Alla base dell’esplosione dei prezzi del gas c’è uno squilibrio tra domanda e offerta, che riguarda non solo il momento attuale ma (soprattutto) le aspettative di un futuro, enorme divario.
Già da fine 2020 i volumi esportati dalla Russia attraverso le tre linee principali (Nord Stream 1, gasdotto ucraino e gasdotto Yamal) hanno iniziato a calare, passando da 11,4 miliardi di metri cubi complessivi nel mese di ottobre 2020 al minimo di 5,9 miliardi di metri cubi registrato nel gennaio 2022, prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
Considerati i tre gasdotti, nel 2021 il gas in arrivo in Europa dalla Russia è calato del 24% rispetto al 2019 (ultimo anno solare prima dei lockdown) e del 9,3% rispetto al 2020 (anno del lockdown). A quel punto l’Europa ha iniziato ad aumentare le importazioni di LNG, passando dai 5,4 miliardi di metri cubi dell’ottobre 2020 ai 10 miliardi di metri cubi del gennaio 2022. Essendo il gas liquido normalmente più costoso del gas via tubo, i prezzi hanno iniziato lentamente a salire.
L’inizio dell’instabilità è da far risalire alla primavera del 2021, allorquando le vendite spot di Gazprom in Europa (cioè i contratti da un mese ad un anno, con consegna del gas nei singoli mercati europei) sono crollate fino a risultare nel 2021 inferiori del 64% rispetto all’anno precedente. Contemporaneamente, in quella primavera Gazprom non procedeva all’usuale riempimento dei suoi stoccaggi in Germania, creando un buco nelle riserve tedesche per l’inverno 2021-22.
L’invasione dell’Ucraina è iniziata dunque in un momento di preesistenti tensioni sui prezzi. Il colpo finale ad una situazione già critica è arrivato dalla Commissione europea, che tra marzo e maggio 2022, ha lanciato il suo programma RepowerEU, con cui annunciava di voler rinunciare entro un anno e mezzo ai circa 150 miliardi di metri cubi di gas provenienti dalla Russia, corrispondenti al 50% circa della domanda europea, sostituendola con altri fornitori, con le fonti rinnovabili e con “risparmi” di gas.
A quel punto i prezzi sono esplosi perché è risultato evidente che non c’erano reali alternative nel medio termine all’offerta di gas russo e che, dall’altra parte, la domanda non avrebbe potuto ridursi corrispondentemente (non senza provocare una grave recessione). Le successive riduzioni dei flussi da parte di Gazprom hanno procurato un effetto di rialzo dei prezzi, perché la domanda di energia è molto rigida (cioè non si abbassa facilmente anche in presenza di prezzi altissimi) e il gas russo è il gas marginale del sistema.
In più, la prospettiva di un azzeramento totale dei flussi e la variabile meteorologica (un inverno molto freddo, ad esempio) aumentano la volatilità, per cui ad ogni notizia i prezzi mostrano grandi oscillazioni. Gli stoccaggi sembrano non essere più un problema, avviati più o meno per tempo ai livelli di riempimento desiderati. Ma gli stoccaggi corrispondono all’incirca a non più di quattro settimane di consumo invernale.
(Estratto di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)