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Superbonus

Vi spiego ipocrisie e tartufismi sul Superbonus

Che cosa dice e che cosa non si dice sul Superbonus. L'analisi di Giuseppe Liturrri

 

Hai voluto la transizione energetica? Ed ora pedala, perché non è gratis e comunque la transizione non l’avrai. Con questa lapidaria considerazione, vorremmo provare a mettere ordine tra le tante cifre e valutazioni che sono tornate ad occupare la scena negli ultimi giorni.

A partire dall’allarme lanciato contemporaneamente domenica scorsa dal Corriere della Sera e dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, intervenendo al Forum Ambrosetti di Cernobbio.

La notizia è che le stime sull’impatto dei bonus edilizi sul fabbisogno e sul saldo netto da finanziare è aumentato dai 116 miliardi di maggio ai circa 146 miliardi comunicati da ultimo dal direttore dell’Agenzia delle Entrate direttamente al Presidente Giorgia Meloni. Altri 30 miliardi aggiuntivi che, prima o poi ma certamente non per intero, famiglie e imprese compenseranno con i rispettivi debiti tributari fino al 2035.  In attesa di leggere un quadro esauriente ed aggiornato nella imminente Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) non ci convincono molte cose di questa grancassa mediatica, a partire dalla mancata lettura delle evidenti impronte digitali della Commissione UE, il grande sponsor di questa corsa all’efficienza energetica delle nostre abitazioni.

Deve infatti essere ricordato che le opere i cui costi ora sembrano esplodere sono da sempre un pallino dei burocrati di Bruxelles. A partire dal PNRR, che finanzia con 13,6 miliardi proprio il Superbonus, oltre ad altre misure per il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici pubblici. È la stessa Commissione, in un rapporto del settembre 2021 sul settore delle costruzioni in Italia, a sottolineare “gli straordinari risultati” ottenuti nei primi mesi di applicazione della norma, che allora valevano circa 8 miliardi di lavori ed oggi sono avviati a superare la soglia dei 100 miliardi entro fino anno.

La Commissione non si è affidata solo al budget straordinario post pandemico ma intende utilizzare anche il bilancio ordinario perché proprio ieri Veerle Nuyts, portavoce della Commissione Ue per questioni economiche, ha dichiarato che “il fondo di coesione, sia per il ciclo di programmazione 2014-2020 sia per il ciclo 2021-2027, continueranno a dare grande enfasi al rinnovamento in edilizia per abitazioni ed edifici sostenibili”.

Perplessità sorgono quando Giorgetti cerca di attribuirsi una rinnovata verginità esprimendo preoccupazione per l’impatto del Superbonus sulla finanza pubblica. Infatti, è vero che la norma nacque con il governo Conte 2, ma sono state le decisioni del governo Draghi – di cui lui faceva parte – a concorrere a determinare gli attuali effetti sulla finanza pubblica. Se avessero voluto fermarlo, avrebbero potuto farlo. Ma il governo Draghi sarebbe caduto un secondo dopo, privo del decisivo sostegno del M5S. Comprendiamo l’oggettiva impossibilità – pena un micidiale colpo all’andamento dell’economia – di fermare il treno in corsa già a fine 2021. Gli stessi impedimenti oggettivi che hanno costretto il governo Meloni ad un graduale depotenziamento dell’agevolazione, anziché un netto arresto. Ma onestà intellettuale vorrebbe che Giorgetti ricordasse che il suo stesso direttore generale Riccardo Barbieri Hermitte lo scorso 23 maggio dichiarò in audizione parlamentare che l’impatto macroeconomico del superbonus e del bonus facciate fosse pari rispettivamente a 2,2, 1,8 e 0,9 punti percentuali di maggiore crescita del PIL reale nel 2022, 2023 e 2024. Se si considera che l’ultima stima della crescita per il 2023 e 2024 è pari a +1,0 e +1,1, si conclude che, senza bonus edilizi, nel 2023 saremmo stati in netta recessione.

Risultati da valutare con attenzione, a causa del freno alla crescita costituito dalla rilevante incidenza delle importazioni (+2,4%). Perché va ricordato che importiamo quasi tutti i materiali, da qui il moltiplicatore fiscale della spesa sul PIL relativamente basso (tra 0,5 e 0,9).

Inoltre, l’impatto su fabbisogno e saldo netto da finanziare, di cui ha parlato Giorgetti, è distribuito fino al 2035, pur avendo la maggiore concentrazione fino al 2026. Il titolare del Mef avrebbe anche fatto bene a ricordare altre preziose considerazioni del suo direttore, che dovrebbero essere anche indirizzate ai mandanti di Bruxelles. Infatti, nel documento di maggio si legge che “gli incentivi favoriscono gli investimenti di riqualificazione energetica degli edifici esistenti, sostenendo investimenti addizionali che non sarebbero stati effettuati in assenza di incentivi, con conseguenze importanti sul raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica”.

Ma i risultati su questo fronte lasciano a desiderare, soprattutto in termini di efficienza. I tecnici del Mef spiegano che la riduzione dei consumi energetici totali attribuibili al Superbonus è pari al 3% nel 2022 e la riduzione delle emissioni è pari al 1,7%. La spesa per ridurre il consumo di un kilowattora è pari a 5,2 euro. Un rapporto francamente insostenibile, al punto che anche il Fondo Monetario Internazionale ha rilevato che “il value for money risulta scarso se si confrontano gli elevati tassi di sovvenzione della misura con i risultati della stessa in termini di efficientamento”. Insomma, gli argomenti contro il Superbonus non mancano, ma parlare solo della spesa è parziale e fuorviante.

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