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Batterie efficienti per colmare il gap fra offerta e domanda di energia

L'approfondimento di Luca Longo

Produrre energia dal Sole, dalle maree, dal vento o anche dagli scarti agricoli è bello e molto green, ma cosa succede quando è notte, non c’è la marea, non soffia il vento o non è stagione di mietitura?

Altro problema: sicuramente, la forma di energia più utile di cui disponiamo è l’energia elettrica: la possiamo usare per muoverci, illuminare, scaldarci, cucinare e far funzionare tutti i dispositivi elettrici o elettronici che ci circondano. Ma l’elettricità non è facilmente disponibile in natura: dobbiamo produrla apposta partendo da altre forme di energia. Per giunta, se quando l’abbiamo generata non troviamo modo di usarla immediatamente, la perdiamo per sempre.

Visto che non possiamo stare al buio — e tantomeno possiamo permetterci di restare dieci minuti senza aggiornare i nostri profili social — dobbiamo trovare un modo per avere energia proprio quando ci serve. Per questo, tutti gli impianti per la produzione di energia rinnovabile oggi esistenti sono collegati ad un sistema di accumulo o a una rete elettrica. Quando splende il Sole o soffia il vento, gli impianti isolati raccolgono l’energia che non viene utilizzata proprio in quel momento e la conservano per quando servirà.

Gli impianti connessi alla rete elettrica, invece, si limitano a trasmettere l’energia in eccesso alla rete stessa (in giro da qualche parte ci sarà pure qualcuno che ne avrà bisogno) per poi andare a riprenderla da lì quando serve proprio a noi.

Chi gestisce le reti (spesso grandi come Paesi o continenti) fa la stessa cosa. Di solito l’energia elettrica in eccesso viene accumulata come energia idraulica: si usa la corrente che avanza per prendere l’acqua dal mare o da qualche lago a bassa quota e pomparla in un lago ad alta quota. Quando invece c’è bisogno di energia, si riporta giù l’acqua facendola precipitare lungo una condotta forzata fino a una turbina che genera nuova elettricità. Se c’è un picco nella domanda di energia e non c’è modo di trovarla all’interno della rete, allora la si compra dall’estero oppure, alla peggio, si mettono in funzione le centrali termoelettriche che bruciano combustibili fossili per produrre energia elettrica.

Per questo, poter accumulare e conservare l’energia elettrica serve per migliorare l’efficienza nell’uso delle risorse rinnovabili e fossili, per bilanciare la discontinuità delle fonti con la variabilità della domanda di energia industriale e civile e anche per migliorare la stabilità, flessibilità e affidabilità delle griglie di distribuzione. Le batterie, quindi, sono uno strumento fondamentale per l’accesso all’energia, ma permettono un uso più intelligente delle risorse a minor impatto ambientale e quindi una diminuzione delle emissioni di CO2.

Le batterie possono avere dimensioni estremamente diverse, ciascuna è adatta ad un certo uso. Si va dalla batteria dell’orologio a quella dei telefoni e notebook agli accumulatori collegati all’impianto fotovoltaico di casa fino a quelli utilizzati da grandi infrastrutture accoppiate con le centrali elettriche.

Ma i tipi di batteria variano anche in funzione dell’uso, il cosiddetto tempo medio di stoccaggio: dalla batteria del nostro smartphone (deve durare almeno un giorno o siamo perduti!), fino a quelle dei grandi impianti, che devono compensare le variazioni di domanda e offerta di energia fra il giorno e la notte. I più grandi devono gestire le oscillazioni di intere stagioni.

Se ci pensiamo, i limiti principali di tutti i dispositivi mobili, dallo smartphone fino all’auto elettrica, sono dovuti al peso, al costo di produzione (e di smaltimento) ed alla bassa capacità della batteria che li alimenta. Lo stesso problema si pone per i sistemi più grandi – dalle auto elettriche ai grandi impianti — se ci illudiamo di risolvere il problema semplicemente costruendo batterie più grosse.

Per questo, in tutto il mondo si cercano nuove soluzioni. E anche in Italia si conducono ricerche all’avanguardia: per esempio gli elettrolizzatori – che sfruttano l’elettricità in eccesso per produrre idrogeno dall’acqua in una cella elettrolitica per poi farla funzionare al contrario quando si vuole riottenere energia elettrica consumando l’idrogeno accumulato.

Eni sta sviluppando anche la batteria a flusso: si tratta di una cella elettrochimica collegata a due serbatoi contenenti due diversi elettroliti disciolti in soluzione. Nella cella, gli elettroliti vengono a contatto attraverso una speciale barriera semipermeabile dove avviene una reazione di ossidoriduzione. Questa trasforma l’energia chimica immagazzinata nei due fluidi in energia elettrica che può essere portata fuori dalla cella e utilizzata. Quando, viceversa, abbiamo a portata di mano una fonte rinnovabile – ad esempio un impianto fotovoltaico in una bella giornata di Sole – l’energia elettrica prodotta dall’impianto va nella cella elettrochimica e viene utilizzata per far avvenire la stessa reazione di ossidoriduzione, ma in senso inverso. Così i due fluidi possono tornare a immagazzinare energia chimica pronta all’uso quando servirà.

La tecnologia delle batterie a flusso è tra le più promettenti sia per il livello di sviluppo attuale (esistono già installazioni industriali), ma anche per le sue potenzialità (la ricerca è in continua evoluzione). Inoltre, da la possibilità di separare facilmente la componente di potenza (le dimensioni della cella) dalla componente di accumulo dell’energia (il volume dei serbatoi).

Questo disaccoppiamento permette di eliminare il fenomeno dell’autoscarica (avete presente quando prendete una batteria che avevate ricaricato tempo fa e – anche se non l’avete mai usata – ve la ritrovate già a zero?) e offre la possibilità di costruire batterie su misura per le esigenze di potenza e di accumulo che si desiderano.

Infine, a fine vita le batterie a flusso sono riciclabili molto più semplicemente degli altri tipi di batteria: gli elettroliti – che costituiscono la maggior parte dell’impianto – possono essere recuperati e purificati, e il resto del sistema è costituito da leghe metalliche, plastiche ed elettronica commerciale; anch’essi separabili e recuperabili.

Finché gli studi sulle batterie a flusso non porteranno a impianti industriali, lo sviluppo delle rinnovabili non potrà dispiegarsi in tutte le sue potenzialità: perciò, avanti tutta anche con la ricerca sulle batterie.

(Versione ampliata di un articolo pubblicato su eni.com)

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