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Credit Suisse

Vi spiego il caso dei CoCo bond per Credit Suisse (e non solo per Credit Suisse)

Se il rendimento medio di un bond corporate, cioè emesso da una azienda, nell’eurozona era dello 0,24 per cento e quello del mercato CoCo del 3,62 per cento, a spanne si poteva concludere che i CoCo erano già più rischiosi di una normale obbligazione societaria. Il commento di Stefano Feltri, direttore del quotidiano Domani

 

Il finanziere un tempo renziano Davide Serra, a capo del fondo Algebris, ha fatto una dichiarazione a margine del salvataggio di Credit Suisse che suona perfino ardita.

Una difesa dei CoCo bond, cioè le obbligazioni che sono state azzerate nella fusione con Ubs (17 miliardi cancellati di euro in un attimo), che ha colpito più questa categoria di creditori di Credit Suisse che i suoi azionisti, come invece dovrebbe essere in una crisi bancaria di queste proporzioni.

«Non pensiamo che ci sarà un impatto strutturale a lungo termine sugli AT1 in Europa, al di fuori della Svizzera. Si tratta di strutture di capitale del G20 che esistono in tutto il mondo. Queste obbligazioni che assorbono le perdite fanno parte del tessuto del debito bancario e rimarranno tali in Europa e negli Stati Uniti con Basilea III», ha detto Serra, che è stato tra i primi, un decennio fa, a scommettere su queste obbligazioni contingent convertible (CoCo).

L’aspetto è interessante perché i CoCo sono l’anello di congiunzione tra la crisi del 2023 e quella del 2008, cioè tra il tracollo delle banche di oggi e quello di ieri, ai tempi di Lehman Brothers.

All’epoca, il problema era che le banche finivano per accumulare troppo debito, diventavano troppo grandi per fallire, col risultato di costringere gli Stati a farsi carico dei loro bilanci insolventi.

Per risolvere questo problema, nascono i CoCo bond, cioè obbligazioni che a certe condizioni si convertono automaticamente in azioni o azzerano la somma dovuta, così da costringere i creditori a rafforzare la banca ai primi segnali di fragilità del bilancio, molto prima che si arrivi a mettere a rischio i soldi dei contribuenti.

Per anni la letteratura economica si è interrogata sull’impatto dei CoCo bond sull’attitudine al rischio delle banche: le rendono davvero più solide, perché prevedono un meccanismo correttivo automatico in caso di scelte sbagliate, o incoraggiano invece la spregiudicatezza, visto che il vero pericolo viene mascherato grazie all’innovazione finanziaria?

Uno dei criteri per rispondere è valutare se in caso di conversione gli azionisti ci guadagnano o ci perdono, se il debito diventa azioni, i soci vengono diluiti, contano meno e ricevono meno dividendi.

Se invece quando il CoCo bond si converte ci rimettono soltanto i creditori, allora gli azionisti sono incentivati ad accumulare sempre più rischi: se poi le cose si mettono male, a pagare è qualcun altro.

La regolamentazione di Basilea III consente alle banche di adempiere ad alcuni dei requisiti di riguardo al capitale per affrontare eventuali perdite con l’emissione di CoCo bond: tra 2009 e 2015 ne vengono emessi 521 miliardi.

Ancora nel 2017, uno studio della Bank of England (relativo al mercato inglese, il più grande per i CoCo bond) arrivava alla conclusione che l’emissione di CoCo bond ha avuto un effetto tutto sommato positivo sul disciplinare i comportamenti delle banche rispetto al rischio, soprattutto se si tratta di obbligazioni che prevedono una diluizione dei soci in caso di conversione.

Anche la Banca dei regolamenti internazionali, con una analisi sempre de 2017 conferma che se i CoCo scaricano tutto il rischio sul creditore, la banca è incoraggiata ad assumersi più rischi.

Nel 2021 Credit Suisse pubblicava sul suo sito il seguente approfondimento: «I contingent convertible bond sono meglio delle azioni delle banche?».

Col senno di poi, la risposta dovrebbe essere decisamente no, visto che quelli di Credit Suisse sono stati spazzati via.

Ma gli indizi c’erano già perfino nel contenuto dell’articolo: poiché nessuno regala i soldi, se il rendimento medio di un bond corporate, cioè emesso da una azienda, nell’eurozona era dello 0,24 per cento e quello del mercato CoCo del 3,62 per cento, a spanne si poteva concludere che i CoCo erano già più rischiosi di una normale obbligazione societaria.

Chi ha fatto la scommessa, ha ottenuto i suoi rendimenti. Il paradosso è che ora il crollo di fiducia nei CoCo bond potrebbe innescare quel contagio sistemico che lo strumento era nato per evitare.

(Estratto di un articolo pubblicato su Domani quotidiano; qui la versione integrale)

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