre ad avere il limite oggettivo di non prevedere sufficienti spazi per l’Access2finance (se non per grandi gruppi bancari).

Nell’ultimo decennio, ad esempio, CNR ed ENEA sono stati parte integrante della maggiore rete europea di servizi per le PMI, Enterprise Europe Network, voluta dalla Commissione Europea per favorirne i processi di internazionalizzazione ed i percorsi di innovazione. Gli uffici di trasferimento tecnologico e valorizzazione della ricerca dei due enti hanno sviluppato un portfolio “clienti” e competenze in: Business2business, Business orientation, Research2business, Innovation management, Access2finance. Tale sviluppo di competenze consente la definizione di una filiera che, fondandosi sulla ricerca libera, sullo sviluppo di conoscenze da parte dei ricercatori, favorisce anche il trasferimento di conoscenze alle Istituzioni e alle Imprese, consente l’accesso a infrastrutture di ricerca: si pensi al campus di Monterotondo del CNR nel quale è possibile condurre studi su nuovi farmaci e la possibilità di collaborazione con le Aziende Farmaceutiche grandi, ma anche con le Start Up, PMI innovative nel settore, con le Università e gli altri Enti di Ricerca.

Per concludere. Prima dell’IIT, prima dello Human Technopole, prima del Ministero della Transizione ecologica e anche prima della Agenzia della Ricerca, migliaia di Ricercatori, con scarsi finanziamenti pubblici e una capacità eccezionale di attrarre fondi su base competitiva – come ha giustamente sottolineato la Sen. Elena Cattaneo – non solo hanno sviluppato ricerca, assicurato al Paese importanti infrastrutture, favorito il trasferimento tecnologico, ma hanno provveduto al pagamento anche delle spese generali, mentre rivoli di finanziamento raggiungevano altri lidi. Il CNR è pronto alla Transizione industriale, ecologica, digitale, anzi il CNR ha già delineato, attraverso la sua capacità di ricerca, modelli, e soluzioni. Il telefono, per chi fosse interessato, è sul nostro sito.

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