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Come Bruxelles giudica i piani nazionali su energia e clima

L'approfondimento di Pietro Quercia

È tempo di giudizi per il governo italiano da parte della Commissione europea. Il mese scorso, il 18 giugno, l’Ue ha espresso perplessità sul Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) dell’Italia. La prima bozza del Piano, inviata pure in ritardo a gennaio 2019, indica il percorso che l’attuale governo ha delineato per il raggiungimento degli obiettivi energetici e climatici al 2030. Entro la fine dell’anno dovrà essere inviata la versione definitiva, in modo da tracciare un percorso chiaro e certo per i prossimi dieci anni, possibilmente integrando le raccomandazioni di Bruxelles.

MAL COMUNE MEZZO GAUDIO

Per la verità, quasi tutte le capitali europee hanno ricevuto una parziale bocciatura sui propri Pniec da parte della Commissione. Nessuno Stato membro, infatti, ha ricevuto pieni voti da Bruxelles, che in generale ha sottolineato come ai Pniec manchino obiettivi ambiziosi oppure le misure per raggiungerli.

Secondo le stime della Commissione, ad ora i piani nazionali presentano dei gap importanti per il conseguimento dei principali obiettivi europei in materia energetica e ambientale al 2030. Difatti, non verrebbe raggiunto né l’obiettivo del 32% di fonti rinnovabili all’interno del mix energetico né il 32,5% di efficienza energetica. A ciò si aggiunge una riduzione di emissioni di CO2 in settori come agricoltura e trasporti considerata non sufficiente.

Rispecchiando molto l’analisi effettuata dall’ultima edizione dell’Energy Union Watch, la Commissione ha tuttavia riconosciuto come i Pniec più ambiziosi siano stati quelli presentati da Spagna, Portogallo, Danimarca e Lituania, mentre al contrario i Paesi del blocco centro-orientale, ma anche la Germania, rimangono indietro.

Per quanto riguarda l’Italia, la recente visita alla Camera del commissario Ue per il Clima e per l’Energia, lo spagnolo Miguel Arias Cañete, aveva già fatto intravedere alcune delle principali problematiche del Pniec italiano, che sono state successivamente confermate in nove raccomandazioni da parte di Bruxelles.

LE RACCOMANDAZIONI DI BRUXELLES

Tra le più importanti, la Commissione sprona l’Italia ad sostenere l’obiettivo nazionale del 30% di rinnovabili entro il 2030, riducendo l’incertezza normativa e promuovendo misure di autoconsumo come stabilito dal pacchetto Clean Energy for all Europeans.

L’Italia, continua la nota, dovrebbe porre maggiore attenzione al tema dell’efficienza energetica, rafforzando le misure per l’efficientamento energetico nell’edilizia e nei trasporti, ancora troppo vaghe. Inoltre, bisogna favorire la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, riducendo la dipendenza energetica dall’estero, elemento caratterizzante la politica energetica italiana da decenni. Infine, la Commissione raccomanda al governo di precisare gli obiettivi nazionali per ricerca e innovazione, di approfondire le politiche di coordinazione con i Paesi dell’Europa centrale e sudorientale ed di prestare maggiore attenzione al tema della povertà energetica.

A fare da contraltare a questa parziale bocciatura, però, il governo italiano ha recentemente incassato l’approvazione della Commissione e del commissario Ue per la Concorrenza Margrethe Vestager a due fondamentali strumenti nel percorso di decarbonizzazione: il capacity market e il decreto FER 1. Queste due misure, che vedranno la luce a breve, da una parte forniranno maggiore spinta alla promozione delle rinnovabili sul territorio italiano grazie ad un sostegno di oltre cinque miliardi di euro fino al 2021 e dall’altra dovrebbero favorire un sicuro processo di transizione del settore elettrico nazionale alla luce delle politiche di decarbonizzazione.

Il tempo stringe e l’obiettivo di chiudere le otto centrali a carbone rimanenti sul suolo italiano entro il 2025 – il cosiddetto phase out – si avvicina. Considerando che questi impianti da soli sono responsabili del 40 per cento delle emissioni del settore elettrico, è evidente che bisogna abbandonare il carbone. Per permettere una transizione veloce e senza problemi urge accelerare il processo di riconversione a gas di alcune centrali e aumentare la quota di rinnovabili sul territorio, ad ora comunque insufficienti. Particolarmente problematico sarà il caso della Sardegna: l’isola infatti è isolata dalla rete energetica nazionale e, con due centrali a carbone su otto, è dipendente dal carbone per oltre il 70 per cento.

UN’EUROPA INCERTA

Il 20 e 21 giugno scorso dovevano essere due giorni storici per quanto riguarda la decarbonizzazione del continente. Si aspettava, infatti, la dichiarazione del Consiglio europeo – che riunisce tutti e 28 i capi di Stato o di governo dei Paesi dell’Unione – con espressa la volontà di raggiungere la piena decarbonizzazione entro il 2050, così come proposto dalla Commissione.

Nonostante il parere favorevole della maggior parte degli Stati membri, l’opposizione dei ‘soliti’ governi (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria) ha costretto a modificare la dichiarazione, rinviando la questione. A questo punto, la palla ora passa alla nuova Commissione che dovrà trovare la quadratura del cerchio prima del vertice Onu sull’Azione per il Clima, in programma per settembre 2019, quando si dovranno comunicare gli obiettivi climatici per la metà del secolo. Se l’Europa vuole veramente essere leader nella lotta ai cambiamenti climatici e aprire la strada a livello internazionale, la decarbonizzazione al 2050 non è più rinviabile.

Qui l’articolo integrale 

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